Recensioni / Controcultura del duemila: una visione d’insieme

Aldous Huxley scrisse una volta: “La cosa più tremenda che può capitare a un profeta è quella di scoprire che aveva torto, ma quella immediatamente successiva è scoprire che aveva ragione” (Huxley, 2018). Huxley aveva sperimentato in prima persona questa situazione. Nel suo capolavoro Il mondo nuovo (1932) aveva delineato un futuro distopico dove le masse sono tenute sotto controllo dal soma, la droga psichedelica che garantisce felicità, entusiasmo e fedeltà all’ordine costituito. Nel 1953 la sua curiosità lo spinse tuttavia a provare su di lui gli effetti della mescalina, somministratagli dallo psichiatra Humphry Osmond. Ne fu estasiato: i suoi successivi trip allucinogeni con l’LSD lo spinsero a scrivere prima Le porte della percezione nel 1954 (i Doors scelsero il nome della band proprio omaggiando il testo di Huxley) e poi nel 1956 Paradiso e inferno, due saggi brevi in cui celebrava entusiasticamente la nascente era psichedelica, a cui fece seguito il romanzo L’isola (1962), nel quale l’uso della moksha, un immaginario estratto di un fungo, con effetti simili alla mescalina, è alla base di una società utopica dedita alla ricerca scientifica e al miglioramento sociale. Tuttavia, ancora nel 1958, nel suo saggio Ritorno al mondo nuovo, Huxley non rivedeva affatto le sue opinioni sui rischi della “persuasione chimica”: pur ammettendo che l’LSD non era assimilabile al soma, osservava che “già abbiamo scoperto buoni sostituti dei suoi singoli aspetti”. Per realizzare la distopia del Mondo nuovo, non si sarebbe resa necessaria alcuna imposizione dittatoriale. Basterebbe “mettere le pillole a disposizione di tutti”, esattamente come il tabacco e l’alcol.

Ritorno al mondo psichedelico
Bisogna sempre tornare ad Aldous Huxley quando si ha a che fare con il cosiddetto “rinascimento psichedelico”, il revival di cui la psilocibina, la mescalina, l’LSD e altre sostanze con effetto allucinogeno stanno godendo in questi anni grazie alle nuove sperimentazioni scientifiche che ne dimostrano le straordinarie potenzialità nella cura della depressione e di altre patologie neurologiche. Bisogna tornare ad Huxley perché, prima ancora di Timothy Leary, “l’uomo più pericoloso d’America”, come lo definì Richard Nixon, fu Huxley ad aprire le porte della percezione alla grande stagione psichedelica degli anni Sessanta e Settanta, ma fu sempre Huxley che ne intravide i rischi insieme alle opportunità. Non a caso intitolò uno del suo saggi Paradiso e inferno: egli era consapevole che, nel trip, il viaggiatore porta con sé la sua visione del mondo, le sue speranze come le sue paure, e spesso sono queste ultime a prevalere. “L’esperienza visionaria è diversa dall’esperienza mistica. L’esperienza mistica va al di là del regno degli opposti, mentre l’esperienza visionaria resta all’interno di questo regno”, scrisse.
Tenendo bene a mente questa riflessione, si può affrontare con meno hype e più matura consapevolezza l’analisi della “scommessa psichedelica”, come la chiama Federico di Vita nell’omonimo libro da lui curato per Quodlibet. Una scelta equilibrata fin nel titolo, che ammette che il rinascimento psichedelico è appunto, innanzitutto, una scommessa, di cui non conosciamo ancora l’esito. Potremmo davvero mettere le capacità della psilocibina – la sostanza alla base dei classici funghi allucinogeni – al servizio della psichiatria e della neurologia, per trattare efficacemente patologie sempre più diffuse? Possiamo sperare che, dopo il lungo “medioevo psichedelico” a partire dalla fine degli anni Settanta – quando le sperimentazioni cliniche con gli allucinogeni vennero proibite e il movimento della controcultura finì in parte nel tunnel dell’eroina e in parte nelle secche del riflusso –, questo rinascimento coincida con una nuova epoca di liberazione dalle gabbie mentali del presente? Oppure rischiamo di commettere di nuovo gli stessi errori? La scommessa psichedelica evidenzia l’esistenza di almeno tre diversi discorsi relativi al tema. Il primo è quello reso popolare dal libro Come cambiare la tua mente del giornalista scientifico Michael Pollan, uscito in Italia nel 2019 per Adelphi, che per primo ha popolarizzato gli studi rivoluzionari del Centre for Psychedelic Research dell’Imperial College di Londra, dove sono state eseguite le spettacolari risonanze magnetiche funzionali sui cervelli di pazienti sottoposti a trattamento con psilocibina o LSD, definite dal neuroscienziato David Nutt “il bosone di Higgs delle neuroscienze”.
Questi studi mostrano in modo inequivocabile la trasformazione che subisce l’attività neurologica durante il trip, con un’attivazione di tutte le aree del cervello in modo simile a un albero di Natale le cui lampadine a intermittenza realizzano fantasiosi giochi di luce. Il secondo discorso è quello relativo alla controcultura dell’Età dell’Acquario, cioè all’humus culturale in cui è nato tutto l’immaginario che ruota intorno agli psichedelici, splendidamente fotografato dal sociologo Erik Davis nel suo – ancora inedito in Italia – Heigh Weirdness (2019), che ricostruisce quel periodo attraverso le vicende di tre protagonisti: Terence McKenna, Robert Anton Wilson e Philip K. Dick. Infine, il terzo discorso ruota intorno alle ambiguità del modo in cui l’immaginario contemporaneo sta recependo la cultura psichedelica. Da questi tre assunti, una lettura incrociata di La scommessa psichedelica – che guarda al futuro – e Heigh Weirdness – che invece rilegge il passato, quello dei “lunghi anni Settanta” – può consentire di estrapolare alcuni punti fermi per capire dove ci può condurre l’odierno rinascimento psichedelico.

“Linee di luce allineate nel non-spazio della mente” Primo, la relazione che c’è tra trip allucinogeni e navigazione su Internet. Punto su cui Erik Davis aveva battuto a lungo nel suo iconico Techgnosis (1998), e su cui si soffermano, soprattutto, Silvia Dal Dosso e Noel Nicolaus nel loro saggio Oltre la realtà: Internet e memetica tra magia, estasi e distruzione:

“Internet e psichedelia sono profondamente legati. Che si tratti in entrambi i casi di tecnologie capaci di espandere la realtà, con conseguenze potenzialmente rivoluzionarie, venne a suo tempo già constatato dal solito, immancabile Timothy Leary. Oltre a definire i PC come l’LSD degli anni ’90, all’inizio del suddetto decennio l’ormai settantenne Leary aggiornò infatti anche il suo famoso invito a giovani e anticonformisti a rifuggire la società dominante in chiave squisitamente cyberpunk, traducendolo come «turn on, boot up, jack in»”.

Del resto, William Gibson definiva il cyberspazio, nel suo seminale NeuromanteWhole Earth Catalog, la storica testata di Stewart Brand dedicata al fenomeno dei fai-da-te da cui sarebbe nata l’ideologia californiana, che Edoardo Camurri lucidamente ha definito “l’Internet delle cose prima ancora che dell’Internet delle cose s’iniziasse a parlare”, si chiudeva con una pubblicità in quarta di copertina con lo slogan Stay hungry, stay foolish con cui Steve Jobs preannunciava l’alba dell’era digitale.
Si tratta di un collegamento essenziale. Se oggi l’esperienza psichedelica resta periferica e aneddotica, non sarà forse perché abbiamo a disposizione un modo di navigare “oltre la realtà” molto più ampio, diversificato, onirico e senza rischi di bad trip? Dal Dosso e Nicolaus individuano però un altro legame tra psichedelia e Internet: il fallimento. Nel senso che, in entrambi i casi, il tentativo di controllare l’esperienza da parte della controcultura, per farne un autentico spazio di liberazione dall’ordine egemonico del reale, è risultato in una sconfitta. Il “giro di vite contro gli hacker” di cui raccontava Bruce Sterling già agli inizi degli anni Novanta sanciva il passaggio dalla sperimentazione cyberpunk all’ingresso dei colossi del digitale, emersi manco a farlo apposta dalla stessa culla lisergica della Silicon Valley degli anni Settanta, ma ben presto venuti a patti con il “sistema” (cfr. Sterling, 1994). La cultura dei meme rappresenta, da questo punto di vista, un tentativo di ritornare all’autenticità del do-it-yourself propagandato da Brand: la capacità dei meme di diffondersi sul web venendo poi modificati e manipolati da chiunque, la loro iconografia esplicitamente allucinogena e il loro impiego per “trasformare la realtà” (anche in senso deteriore, come ha mostrato Gary Lachman [2019]), sono la dimostrazione – come di nuovo Dal Dosso e Nicolaus hanno messo brillantemente in luce – che si può creare una controcultura moderna anche in questo rinascimento psichedelico, senza cadere nella nostalgia della sua prima stagione.

“Incontrare il totalmente altro alla fermata del bus”
Secondo punto: la nostalgia. Diverse voci, ne La scommessa psichedelica, provengono dalla prima stagione, quella iniziata con la Summer of Love, e inevitabilmente guardano al rinascimento contemporaneo con le lenti del passato, senza nascondere una certa insofferenza. È il caso, per esempio, di Andrea Betti, secondo il quale i “rinascimentali”, evitando esplicitamente di richiamarsi ai numi tutelari dell’Età dell’Oro (come, per esempio, Antonin Artaud), sono responsabili di “una rimozione, per mondare l’LSD di ogni imbarazzante retroscena controculturale e renderlo appetibile alla microborghesia odierna [mentre] la repressione intanto prosegue, con intatta protervia come ai tempi di Nixon”. Ma sarebbe davvero sbagliato credere che la psichedelia non vada più a braccetto con la controcultura solo perché i rave party non sono più di moda. Non per questo si dovrebbe parlare, come fa Betti, di “restaurazione”: anzi, la vera restaurazione sarebbe il tentativo delle vecchie generazioni di riprendersi il discorso psichedelico e declinarlo con codici superati da quarant’anni. Una generazione più smaliziata ma non meno visionaria è pienamente in grado, oggi, di portare avanti il discorso psichedelico – come mostrano le voci più giovani del libro curato da di Vita, a partire dallo stesso curatore. Questa generazione conosce perfettamente gli errori compiuti in passato, la facilità con cui si è finiti nei vicoli ciechi degli anni Ottanta, e non intende compierli di nuovo.
Illuminante, a tal riguardo, è la riflessione di Chiara Baldini, che nel suo saggio Tramonto al tempio rilegge l’epopea dei festival psichedelici che ha segnato una generazione con la maturità dell’oggi. E lo fa partendo da quello che lo zio, professore di filosofia, le aveva detto già all’epoca, quando ritornava entusiasta da qualche festival in cui sembrava riuscire a “entrare in contatto con il Tutto” grazie alla musica elettronica: “Non esistono scorciatoie per il misticismo, soprattutto in questa società secolarizzata che non è più in contatto con il sacro… D’altronde sarebbe come incontrare il totalmente altro alla fermata del bus”. Era quello, sostanzialmente, l’errore di figure come Dick o i fratelli McKenna, analizzati nell’ultimo libro di Erik Davis. Il celebre “esperimento a La Chorrera” con cui Dennis e Terence McKenna sperimentarono nel 1971 le potenzialità dell’ayahuasca nella foresta equatoriale voleva essere una sorta di studio antropologico, svolto però con i tipici errori degli antropologi improvvisati che interpretano le culture altre attraverso i propri preconcetti culturali. In cerca del mito del buon selvaggio, i McKenna scimmiottavano le ritualità dello sciamanesimo amazzonico, ma nei loro trip finivano per vedere UFO e catene di DNA. La discutibile contaminazione culturale attraverso cui interpretarono l’I Ching cinese attraverso il calendario Maya ha avuto come inesorabile risultato quello di alimentare il mito della fine del mondo (o di un “passaggio di fase”) del 2012, tipico del pensiero apocalittico e New Age americano (cfr. McKenna e McKenna, 1993). In un’epoca come quella odierna in cui si lotta contro l’appropriazione culturale, non c’è più spazio per quelle che giustamente Michael Pollan definiva nel suo libro “buffonate”. Agnese Codignola, autrice di un rigoroso studio sulla storia dell’LSD, analogamente deplora “il destino degli studi sulle sostanze psichedeliche, ovvero il fatto di portarsi sempre dietro addentellati che oggi chiameremmo new age” (Codignola, 2018), che “non hanno certo fatto bene a questo ambito di ricerca” (ibidem).

“Cosa hai sognato stanotte?”
Ma non si tratta, come sospetta Betti, di un tentativo di normalizzare il rinascimento psichedelico, quanto di mettere l’esperienza psichedelica al servizio di nuovi obiettivi, di una controcultura più matura. “Con l’approssimarsi della catastrofe climatica, credo che sia più che mai necessaria la riscoperta di quegli strumenti che possano riavvicinare i figliol prodighi alla Grande Madre”, propone Chiara Baldini. Analogamente Francesca Matteoni, nel suo saggio Piante sacre: ayahuasca, sciamanesimo e coscienza ecologica, dopo aver discusso di cerimonie dell’ayahuasca svolte con mediatrici culturali dall’inconfondibile accento meneghino, osserva:

“Buona parte del dibattito attuale si concentra sullo sradicamento del culto dalle sue finalità originarie come dal contesto culturale amazzonico, e sul proliferare di un turismo irresponsabile nei remoti villaggi della foresta (…). Fantasie new age che rilanciano il mito del selvaggio sapiente, conoscitore e protettore della foresta, del tutto immune all’individualismo capitalista, non fanno che relegare ulteriormente certi popoli in zone d’ombra e irrealtà, escludendoli dalla prosaica lotta quotidiana per la sopravvivenza materiale di tutti, a ogni latitudine”.

La proposta di Matteoni è molto coerente: “E se la prossima volta non volassimo affatto nelle nostre visioni, non bevessimo nemmeno il decotto, ma inciampando in un ramo di sambuco o di biancospino, ci fermassimo per chiedergli senza imbarazzo: cosa hai sognato stanotte?”.
L’uso di sostanze psicotrope naturali non deve, dunque, avere come unico fine la “morte dell’ego”, come si usa dire durante i trip, o il potenziamento del sé, come vorrebbe la mistica anni Ottanta del self-help. La nuova controcultura è più orientata a usare la psilocibina, la mescalina o l’ayahuasca come strumento di riconnessione degli esseri umani con la natura: che senso ha andare in Amazzonia, se non siamo in grado di riconoscere nemmeno i fiori che addobbano le tavole dei nostri ristoranti o gli alberi che crescono a pochi metri da casa nostra? Esiste dunque una nuova, più matura sensibilità che accompagna oggi l’esperienza psichedelica come mezzo di messa in discussione del presente, che non va squalificata solo perché non segue le orme dei propri padri.
Questo ci conduce al terzo elemento, che già Huxley aveva evidenziato in modo esplicito: psichedelia e spiritualità non sono sinonimi. Il totalmente altro non si incontra alla fermata dell’autobus e non basta calarsi un acido o inghiottire un fungo allucinogeno per entrare in connessione con la “divinità”. Di nuovo Heigh Weirdness di Erik Davis ci viene in aiuto. Grande cultore di Dick, Davis è stato tra i curatori della sua monumentale Esegesi, che solo da pochi anni anche i lettori italiani hanno potuto approcciare in tutta la sua visionarietà. Le esperienze di Dick, la sua ricerca “gnostica” sulla natura della realtà, partì senza dubbio dalle sue esperienze psichedeliche e si tramutò molto presto in un delirante e ossessivo tentativo di dare senso alle sue visioni in una teoria omnicomprensiva che ricalca le circonvoluzioni mentali dei teorici del complotto. Dick non incontrò, davvero, il “sacro”, che egli identificò variamente con un personaggio di nome Zebra e poi con un’intelligenza aliena o artificiale di nome Valis. I suoi studi comparativi sulle religioni, svolti attraverso i rimandi delle voci dell’Enciclopedia Britannica che possedeva a casa, tradivano un profondo desiderio di approdare a un’autentica religione, meglio ancora se quella “più antica di tutte”, che egli identificava con il cristianesimo gnostico (a sua volta mutuato, secondo Dick, dallo zoroastrismo). Ma sostanzialmente il suo lunghissimo trip, interrotto solo dalla morte prematura, può essere riassunto con le parole che Gregorio Magini usa nel suo Pseudoglossario che chiude La scommessa psichedelica:

“Chi dagli psichedelici ha ricevuto magari dei doni, ma tra questi nessuna rivelazione o svolta spirituale duratura, può comunque dire di essersi trovato all’ingresso del sentiero della fede e di aver deciso, forse dopo qualche tentennamento, di non percorrerlo. Una situazione non infelice, basti considerare quanto è terribilmente non felice quella opposta, di chi cerca invano il sentiero della fede e chiama «fede» il cercarlo e non trovarlo”.

“Un’era di lotta memetica, realtà virtuale e stratagemmi arcontici”
Nulla di più sbagliato, dunque, che sperare di fare del rinascimento psichedelico un nuovo strumento di approccio al sacro, come fanno quanti provano a rileggere la storia delle religioni e delle esperienze mistiche tirando in ballo presunti e mai del tutto confermati utilizzi di sostanze psicotrope negli antichi riti, da quelli dei sacerdoti ebrei ai misteri eleusini. Di certo Teresa d’Avila non assunse psilocibina per avere le sue estasi. E qui arriviamo all’ultimo punto. Di nuovo come aveva messo in guardia già Aldous Huxley, anche il nuovo rinascimento psichedelico può avere come suo esito tanto il paradiso quanto l’inferno, a seconda di chi ne assumerà il controllo. Se permettiamo a quanti hanno fatto del noumeno un’esperienza tecnicamente riproducibile, a partire dai “signori del silicio” (Morozov, 2016) che oggi controllano con pugno di ferro l’universo digitale, rinchiudendo l’umanità contemporanea nella gabbia del fenomeno, allora certamente il rinascimento psichedelico diventerà un’arma pericolosa in grado di realizzare l’incubo distopico del Mondo nuovo. Già l’interesse di Donald Trump nei confronti dell’esketamina come cura per i veterani di guerra, analizzato da Agnese Codignola nel suo saggio L’antidepressivo di Donald Trump, dovrebbe rappresentare un campanello d’allarme. Pensare di risolvere il problema della depressione o di altre neuropatologie che sono spesso il prodotto di una società alienata grazie alle sostanze psicotrope pone sicuramente qualche problema, perché si finisce per ignorare la causa e curare il sintomo, con il rischio che, se non si risolve il problema alla radice, il futuro sarà preda di un’autentica pandemia psichica.
Nel romanzo di Stanislaw Lem Il congresso di futurologia (1971), l’uso massivo degli psichedelici permette agli esseri umani di vivere in una permanente illusione che nasconde gli orrori di un futuro in cui le conseguenze dei cambiamenti climatici, la crisi energetica, la sovrappopolazione, l’esaurimento delle risorse e il superlavoro sono semplicemente troppo spaventose per poter essere affrontate lucidamente, e vanno pertanto nascoste. Già oggi il microdosing – ossia l’utilizzo di minime quantità giornaliere di LSD – è utilizzato negli incubatori di startup americani per aumentare produttività e creatività, in attesa che uno dei tech-titani arrivi con la sua proposta di exit e compri tutta la baracca per qualche milione o miliardo di dollari, mettendo le nuove rivoluzionarie idee dei giovani smanettoni al servizio dei loro progetti monopolistici. Sono, del resto, gli stessi che promettono di regalarci universi virtuali dove ogni nostro desiderio potrà diventare realtà, dove appunto il noumeno può essere tecnicamente replicato e personalizzato. Se, dopo aver lasciato loro il controllo del cyberspazio, gli consentiremo anche di acquisire il dominio dello “spazio della mente”, la Prigione di Ferro Nera degli incubi di Dick diverrà realtà. Per questo abbiamo bisogno che al rinascimento psichedelico corrisponda una nuova controcultura, smaliziata, priva delle ingenuità della precedente, matura abbastanza da saper definire i suoi obiettivi, ma anche da saper riconoscere limiti e rischi. “Una profonda familiarità con la fenomenologia psichedelica è semplicemente una buona skill da possedere in un’era di lotta memetica, realtà virtuale e stratagemmi arcontici”, osserva Erik Davis in conclusione del suo High Weirdness.

“Se vogliamo affrontare la realtà del cambiamento climatico, e se vogliamo fare i conti con tutti i non-umani – biologici o di altra natura – i cui destini sono ormai legati ai nostri, allora dobbiamo cercare ed esigere l’incontro con un Reale al di là dei quadri simbolici della coscienza e della cultura, al di là dell’ondata di rapporti elettronici, dei loop narcisistici e del lavaggio del cervello memetico” (Davis, 2019).

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