Recensioni / A Napoli non c’è astrazione

Ogni progettista attinge a un proprio alfabeto di luoghi, forme e dettagli che si compone delle architetture studiate, vissute o immaginate. Forme annidate nella memoria che riemergono autonomamente e costituiscono il carattere di un linguaggio.
Con questo libro Umberto Napolitano, partner dello studio parigino Lan insieme a Benoit Jallon, torna nella sua città d’origine per ricostruire consapevolmente quei frammenti rimossi, rintracciati a posteriori nei suoi progetti.
La ricerca si concentra su diciotto edifici costruiti a Napoli tra il 1930 e il 1960, analizzati attraverso le fotografie del francese Cyrille Weiner, gli approfondimenti teorici di Andrea Maglio, Manuel Orazi e Gianluigi Freda, cui si aggiungono diciotto schede descrittive, una per ciascun progetto, illustrate da planimetrie, prospetti e sezioni.
Uno dei punti in comune tra i progetti di Luigi Cosenza, Stefania Filo Speziale, Marcello Canino e altri è il rapporto imprescindibile con il contesto, non solo sociale – già abbastanza complesso e stratificato – ma anche fisico: la composizione materiale della città, con i suoi vuoti sotterranei, le colline, il golfo e le variazioni di quota, reclama un’attenzione che costringe la forma architettonica ad adattarsi a essa. L’astrazione, l’idea pura, non trova spazio a Napoli. Ed è per questa “assenza di tensione verso l’idealizzazione” che la città è stata in grado di assimilare le caratteristiche del moderno e restituirle in un modo del tutto proprio.