Designer, grafico, fumettista, illustratore consacrato dal
New Yorker e artista collezionato dal Metropolitan Museum, con un gesto da grande
maestro Seymour Chwast si è appropriato della Divina Commedia
di Dante, e seguendo l'estro della
sua fantasia l'ha riscritta da capo.
Sconcerta un po', sulle prime, trovare Dante che si aggira perla selva oscura abbigliato come un detective di Raymond Chandler, con
tanto di occhiali neri e Borsalino,
accompagnato da un Virgilio in
total black, tutto in nero compreso il Borsalino, che ragiona come
l'Hercule Poirot di Agatha Christie. Ma Chwast sa bene come evitare il buco nero della parodia, rimanendo fedele al sommo Dante
anche quando disegna la bocca
dell'Inferno in stile Art Déco come l'ingresso del Rex di Parigi, oppure il volto di Beatrice un po'
Marlene Dietrich (Angelo Azzurro) e un po' Faye Dunaway (Chinatown). Chwast ha modellato il suo
Dante pop prendendo le immagini dalla realtà di oggi per rappresentare l'eterna messa in scena
della storia dell'uomo, compresa
fra la commedia della vita e la tragedia della morte.
LE IMMAGINI
Con uno studio dottissimo la studiosa di iconologia medievale
dell'Università di Bologna, Laura
Pasquini, ha ricostruito le immagini che si materializzavano nella
mente di Dante mentre pensava e
scriveva la Divina Commedia. Dice il verso numero 92 del canto
XXVII del Paradiso, scelto come titolo: «Pigliare occhi per avere la
mente». Per il popolo che non sapeva leggere, i racconti dipinti sui
muri dei palazzi e sulle volte delle
chiese, erano la fonte principale
di quel sapere condiviso fatto di
narrazioni e credenze su cui si
fondavano le identità geografiche, politiche, storiche e religiose.
Un'opera popolare che veniva letta per le strade, il primo era stato
Boccaccio che ne declamava i versi all'Orsanmichele fin dal 23 ottobre 1973, dalla gente comune veniva automaticamente associata a
quella rete di figure che facevano
parte della personale «biblioteca
interiore» di ciascuno. Ricchissima doveva essere quella di Dante!
Piace a Laura Pasquini immaginare il poeta immerso in quel repertorio di figure che aveva visto e
ammirato fra Firenze e Ravenna,
forse anche Venezia e Roma o Padova, chissà... E si rimane storditi
a seguire la rete dei percorsi che
attraverso la ricchissima documentazione iconografica ci portano dentro la lirica dantesca.
GABBIA DORATA
Un esempio assoluto di quel «visibile parlare», forma suprema della poesia, ce lo dà la pittura di Giotto che in parte precede la Commedia di Dante. Così come Giotto
rompe la gabbia dorata della pittura bizantina, Dante tritura e impasta il latino dei preti e dei letterati nella lingua nuova del "volgare" toscano che ancora oggi parliamo. Ecco: si può dire, con una
certa irriverenza non priva di una
intima verità, che molti versi della
Commedia si possano leggere come i fumetti degli affreschi di Giotto. Particolare che non deve essere sfuggito a Seymour Chwast. La
sua immagine di Lucifero "trifronte" rappresentato come un gangster con tre bocche che divora per
l'eternità i massimi traditori
dell'umanità, Giuda e con lui Cesare e Bruto, raccontato da Dante alla fine dell'Inferno, è calcato alla
lettera dal particolare del Giudizio
Universale della Cappella degli
Scrovegni di Giotto. Che a sua volta si era ispirato al Lucifero di Coppo di Marcovaldo del Battistero di
Firenze.
Chi vince? In comune hanno la
grandezza di Dante, ma rispetto al
genio grafico di Chwast, la storica
dell'arte Pasquini ha dalla sua il
genio di Giotto.