Recensioni / Un oceano di possibilità. Leggere il rinascimento psichedelico

Da un punto di vista retorico, rivelare in primissima battuta il punto debole di un’argomentazione potrebbe non sembrare la migliore delle strategie, ma forse si può provare a fare un’eccezione. Perché in questo caso l’intento, o piuttosto il tentativo, è esattamente quello di trasformare un’impasse, un momento di frizione (forse soltanto apparente) del pensiero in un’occasione di riflessione e, conseguentemente, di sovversione della debolezza. E dunque scopriamo subito le carte: le poche parole che seguono hanno a che fare con gli psichedelici, ovvero quella famiglia di sostanze che annoverano la psilocibina (principio attivo di alcuni funghi) e l’LSD; queste sostanze si trovano al centro di un ampio e composito movimento che viene definito «Rinascimento psichedelico», ma io, autore di questo articolo, non ho mai assunto o sperimentato nulla di tutto ciò. La debolezza sta tutta qui e non è cosa da poco, perché la riscoperta scientifica di tali sostanze e delle loro incredibili potenzialità terapeutiche in moltissimi ambiti è ovviamente passata prima di tutto attraverso una esperienza diretta, ovvero da quelle possibilità – sempre più unanimemente riconosciute dalla ricerca scientifica – di esperire il mondo esterno e il proprio sé in un modo completamente altro. La radicale sovversione dei meccanismi attraverso cui viviamo e interpretiamo ciò che accade fuori e dentro di noi costituisce il nocciolo del loro potere, nonché ciò di cui non ho la benché minima esperienza diretta. Di cosa sto scrivendo, allora?
Sto scrivendo di un aspetto specifico legato a queste sostanze, per così dire laterale ma non per questo meno importante e che è l’unico di cui io possa aver qualcosa da dire, ovvero il loro menzionato Rinascimento. La metafora storiografica è piuttosto calzante e si presta a molteplici parallelismi con ciò che si intende comunemente con “Rinascimento”. Infatti, riassumendo in maniera molto grossolana e approssimativa (e tralasciando il fatto che tale fenomeno si inserisce nel millenario rapporto tra l’essere umano e le molecole capaci di alterarne la percezione), la storia culturale di queste sostanze si può suddividere in tre grandi fasi: una prima, nei dintorni della loro scoperta nella prima metà del Novecento, in cui si iniziarono a intuire e studiare con grandissimo entusiasmo le possibilità di trattamento psicologico che esse offrivano; una seconda, corrispondente a un Medioevo piuttosto lungo e oscuro, che vide la penalizzazione e messa al bando (conseguente alla politicizzazione del loro uso negli Stati Uniti a cavallo tra anni ’60 e anni ’70) e l’interruzione di ogni approfondimento scientifico ufficiale (mentre sarebbero continuate a sopravvivere tra diverse pieghe della cultura underground); una terza, ovvero quella in pieno vigore e iniziata una quindicina d’anni fa, in cui si sta imponendo l’incredibile riscoperta, condotta da moltissimi scienziati in centri di ricerca sparsi in tutto il mondo, dei loro effetti terapeutici. Una scoperta a cui è conseguita in altrettanti luoghi la loro de-penalizzazione e il sempre crescente uso medico, che ha a sua volta dimostrato di poter produrre risultati notevolissimi nel trattamento di disturbi come depressione, stress post-traumatico e dipendenze. Oltre a ciò, la letteratura scientifica più recente ha evidenziato come l’assunzione di tali sostanze in contesti controllati, guidati e protetti sia in grado di produrre prolungati e notevoli effetti psicologici positivi anche in chi non soffre di tali patologie. Si tratta, in altre parole, di una vera e propria esperienza mistica che Robin Carhart-Harris, uno dei più importanti ricercatori in questo ambito, ha contributo a identificare e circoscrivere nella sua fisicità. Lo scienziato, in uno dei più significativi studi degli ultimi anni, mappando tramite tecniche di brain imaging l’attività del cervello sotto effetto di psichedelici ha mostrato come l’apparire di nuove possibilità esperienziali ed ermeneutiche che si apre per il soggetto sia fisicamente causato dal collegamento di parti cerebrali di solito non connesse tra loro e sollecitate da tali sostanze; parallelamente, ha dimostrato come la cosiddetta ego dissolution, ovvero la completa dissoluzione mistica del proprio ego che è alla base del sentimento panico e perturbante che prova chi assume una dose piuttosto elevata di psichedelici, sia dovuta a un effetto inibitorio (e non eccitante, come si sarebbe più facilmente ipotizzato), dal momento che le molecole di queste sostanze riducono l’attività di quella parte del cervello maggiormente implicata nell’elaborazione della coscienza, del proprio io e del pensiero meta-riflessivo, la cosiddetta default mode network (DMN). Una volta assopita questa sorta di cabina di regia automatica del proprio ego (la stessa che causa, attraverso un’attività troppo intensa, il fenomeno depressivo), ecco che si spalanca l’inedita sensazione di sentirsi parte di un tutto più ampio rispetto ai ristretti confini del sé, insieme ad una sensazione di benessere capace di durare anche dopo il cosiddetto trip.
Ciò che accade nei meandri della mente di coloro che si sottopongono a tali trattamenti o viene rilevato nei paper degli scienziati che conducono le ricerche a riguardo non rappresenta che una parte di questo Rinascimento e, a ben vedere, entrambe le esperienze appaiono intrinsecamente legate a coloro che le vivono in prima persona, sia che si tratti del viaggio psichedelico sia della ricerca scientifica. Una parte cospicua del fenomeno riguarda invece la diffusione di queste scoperte, il modo in cui vengono veicolate in contesti e luoghi anche molto lontani e differenti rispetto a quelli originari (siano la San Francisco della controcultura hippy o i laboratori della Johns Hopkins dove vengono condotti molti esperimenti) e, soprattutto, gli effetti che tali idee – prima ancora delle scoperte e dell’esperienza psichedelica tout court – possono produrre in coloro che vi si imbattono. Da questo punto di vista, il richiamo al Rinascimento vero e proprio riporta alla mente non tanto la generica (nonché discutibile) opposizione a un presupposto Medioevo di barbarie e oscurità, quanto quel fenomeno fondamentale per la cultura occidentale che fu il ritorno della conoscenza della lingua greca in Europa. Quando, cioè, alcuni intellettuali greci fuggirono dalla Costantinopoli caduta in mani turche e approdarono in un continente in cui, grazie al loro insegnamento, in poco tempo si sarebbe ricominciato a leggere Omero e Pindaro. La possibilità di rimpadronirsi della cultura greca doveva necessariamente essere mediata dalla conoscenza della lingua in cui si era espressa quella letteratura, per l’accesso alla quale era necessario possedere una grammatica fino ad allora scomparsa dagli scrittoi degli intellettuali. Le questioni sollevate da una tale dinamica sono ovviamente molteplici e infinitamente complesse, perché, com’è stato scritto, «non è quindi soltanto la scoperta sempre più larga di testi classici, o lo studio sempre più diffuso del greco, a costituire il punto d’avvio e una componente fondamentale della Rinascita; è il modo di quel ritorno, il mito che vi si costruisce sopra, la forza con cui si rimettono in circolazione le idee, le forme con cui si interpretano».
Ora, se proviamo a tenere per buona l’analogia, non si può non chiedersi: qual è il modo di questo ritorno, ovvero della rivalutazione dell’esperienza psichedelica? Quale mito vi si sta costruendo? Con quale forza si rimettono in circolazione queste idee e attraverso quali forme vengono interpretate? A ben vedere, il modo di questo ritorno – l’unico di cui, ripeto, io abbia esperienza – è quello di una sempre più intensa opera di traduzione, pubblicazione e divulgazione che è finalmente arrivata anche in Italia, paese non esattamente all’avanguardia per quanto riguarda il livello del dibattito sul tema delle droghe (e non solo). In questo contesto, tra gli esempi di portata maggiore, Agnese Codignola, in LSD. Da Albert Hofmann a Steve Jobs, da Timothy Leary a Robin Carhart-Harris. Storia di una sostanza stupefacenteHow to Change Your Mind: What the New Science of Psychedelics Teaches Us About Consciousness, Dying, Addiction, Depression, and Transcendence, in cui il genio divulgativo di Michael Pollan non solo ricostruisce la storia culturale degli psichedelici e del loro Rinascimento, ma – combinando sapientemente saggismo giornalistico ed esperienza personale – racconta i propri viaggi psichedelici; Il Saggiatore ha ripubblicato l’ormai introvabile Il volo magico. Storia generale delle droghe di Ugo Leonzio; il recente L’ordine nascosto. La vita segreta dei funghiLa scommessa psichedelica, uscito per Quodlibet e curato da Federico di Vita, ha raccolto i contributi di alcuni tra i più importanti animatori italiani di questo movimento, che ne analizzano con grande intelligenza storia, potenzialità, immaginari e criticità. I pochi titoli menzionati, di cui si potrebbe lungamente discutere e ai quali bisognerebbe aggiungere un gran numero di altre pubblicazioni meno mainstream ma altrettanto importanti, testimoniano un interesse che si sta facendo sempre più vivo e che sembra convergere su alcuni punti fondamentali: il concetto di “droga” e la sua penalizzazione vanno storicizzati, decostruiti e aggiornati secondo paradigmi scientificamente aggiornati; le nuove scoperte riguardo gli psichedelici non rappresentano speranze chimeriche ma certezze acquisite dalla comunità scientifica e dalla prassi terapeutica; se questi venissero liberalizzati e resi fruibili in contesti protetti e regolamentati, un gran numero di persone potrebbero trarne grande giovamento. L’effetto combinato delle esperienze psichedeliche, delle scoperte che le riguardano e della loro divulgazione sta dunque iniziando a costituire la grammatica di una nuova lingua o, se vogliamo, di un nuovo mito – inteso come narrazione estesa e condivisa, dotata di una sua forza intrinseca – che proprio in virtù della sua poliedricità inizia a manifestare una forza argomentativa in grado di scardinare le narrazioni dominanti in molti ambiti. Non si tratta, infatti, di sola controcultura, di estetica new age o di qualche circolo ricreativo dal retrogusto esotico, perché le immense potenzialità dimostrate dalle sostanze, insieme alla solidità del dato scientifico e ai modi in cui queste idee stanno circolando, costituiscono gli elementi in grado di far scaturire un profondo cambiamento in quella cultura ancora imperante che unisce droghe leggere e droghe pesanti, che equipara effetti completamente diversi e che ignora ciò che la scienza denuncia e dimostra a gran voce da almeno quindici anni. Partendo da queste premesse, l’esperienza psichedelica può davvero costituire una nuova lingua in grado di aprire vie verso territori nuovi e inesplorati, e la sua grammatica, il suo mito e la forza delle sue idee si stanno imponendo grazie a un connubio sempre più incisivo di esperienza, scienza e scrittura.
Ma quali sono, allora, gli effetti che questa congerie di teorie e scoperte può produrre – al di là dell’effettiva scelta di intraprendere un’esperienza psichedelica? Analizzando complessivamente le implicazioni sollevate dal Rinascimento psichedelico, non si può non notare quello che potrebbe essere definito come il potere simbolico aggregante di tali sostanze, ovvero la loro capacità di sollevare e portare ad un altissimo grado di evidenza una serie di questioni centrali dell’epoca contemporanea. La depressione, una delle malattie più endemiche degli ultimi tempi, è solo l’aspetto più evidente di un insieme che appare piuttosto variegato. Accanto alla possibilità di riuscire finalmente a trattare in profondità un disturbo su cui gli antidepressivi più comuni hanno da tempo smesso di produrre risultati importanti (per non menzionare i loro effetti collaterali), le dimensioni implicate da una rivalutazione profonda del proprio ego e della sua tirannia sono molteplici. Per esempio, la connessione panica che l’esperienza psichedelica permette di instaurare con grandissima intensità tra l’essere umano e la natura non può che rimandare alla sempre più centrale questione ecologica, che in fondo, a vedere bene, si basa proprio su un’eccessiva distanza tra l’io dell’uomo e l’Altro della natura, sentito come completamente estraneo e dunque sacrificabile. Il sentimento di profonda unità nei confronti di qualcosa di superiore e di gioiosa riconoscenza per l’appartenenza al genere umano può inoltre costituire la base per una ridiscussione dei rapporti tra l’io e l’Altro, soprattutto in un momento storico in cui i dannati della terra bussano con forza crescente alle porte di un Occidente ostinatamente chiuso, razzista e xenofobo. A livello più generale, la possibilità di sospendere temporaneamente e rivedere gli schemi tradizionali tramite cui leggiamo il mondo fuori e dentro di noi può rappresentare un’occasione terribilmente reale e potente non solo di lasciarci davvero sorprendere, ma anche di sfuggire alle difficoltà che insorgono dalla ripetitività cognitiva ed ermeneutica a cui ci condannano schemi acquisiti e rodati. Ovviamente, i rischi sollevati anche da una completa rivalutazione degli psichedelici sono diversi. In primis, il pericolo che il percorso terapeutico – inglobato in un processo di medicalizzazione e asservito alle dinamiche del capitale a cui rispondono le aziende farmaceutiche – si trasformi paradossalmente in una sorta di esasperazione dell’individualismo che punta a stanare, sia dal punto di vista economico sia da quello sociale. Secondariamente, il rischio che si tralasci completamente la necessità, già sottolineata da Mark Fisher, di «ripoliticizzare la malattia mentale», continuando erroneamente a considerare intimi e privati quei «mali strutturali delle società tardo-capitalistiche, tutti profondamente connessi a forme di violenza sociale esplicite o camuffate dietro maschere sorridenti». Infine, di pensare ingenuamente all’uso di questi strumenti come la panacea per ogni male, dimenticando invece il campo di tensione determinato dalla loro presenza nel mondo, dato che, com’è stato notato, «il senso delle sostanze, lungi dall’essere dato una volta per tutte, è un terreno di contesa tra discorsi e pratiche antagoniste».
In pagine famose, Jauss ha scritto come «la funzione sociale della letteratura si manifesta come genuina possibilità solo dove l’esperienza letteraria del lettore entra nell’orizzonte d’attesa della sua prassi vitale, preformando la sua comprensione del mondo e retroagendo sul suo comportamento sociale». Quanto accade col Rinascimento psichedelico mi pare dunque qualcosa di simile: la funzione sociale di questa narrazione è infatti quella di sollevare contemporaneamente questioni fondamentali della prassi vitale di chi si imbatte in questo Rinascimento, che credo tragga una parte importante del proprio potere simbolico proprio dall’essere in grado di riuscire a intercettare le problematiche menzionate a prescindere dalla reale esperienza psichedelica. Il parallelo con la riscoperta del greco nel Rinascimento è nuovamente illuminante, perché anche in quel caso gli effetti del ritorno di Omero e Pindaro si fecero sentire anche in chi non leggeva il greco antico: partirono certamente da quegli scrittori che impararono a tradurre la lingua antica, ma ben presto il potenziale di quella letteratura si riverberò in modi e contesti che prescindevano da una conoscenza diretta e filologica dei suoi autori. Tornando a noi, l’orizzonte di attesa di chi oggi inizia a leggere e incontrare queste idee è generalmente quanto di più lontano vi possa essere da ciò che esse prospettano, ed è proprio grazie a tale distanza originaria che può scaturire un reale e proficuo allargamento di prospettive, un vero incontro che incida, per dirla ancora con Jauss, sul comportamento sociale di ognuno. E questo, ancora una volta, può accadere anche se non corriamo fuori di casa a cercare dell’LSD al termine del primo articolo o libro sull’argomento che leggiamo. La forza di tale Rinascimento risiede esattamente in questo, ovvero nell’oceano di possibilità che si apre davanti e grazie a questo mito: perché possiamo iniziare a riconsiderare alcuni automatismi della nostra percezione e interpretazione del mondo anche senza assumere psilocibina, perché possiamo iniziare a depotenziare la tirannia del nostro ego anche senza affidarci a uno sciamano, perché possiamo iniziare a pensare di curare la nostra depressione in maniera alternativa anche senza partecipare a uno studio della New York University, e perché sognare la loro liberalizzazione ci pone davanti ad altre e ulteriori questioni politiche e sociali che non possono essere trascurate. Certo, molti sosterranno che l’aiuto fornito in tal senso da queste sostanze è incredibilmente valido e ben più efficace di qualsiasi buon proposito progressista, e non ho alcun motivo di credere che non sia così. Come detto, però, di questo non posso parlare, ma è indubbio che il dibattito originatosi intorno e partire da queste esperienze riesca a coagulare intorno a sé questioni a dir poco centrali del nostro tempo, nei confronti delle quali ogni giorno sentiamo aumentare fatica e stanchezza, a dispetto di ogni tentativo di analisi e comprensione. Nell’ultimo anno, poi, la situazione pandemica non ha fatto che aumentare il senso di impotenza e frustrazione, mentre le citate questioni politico-sociali sono esplose in tutta la loro chiarissima ineluttabilità e mentre le nostre vite hanno subito e continuano a subire una compressione psichica e sociale senza precedenti. E allora, forse, leggere di tutto ciò in questo momento storico può acquisire un’importanza ancora maggiore, aprendoci a possibilità, visioni, interpretazioni e percorsi che non avremmo mai immaginato, ma che possono indicarci la via per il ritrovamento di un senso possibile e sempre più necessario. Se già solo leggerne fa quest’effetto, non oso immaginare il resto.

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