n viaggio nel tempo
per gettare uno
sguardo nella bottega di Carlo Mollino:
l'ideatore presenta un progetto e lo condivide con gli artigiani. Entrano in gioco lime e seghetti, si toglie materia. Hanno voce in capitolo anche le famiglie che ospiteranno l'opera
finita. L'oggetto si evolve nel
processo creativo fino a raggiungere la sua forma definitiva, diversa. Il nuovo libro Carlo Mollino Designs (Quodlibet), scritto dallo storico del
design e docente al Politecnico di Torino Pier Paolo Peruccio insieme all'architetta e ricercatrice Laura Milan, svela
un aspetto inedito del lavoro
del genio torinese celebre per
aver progettato edifici come
l'Auditorium Rai e il Teatro Regio ma altrettanto brillante
progettista di interni e di designer. Tutto da scoprire.
«La ricerca è partita dall'analisi di due giacimenti importanti — spiega Peruccio —. Il primo,
l'archivio Carlo Mollino, con i
progetti, i manoscritti e i disegni tecnici destinati alla discussione in bottega, si trova al Politecnico, mentre all'altro, l'archivio fotografico di Riccardo
Moncalvo, abbiamo potuto accedere grazie al figlio Enrico,
che è un collega dell'Ateneo. Il
padre era un fotografo, un amico intimo di Mollino, e ne ha testimoniato l'opera».
L'attenzione degli studiosi
per la prima volta si concentra
sul dietro le quinte: non sull'opera in sé ma su come si è arrivati a definirla. Più complesso di
quanto si possa immaginare e
anche più interessante. «Mollino è stato un professionista isolato, un po' un eroe solitario.
Non ha avuto allievi: era un battitore libero, ma questo vale soprattutto per l'architettura»,
precisa l'autore del libro. Per la
definizione degli oggetti di design si recava nei laboratori degli
artigiani, come gli ebanisti
Francesco Apelli e Lorenzo Varesio, il produttore di mobili
metallici Napoleone Doro e i
fratelli Tesio che lavoravano il
legno a Carmagnola: «È lì che
prendevano forma e si realizzavano quelle opere quasi d'arte.
Di concerto con il progettista,
gli artigiani modificavano
scientemente il disegno originario apportando lievi o sostanziali interventi per ragioni funzionali o di gusto. Il risultato,
l'oggetto fisico, non è una fedele riproduzione dell'intuizione
del progettista: entrano in gioco altri attori del processo, compresi i committenti, in un'azione che diventa corale e conduce a revisioni continue e sintesi
straordinarie».
Un lavoro di squadra, quindi, ben lontano dal concetto di
produzione industriale, di serie: «Così sono nati i tavolini
più conosciuti della serie Arabesco, in compensato curvato
da Apelli e Varesio tra i11949 e
il 1950. E un modus operandi
molto diverso da quello di designer contemporanei come
Achille Castiglioni che lavorava con il fratello per creare la
lampada Arco in un'ottica di riproduzione seriale».
Nuova luce sul poliedrico
progettista cne vive una nuova
riscoperta dopo quella degli
anni 1980: «Quando l'azienda
milanese Zanotta decise di
mettere in produzione otto
prodotti arditi di Mollino, lui
era ancora poco conosciuto.
Solo quattro anni dopo, nel
1985, usciva la prima monografia a lui dedicata, a firma
del professore del Politecnico
di Torino Giovanni Brina».
La ricerca però non è conclusa: «Il lavoro di Mollino non è
ancora stato compreso appieno e il suo estro creativo continua ad affascinare — dice Peruccio —. Ha attinto moltissimo dalle proprie esperienze e
dai propri interessi, come ilvolo e lo sci. Non solo sciava, era
un maestro di sci e scrisse anche un libro sul discesismo:
quando si applicava in una materia raggiungeva livelli altissimi. La sua passione per il teatro e la fotografia rientrano
all'interno della sua attività
professionale. E una figura
cangiante di cui possiamo cogliere molteplici aspetti osservando i documenti d'archivio:
non finisce mai di stupire».