Recensioni / Racconti sentimentali e satirici di Michail Zoščenko

Lo stile spurio e colloquiale dei Racconti sentimentali e satirici di Michail Michajlovič Zoščenko è sopravvissuto alla prova del tempo senza nemmeno una ruga. Nella sua nuova veste italiana, pubblicata di recente da Quodlibet nella collana Compagnia Extra, con la traduzione di Pescatori, ogni pagina diventa così uno spioncino per conoscere la Russia attraverso le parole dei più poveri, dei meno privilegiati dalle leggi zariste e poi dall’avvento del comunismo.
Con la sagace satira politica che lo contraddistingue, l’autore ci porta quindi a immaginare la rivoluzione come una grande bolla: grande fuori, vuota dentro. Una mente del suo calibro può permettersi il lusso di elaborare questo e altri pensieri esagerati, maldestri, perfino pericolosi: con la lingua dopotutto ci gioca, se la rigira fra le mani, la prende in giro e poi prende in giro anche se stesso, giusto per chiarire che non si sta mica dando dalle arie, e torna a stupire con le sue capriole sintattiche, con un paio di neologismi esattissimi e con le espressioni improprie e goffe di un bambino cresciuto in fretta, incapace di capire cosa stia accadendo intorno a lui ma pronto a dare un nome a tutto senza pudore.
Naturalmente il risultato delle 66 storie presenti nell’edizione è dissacrante, scorretto: non lo si può prendere alla lettera, eppure lo si finisce sempre per prendere sul serio, anche e soprattutto quando all’apparenza vorrebbe solo strappare un sorriso. Non a caso, i dialoghi sembrano registrati parola per parola dalle strade, cuciti addosso e nella testa dei più svariati personaggi, e il tono di ogni episodio sembra quello di un vecchio compagno di scuola che non si vedeva da tempo e che inizia a raccontarci gli aneddoti più assurdi. C’è allora una sorta di riguardo paritario e confidenziale nei confronti del lettore, rispetto al quale però si dànno per scontati solo alcuni riferimenti socioculturali, mentre molti altri vengono almeno accennati.
Ciò permette anche a chi non conosce la Russia come le proprie tasche di sentirsi a casa, di non perdere il filo del discorso, di divertirsi – perché è questo uno degli obiettivi principali delle storie sentimentali e satiriche di Zoščenko: devertere, cioè letteralmente “volgere altrove, prendere un’altra direzione, soluzione per trasformare i pensieri oppressivi in un sentimento di gioia”, e da lì prendere le mosse per una denuncia sottile e intelligente della società.

“Mio padre era pittore, mia madre attrice. Lo dico perché a Poltava ci sono altri Zoščenko. Per esempio: Egor Zoščenko, sarto per signora. A Melitopol’ c’è un ostetrico e ginecologo Zoščenko. Dichiaro dunque: di questi qui non sono neanche parente alla lontana, non li conosco e non desidero conoscerli. Lo dirò chiaro: per causa loro, non ho neanche voglia di diventare uno scrittore celebre. Il fatto è che arriveranno senz’altro. Appena avranno letto qualcosa, verranno. Mi è già arrivata una zia dall’Ucraina. In linea di massima, fare lo scrittore è piuttosto difficile. Diciamo, una bella storia l’ideologia… Oggi da uno scrittore si pretende l’ideologia. Voronskij per esempio (una brava persona) scrive: … È necessario per gli scrittori «definirsi in modo più preciso ideologicamente». Bella scocciatura per me, davvero! Che «precisa ideologia» posso avere io, dite un po’, se non ce n’è uno, di partito, che mi attragga del tutto?” (p. 35)

Raccolti come sono in questo volume di recente pubblicazione, i racconti selezionati da Sergio Pescatori compongono pertanto nel loro insieme una visione disincantata e amara della Russia novecentesca, che attraverso i ragionamenti a volte barcollanti di mercanti, contadine, giovani ragazze, bambini e cocchieri si muove sgambettando fino agli anni Quaranta, con una naturalezza fanciullesca, fresca, a tratti disincantata. E il sentimentale del titolo? Si nasconde fra le pieghe di certe domande buttate lì quasi per caso dalla voce narrante o da un personaggio appena apparso sulla scena, spunta come un neo tra le beghe e le truffe cittadine, nel momento in cui dentro a una lettera o sotto a un foulard ci sono un gesto, una parola, uno sguardo capaci di tradire la dolcezza dell’esistenza, l’incanto del vivere dove si vive, la gratitudine nei confronti dell’Altro e dei propri cari.
L’opera si sviluppa dunque per contraddizioni, com’è inevitabile che accada. Insieme al paradosso non mancano di conseguenza figure retoriche elaborate e nomi parlanti, così come battute che a una prima lettura scatenano una risata e che a una seconda lettura si trasfigurano e permettono solo una smorfia amara. Esuberante e vivace, la penna di Zoščenko intinta nell’oralità è stata tradotta in un italiano straordinario da Sergio Pescatori, scomparso nel 2015 e alla cui memoria Manuel Boschiero e Cinzia De Lotto hanno dedicato poche, commosse pagine di ringraziamento. La portata della sua operazione, d’altronde, si riconoscerebbe già a una lettura superficiale, figuriamoci dopo un’analisi attenta dei significati, dei temi e del lessico scelti per dare una voce autorevole e pulsante a un maestro della narrativa breve – per i più distratti o per i meno avvezzi, comunque, fuga ogni dubbio un’introduzione al volume del traduttore stesso, collocata a dispetto delle aspettative in chiusura di libro.
Tra le sue puntuali e ampie osservazioni spicca una visione della poetica dell’autore consapevole e illuminante, che ne ricorda le caratteristiche del genere comico vicine a Il naso di Gogol’ o alle scene con protagonista Behemoth ne Il Maestro e Margherita di Bulgakov, tanto quanto il senso di “vergogna e amarezza per noi tutti e, s’intende, per se stessi”, che secondo Natan Ejedl’man ispirerebbe al pari dei testi di Tolstoj o di Čechov. Un sincretismo che, in altre parole, è alla base non solo della ricchezza intellettuale della prosa di Zoščenko, ma anche e soprattutto del valore di una sua traduzione e diffusione a quasi un secolo di distanza nel nostro Paese:

“Tutto questo, evidentemente, conferisce all’opera di Zoščenko un significato che va oltre il momento storico, le strutture sociali e la temperie politica, che pur vi sono sottesi e, volendo, anche ben identificabili. Perché, se è vero che il nucleo essenziale di questi racconti rende la sensazione di un particolare periodo di sconvolgimenti e d’incertezze, quello degli anni che seguirono la rivoluzione bolscevica; se è vero che la persistenza di molte contraddizioni e assurdità, o addirittura il loro accentuarsi, hanno fatto sì che queste sembrassero il portato naturale e tipico della realtà sovietica, e che quindi fosse specificamente l’immagine di questa realtà quella che si rifletteva nelle pagine di Zoščenko; ora però che assistiamo a nuovi sconvolgimenti, a nuove incertezze e nuove assurdità, non possiamo non rilevare la desolante somiglianza, anche e soprattutto nei loro effetti psicologici e culturali, nelle reazioni e nel comportamento di coloro che li vivono sulla loro pelle. Tant’è vero che vien fatto di paragonare il «mondo piccolo» di questi racconti non solo alla Russia di oggi, ma anche a realtà a noi ben più vicine.” (p. 329)