Recensioni / La scommessa psichedelica tra libertà di cura e libertà cognitiva

La scommessa psichedelica (Quodlibet Studio, 2020) raccoglie 14 saggi che, analizzando la realtà delle sostanze che “rivelano la mente”, mettono il lettore di fronte a un vero paesaggio lisergico, fitto di connessioni imprevedibili, in cui è facile perdersi.
Peppe Fiore, nel saggio Il trip report come sottogenere della letteratura di viaggio , si chiede: “Cosa resta dell’uomo occidentale quando gli togli la logica? Resta la cosa che ci scotta di più, la scottatura dell’irrazionale”. Suggerisce perciò di prepararsi a un trip portando con sé una domanda, una questione aperta, come quando si consulta l’I Ching.
Il libro ci offre più di una mappa per muoverci all’interno di questo paesaggio e allora, per fare un buon viaggio e rimanere ancorati ai nessi di causa e effetto sui quali sembra essere progettata la nostra brillante mente occidentale, occorre partire da una domanda, che in questo caso potrebbe essere: “Cosa c’è di realmente pericoloso negli psichedelici?”

Di cosa parliamo quando parliamo di “psichedelici”
DMT (dimetiltriptammina): Triptammina allucinogena estratta da diverse specie di piante, utilizzata da varie popolazioni amazzoniche in rituali sciamanici; il più celebre è quello dell’ayahuasca.
Psilocibina: Triptammina allucinogena presente in varie specie di funghi usati fin dall’antichità e assunti normalmente per ingestione diretta.
LSA: Ammide dell’acido lisergico, o argina, presente in natura in diversi tipi di pianta, è stata usata come base per la creazione in laboratorio dell’allucinogeno più famoso, l’LSD.
LSD: Dietilammide dell’acido lisergico, sintetizzato con il nome di LSD-25 dal chimico svizzero Albert Hofmann nel 1938 presso i laboratori della casa farmaceutica Sandoz.
Ketamina: Anestetico allucinogeno diffusosi negli anni Settanta, ancora oggi utilizzato in tutti gli ospedali come anestetico d’emergenza e in veterinaria come sedativo.
Mescalina: 3,4,5-trimetossi-β-fenetilammina, isolata a fine Ottocento, estratta da piante grasse tra le quali la più celebre è il peyote, tradizionalmente usato dai nativi americani nei rituali sciamanici.
MDMA: 3,4-metilenediossimetanfetamina, nota anche come ecstasy, studiata nel trattamento terapeutico di acufene, alcolismo e ansia in persone affette da forme di autismo.

L’Età classica
Gli psichedelici hanno avuto una storia tormentata dovuta all’intrinseca complessità dei loro effetti e agli usi controversi e contraddittori che ne sono stati fatti. Nel corso degli anni Cinquanta, diversi studi hanno mostrato il valore che potevano avere nell’affrontare alcune patologie, previo un uso debitamente medicalizzato.
Lo psicoanalista Charles Savage pubblicò nel 1952 uno studio sull’uso dell’LSD contro la depressione, mentre Humphrey Osmond, oltre a coniare la parola “psichedelico”, studiò gli effetti positivi dell’acido sull’alcolismo, pubblicando i suoi risultati nel 1953. Sempre nel 1953, in Inghilterra, il dottor Ronald Sandison aprì la prima clinica di psicoterapia in cui si faceva uso di LSD. Intellettuali e artisti di tutto il mondo, da Ginsberg a Fellini, scoprivano o avrebbero presto scoperto la fertilità creativa dell’LSD, mentre sostanze come la psilocibina diventarono una moda, grazie all’endorsement dei personaggi pubblici che si recavano in religioso pellegrinaggio dalla celebre curandera Maria Sabina.
A parte artisti e intellettuali, per tutti gli anni Cinquanta anche molti americani benestanti fecero uso di LSD e psilocibina, dietro prescrizione di uno psichiatra e all’interno di una cornice terapeutica. I risultati erano buoni, soprattutto perché gli effetti di queste sostanze, diversamente da tutte le rivali, sembravano durare, consentendo assunzioni molto dilatate nel tempo e prive di tossicità.
Oltre che le porte della percezione, gli psichedelici avevano dunque aperto anche nuove frontiere per la cura di depressione e dipendenze, mali dell’io che stavano diventando fenomeni di massa. Per questo, le industrie farmaceutiche e i ricercatori cominciarono a interessarsene. Ma non furono gli unici.
Alcuni documenti declassificati sotto la presidenza Clinton rivelano che nel contesto dei Mind Control Program della CIA, a partire degli anni Quaranta e con l’aiuto dell’esercito si svolsero esperimenti che, oltre a varie e fantasiose tecniche, utilizzavano anche gli psichedelici; per esempio “per ottenere informazioni indipendentemente dalla volontà dell’interrogato e senza l’uso della violenza” (ma con la mescalina), oppure per creare nuovi prodotti incapacitanti a base di allucinogeni.
Nel 1942 il capo dell’OSS (l’Ufficio dei Servizi Strategici, antesignano della CIA), generale William Donovan, aveva avviato un programma di ricerca segreto sull’utilizzo di sostanze che inibissero le difese psicologiche delle spie nemiche e dei prigionieri di guerra. Le ricerche furono sospese nel 1953, quando il biologo militare Frank Olson si suicidò dopo aver assunto a sua insaputa l’acido lisergico, ma andarono avanti in clandestinità almeno per altri dieci anni, scoperte infine da un controllo di routine dell’ispettore generale della CIA, John Earman, che definì gli esperimenti disgustosi e contro ogni etica. La CIA ebbe sempre sotto controllo tutti gli scienziati occupati nei programmi di ricerca con l’LSD, che acquistava direttamente dalla Sandoz. Nel 1954 cercò persino di farlo produrre dalla Eli LIlly Company a Indianapolis, per avere rifornimenti domestici e autonomi, nonostante il brevetto fosse ancora in mano alla Sandoz, che lo avrebbe mantenuto fino al 1963. Dopodiché, per i successivi tre anni, fino al suo inserimento nella Tabella I, la dietilammide dell’acido lisergico fu libera.
Proprio in quegli anni, negli Stati Uniti il verbo degli hippie si diffondeva e la New Left stava crescendo. Le rivendicazioni culturali, sociali e politiche di questi movimenti erano venate di un fermento libertario legato anche all’uso degli psichedelici. Illustri think tank conservatori come la Rand Corporation vedevano negli psichedelici un antidoto all’attivismo politico, mentre uno studio dello Stanford Research Institute ne riconosceva la diffusione nella Nuova Sinistra e li considerava uno strumento di cambiamento politico.
Anche tra i padri spirituali della psichedelia esistevano forti oscillazioni nei giudizi sulle sostanze, che Andrea Betti in Perché un Rinascimento non si faccia Restaurazione riconduce a due linee genealogiche: quella “aristocratico-farmaceutico-mistica” di “Hofmann-Huxley”, più elitaria, che prediligeva un’esperienza estetica e controllata, e quella “controculturale-rivoluzionaria”, più democratica, la linea “Artaud-Ginsberg-Leary”.
Timothy Leary, professore di psicologia di Harvard, esplorò all’interno del suo corso “Espansione sperimentale della coscienza”, nel 1961, le potenzialità della psilocibina facendola provare agli studenti. La sua ricerca e l’ambizione di diffondere l’LSD tra universitari e adolescenti, accettando lo scotto di incidenti ed esperienze ingestibili, gli costarono la cattedra e il lavoro, ma fecero di lui il maggior sostenitore di un uso democratico degli psichedelici.
La conseguente sovraesposizione valse a Leary anche il titolo di “Uomo più pericoloso degli Stati Uniti” in un momento complicato, durante e dopo l’assassinio di Kennedy, con il crescente impegno in Vietnam sotto Johnson e la successiva elezione di Nixon.
Molti intellettuali, psicologi, attivisti, artisti, erano interessati agli psichedelici per i loro effetti creativi, cognitivi e conoscitivi; altre categorie di persone cercavano invece medicinali a base di queste sostanze che l’industria farmaceutica poteva offrire loro. Ma il capitalismo aveva partorito un figlio multiforme e ribelle che andava riportato all’ovile, il prima possibile e con ogni mezzo.
Che fossero sostanze rivoluzionarie o meno, criminalizzare gli psichedelici era una buona mossa per rispondere a una minaccia politica, particolarmente insidiosa poiché in grado di agire a un livello capillare, individuale, addirittura dentro le pieghe più recondite della mente, laddove giacciono i fondamenti invisibili di ogni ordine. Non si trattava, oltretutto, di una minaccia che riguardava un solo paese, o un solo sistema di valori, ma che li coinvolgeva tutti.
E fu così che sui sogni colorati, sul potenziale terapeutico e sul mistero cognitivo degli psichedelici calò la cappa della repressione.

Il Medioevo
Dopo gli anni Sessanta, gli psichedelici sono sopravvissuti all’ombra di alcune sottoculture di ispirazione hippie, che seguendo la scia della mistica orientale si erano rifugiate in India, oppure in Sudamerica, o ancora in spazi temporaneamente sottratti a una società che si era dimostrata irredimibile.
Una storia che si era rivelata ostile alle rivoluzioni si stava dirigendo verso gli anni Ottanta: negli anni del riflusso lo spazio di manovra per le controculture, per le politiche rivoluzionarie e le esperienze psichedeliche non era più uno spazio pubblico ma piuttosto individuale.
“Fai ciò che ti rende felice”, “credi in te stesso”, “segui i tuoi sogni” e “fregatene di cosa pensa la gente” sarebbero diventati i nuovi mantra dell’individualismo mainstream, mutuati direttamente dalle controculture psichedeliche.
Nel 1992, in occasione del I Congresso Internazionale sugli Stati Alterati di Coscienza, Albert Hofmann presentò un saggio sui Misteri di Eleusi. La sua riflessione finale affrontava il concetto di trasformazione dell’individuo, quel movimento interiore teso al miglioramento di sé che “non può essere delegato alla società o allo Stato; il cambiamento deve e può aver luogo soltanto dentro ciascun essere umano”.
Chiara Baldini, nel saggio Tramonto al tempio. I festival psichedelici e gli antichi culti misterici , rintraccia l’eco degli antichi rituali celebrati a Eleusi nei festival psichedelici come il Burning Man (USA), Boom Festival (Portogallo), WAO (Italia) e nell’evoluzione della scena musicale psytrance.

Le feste sono un fenomeno sotto-culturale e globale evolutosi nel tempo, scartando le soluzioni meno convincenti e raffinando quelle più efficaci, a tutti i livelli, fin dalle prime iterazioni sulle spiagge di Goa, quando i dj iniziarono a eliminare le parti vocali dai loro mix per venire incontro alle esigenze psichedeliche dei festanti.
F. di Vita, La sindrome di Stendhal nell’era della sua riproducibilità tecnica, p. 273.

In questi contesti protetti, oltre alla dimensione dello svago entro setting esteticamente curati in modo da accompagnare al meglio l’esperienza psichedelica, i partecipanti sembrano accogliere la suggestione hofmanniana di un cambiamento che deve avvenire all’interno di ciascuno, ma declinato in forma rituale, collettiva e condivisa.
Altre frange della stessa controcultura si legarono al Sudamerica e ai rituali dell’ayahuasca, come racconta Francesca Matteoni in Piante sacre: ayahuasca, sciamanesimo e coscienza ecologica . Era questo un sentiero battuto in cerca di una relazione diretta con la natura, ogni giorno più lontana per la costante accelerazione tecnologica. La “dissoluzione dell’io”, uno degli effetti attribuiti alla DMT e agli psichedelici in genere, poteva essere davvero un antidoto all’assurdo mito dell’unicità umana, sociale e individuale, un’intossicazione da accogliere con il sollievo per un ritrovato rapporto con un tutto originario. L’Occidente capitalista stava infatti perdendo anche gli ultimi contatti con il pianeta, inseguendo l’idea di una superiore alterità dell’io rispetto ai suoi (dis-)simili, di una società rispetto alle altre, della specie umana rispetto alla Terra, e persino quella di un pianeta inspiegabilmente unico in un cosmo per lo più ignoto.
Cercare nuove strade per la conoscenza dell’io in relazione al mondo, percorsi che consentano di percepire i legami invisibili con un universo in perpetua vibrazione, sono istanze tipiche delle esperienze psichedeliche, ma che hanno saputo dare nuova linfa anche alla più dura delle scienze.
Carlo Rovelli ha scritto che dopo la Seconda Guerra mondiale la maggior parte dei fisici si impegnò sul fronte applicativo, tendendo a ignorare i problemi che la meccanica quantistica aveva sollevato a proposito della realtà e del nostro modo di conoscerla. “Già dagli anni Sessanta l’interesse per i problemi concettuali comincia a rinascere, curiosamente stimolato anche dall’influenza della cultura hippie, affascinata dalla stranezza dei quanti” (C. Rovelli, Helgoland , Adelphi, 2020, p. 66).
La psichedelia dette un impulso vitale anche alle scienze e alle tecnologie informatiche, che in capo a qualche decennio avrebbero preso le redini del capitalismo.

Nel 1968, a San Francisco, si tenne quella che ancora oggi viene definita dagli storici dei computer come la Urmutter di tutte le presentazioni tecnologiche; sotto l’effetto dell’LSD, l’ingegnere Douglas Engelbart diede dimostrazione di alcune sue invenzioni che in breve tempo divennero l’ambiente della Macchina in cui ancora oggi ci muoviamo: il mouse, l’interfaccia grafica per computer, l’email e le videoconferenze.
E. Camurri, Gnosticismo acido, p. 197.

Ma i nessi fra esperienza psichedelica e mondo digitalizzato sono innumerevoli e multiformi (“The pc is the LSD of the ’90s”), come ci ricordano Silvia dal Dosso e Noel Nicholaus nel saggio Oltre la Realtà: Internet e memetica tra magia, estasi e distruzione , non sempre unidirezionali e spesso imprevedibili. Questi nessi rimandano direttamente alle strutture che hanno dato forma al mondo contemporaneo, concretizzando l’incubo distopico e senza via d’uscita che Mark Fisher ha definito “realismo capitalista”.

Inciso numero uno: capitalismo digitale e psichedelia
Se negli anni bui della CIA e del Mind Control Program la mente è stata un terreno di battaglia politica, nel mondo digitalizzato è divenuta terra di conquista per il rampante capitalismo dei big data.
In Scansatevi dalla luce , James Williams invita alla resistenza contro la neuromanipolazione operata dagli “imperi della mente”, una lotta politica che viene prima di ogni altra “… in primo luogo perché i nostri media sono la lente attraverso la quale comprendiamo e ci dedichiamo a quelle faccende che abbiamo storicamente inteso come “politiche”; in secondo luogo perché essi sono oggi la lente attraverso la quale guardiamo tutto, compresi noi stessi” (J. Williams, Scansatevi dalla luce , effequ, p. 146).
Come evidenzia Marco Cappato, il dibattito pubblico e le istituzioni sono lontani da una presa di coscienza in merito:

Nella corsa alla conoscenza dell’umano sono ad oggi quasi del tutto assenti investimenti che siano invece finalizzati a ottenere il risultato opposto: il rafforzamento della persona nel relazionarsi sia con coloro che vogliono vendere qualcosa sia con coloro che sono intenti a sorvegliare o punire.
M. Cappato, Psichedelia e politica, p. 145

Il potenziale destabilizzante degli psichedelici è indubbiamente parte della loro valenza politica ma, ricorda Edoardo Camurri citando la “democratizzazione della neurologia” di Mark Fisher, nel contesto attuale, grazie alla loro intrinseca spinta a mettere in discussione la realtà, sostanze come l’LSD potrebbero idealmente far parte di un arsenale necessario a riappropriarsi della nostra compromessa libertà cognitiva. In questo senso la questione psichedelica diventa politica. Ma c’è di più.

Inciso numero due: le insidie del microdosing
Le assunzioni ripetute di piccole dosi non producono gli effetti per i quali gli enteogeni sono famosi, e complessivamente il risultato sembra essere quello di vivere meglio la propria quotidianità, qualunque essa sia: quella di un impiegato che, pur non essendo clinicamente depresso, si sente spesso ombroso e malinconico senza ragioni evidenti; quella di chi fa i conti con patologie tipiche della vecchiaia; quella della produzione artistica; ma anche quella dei giovani laureati, che con le loro idee alimentano i grandi colossi dell’high tech nella Silicon Valley e sentono la pressione di dover essere sempre competitivi, concentrati e creativi.
Il modello imprenditoriale che ha dato vita al capitalismo 2.0 ha elevato la creatività a fattore produttivo, proiettandola nelle regole di un sistema tecnordinato e anzi, facendone la componente fondamentale. Lontano dall’arte e dalla spiritualità, si assume il controllo di un altrove ricco e immaginifico nello spazio della quotidianità lavorativa: microdosi di eccezionalità nella sola dimensione compatibile con le esigenze produttive.
Sono qui evidenti i segni di una controcultura divenuta parte di un sistema dominante, che addirittura ristruttura i meccanismi che gli consentono di essere dominante, per mano di chi ha architettato la rete ipertecnologica su cui oggi si basa il capitalismo della sorveglianza.

… gli psichedelici continuano a essere buoni strumenti per lo sviluppo di un pensiero anti-ideologico, ma di fronte ai programmatori della Silicon Valley che praticano il microdosing di LSD per aumentare la produttività lavorativa, o anche solo al più ben intenzionato scienziato alle prese con il potenziale squisitamente terapeutico degli psichedelici, è difficile immaginare, oggi, una società animata da una tale foga anti-sistema.
V. Santoni, Medicina per il mondo… o per i mercati? , p. 154.

Il Rinascimento psichedelico
Per tutto il medioevo gli psichedelici hanno lavorato in maniera sotterranea nelle controculture, ma anche in alcune branche sperimentali in ambito psicologico: per esempio negli Stati Uniti l’MDMA è stata utilizzata nella psicoterapia di coppia fino a quando è diventata illegale nel 1985; Ilaria Giannini, in Rompere gli schemi: la cura psichedelica alla depressione , testimonia la presenza di psicoterapeuti, anche italiani, che usano gli psichedelici come coadiuvanti nelle psicoterapie; oppure lo psicologo e docente James Fadiman, allievo di Leary, che ha raccolto dati, condivisi online in maniera anonima, sulla sperimentazione autogestita di esperienze di microdosing. L’assunzione di dosi minime di LSD o di psilocibina è diventata negli anni una pratica piuttosto diffusa e ben definita da precise indicazioni e suggerimenti (vedi siti come microdosing.com, trufflemagic.com o thethirdwave.co). Uno degli ambiziosi traguardi della condivisione di questo genere di protocolli è la reintegrazione degli psichedelici nella cultura mainstream, in forme assennate e consapevoli.
Ma da un certo punto in poi, queste correnti sotterranee sono progressivamente emerse, guadagnando il lustro di dibattiti e palcoscenici prestigiosi.
Il primo anno simbolico del Rinascimento psichedelico, ricorda Federico di Vita nell’introduzione Breve storia universale della psichedelia , è il 2006, quando si tenne il Simposio per il centenario del padre dell’LSD, Albert Hofmann. L’occasione fu una sorta di outing per illustri membri di diverse comunità scientifiche, che presentarono i risultati delle rispettive ricerche convergendo verso un auspicio unanime: riprendere la sperimentazione legale dell’LSD.
Il secondo anno è il 2016, con la pubblicazione da parte di Robin Carhart-Harris delle prime immagini della risonanza magnetica di un cervello sotto l’effetto dell’LSD. Con una ricerca per la Beckley Foundation, svolta sotto l’ala dell’Imperial College, Carhart-Harris ha mostrato i risultati molto soddisfacenti della sperimentazione di dosi significative di LSD, entro un percorso di psicoterapia, su pazienti afflitti da depressione resistente. Ma l’uomo davvero capace di attirare l’attenzione del grande pubblico è stato l’abile divulgatore Michael Pollan, autore di Come cambiare la tua mente (Adelphi, 2019) best-seller che ha diffuso urbi et orbi il “meraviglioso potenziale di LSD, psilocibina e DMT”.
La strada verso quella che Andrea Betti definisce “redenzione farmaceutica” degli psichedelici sembra segnata, ed è qui che si arriva alla vera Scommessa.

La Scommessa Psichedelica
Sappiamo che sotto l’effetto degli psichedelici il cervello si attiva in modo anomalo, moltiplicando la quantità di connessioni. In tutti noi esistono pattern di attivazione neurale che si ripetono in funzione di una routine cognitiva, formando configurazioni stabili che prendono il nome di DMN, default-mode network . Definendo percorsi sicuri, le DMN inibiscono gradualmente le strade alternative: diventano, in un certo senso, delle specie di prigioni dell’io. E proprio qui intervengono gli psichedelici, che dissolvendo questi pattern, dissolvono l’io. Si tratta di:

Un processo potenzialmente terapeutico, perché spezza i circoli viziosi della mente, compresi quelli depressivi, e abbassando le barriere dell’ego consente al paziente di aprirsi a una nuova narrazione di sé stesso che sia più funzionale, di accettare la possibilità di trasformazione che è in fondo l’obiettivo della psicoterapia.
I. Giannini, Rompere gli schemi: la cura psichedelica alla depressione, p. 109

Sembra che questa percezione, che verosimilmente oltrepassa i limiti del linguaggio, riesca anche a dare sollievo a molti malati terminali, permettendo loro di contemplare con serenità l’ormai prossimo inabissamento della coscienza. Molti scoprono finalmente la pace di una implicita e palpabile connessione con il mondo.
Ma perché le potenzialità degli psichedelici possano essere stabilite e liberate, occorre intanto che le leggi lo consentano. Godere dei benefici del progresso scientifico e delle sue applicazioni, dal 1996 è un diritto umano fondamentale, stabilito dalla Convenzione ONU sui diritti economici, sociali e culturali. In virtù di questo, Marco Cappato insiste sul libero accesso a cure che rientrino in protocolli terapeutici dei Servizi sanitari nazionali e sovranazionali.
Il mercato degli antidepressivi è enorme e in costante espansione e, rispetto all’approvazione di farmaci e protocolli, le grandi industrie sono pronte a farsi valere. È già accaduto con le pressioni esercitate su Trump dalla Johnson&Johnson a favore dell’esketamina, una molecola parente — ma sotto brevetto — della più celebre ma poco remunerativa ketamina, come racconta Agnese Codignola in L’antidepressivo di Donald Trump . Presto o tardi, con LSD, psilocibina e DMT potrebbe accadere lo stesso.
Inoltre, come ricorda Carlo Mazza Galanti nel saggio Fantadroghe e pseudorealtà. Su alcune interpretazioni letterarie della psichedelici , patologie come depressione, dipendenze e stress post-traumatico sono inscindibili dal contesto sociale e culturale, per cui ogni soluzione individuale e non sistemica sarebbe soltanto, per quanto utile, un palliativo. Lo stesso discorso vale per il microdosing come mezzo per garantire le performance professionali, a tutto favore di un capitalismo sempre più affamato di creatività.
Dunque:

… questo incerto Rinascimento, perché non resti circoscritto a circuiti ristretti (e costosi) di psicoterapia per élite, deve farsi carico di tutta la sua portata politica e diventare un movimento per il diritto all’accesso alla cura psichedelica e per la libertà cognitiva.
G. Magini, Psuedoglossario, p. 298.

Oltre al rischio di fare degli psichedelici farmaci per terapie di lusso, c’è quello di svalutare il loro potenziale di liberazione cognitiva, ossia di tradire la loro intrinseca natura anti ideologica e controculturale che, per tornare alla domanda da cui siamo partiti, più delle controindicazioni mediche è ciò che li ha resi davvero pericolosi.
Dopo la geopolitica e la biopolitica, il paesaggio odierno è quello della pneumopolitica, la “politica dello spirito”, come scrive Edoardo Camurri, e dunque oggi più che mai gli psichedelici possono essere un’arma di lotta, sia perché quello cognitivo è il nuovo terreno di scontro con il capitalismo degli “imperi della mente”, sia perché è urgente la diffusione di un pensiero politico non ideologico e non antropocentrico.

Ecco allora che un farmaco che ha tra i suoi effetti quello di ridurre o superare la paura della morte favorendo un pensiero olistico, sistemico e meno egoriferito, quando non una Weltanschauung spiritualista tout court, potrebbe essere desiderabile, se non per innescare rivoluzioni, almeno per ricordare a tutti che, ormai, la salute può solo essere collettiva, ovvero inseparabile da quella del pianeta.
V. Santoni, Medicina per il mondo… o per i mercati? , p. 155.

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