Recensioni / Recensioni, Michel Leiris, L’Africa fantasma

L’Africa fantasma è un libro che ha attraversato i cambiamenti di statuto delle discipline antropologiche assumendo, di volta in volta, i connotati di falso, di contraffatto in relazione con le prospettive “scientifiche” degli studi etnologici e della descrizione etnografica della realtà con cui si entra a contatto, per assumere poi quelli di opera di riferimento per un approccio riflessivo e di una vocazione letteraria e narrativa dell’etnografia pensata anche in senso artistico. Il libro nasce come diario della Missione DakarGibuti, redatto da Leiris dal 1931 al 1933. Com’è noto la Missione è stata una delle pietre miliari dell’etnologia francese. Evento fondativo, essa si situa in un periodo di grande rinnovamento ed è in relazione con importanti e innovativi progetti museografici. “Organizzata dall’Institut d’ethnologie de l’Université de Paris e dal Muséum national d’histoire naturelle, affidata alla responsabilità di Griaule, la missione Dakar-Gibuti partì nel maggio del 1931 da Bordeaux per un viaggio che avrebbe attraversato l’Africa in diagonale, toccando Senegal, Sudan francese, Costa d’Avorio, Alto Volta, Niger, Dahomey, Ciad, Medio Congo, Congo belga, Ubanghi-Shari, Togo, Camerun, Nigeria, Costa francese della Somalia, Sudan angloegiziano, Abissinia. […] Avrebbero compiuto l’intero viaggio Marcel Griaule, assistente all’École des Hautes Études, etnografo e linguista, col ruolo di capo missione; Michel Leiris, ‘uomo di lettere’, allievo dell’Institut d’ethnologie, col ruolo di segretario-archivista, e incaricato di inchieste sulle ‘società infantili, società senili, istituzioni religiose’; Marcel Larget, incaricato delle osservazioni naturalistiche; Eric Lutten, incaricato della parte tecnologica e delle riprese cinematografiche; André Schaeffner, musicologo, incaricato delle osservazioni etnomusicologiche e delle registrazioni musicali. Vi avrebbero invece partecipato solo per alcuni periodi Jean Mouchet, incaricato della ricerca linguistica, Jean Moufle, aiuto nelle inchieste etnografiche, Gaston-Louis Roux, pittore, […] Deborah Lifchitz, linguista, […] Abel Favre, geografo e naturalista, Oukhtomsky, amico di Rivière, il cui ruolo non era definito […]” (Fiore, p. 676). Il libro uscì in Francia nel 1934 per l’editore Gallimard di Parigi con una dedica a Marcel Griaule, il quale, però, lo sconfessò appena uscito, ritenendolo compromettente per gli studi scientifici etnografici. L’opera, infatti, fece scandalo nell’ambiente degli studiosi: Marcel Mauss la ritenne una poco seria produzione letteraria e gli eventi negativi culminarono con la messa al macero di tutte le copie nel 1941, sotto il nazismo.
Lo stretto rapporto tra etnologia e surrealismo in Francia è stato messo in evidenza e ritenuto elemento caratterizzante la cultura antropologica degli anni ’30. La figura di Michel Leiris si connota esplicitamente e ampiamente entro l’alveo culturale del surrealismo parigino caratterizzato da posizioni fortemente antagoniste e di avversione nei confronti della cultura borghese e del sistema economico capitalistico. Egli stesso lo scrive in più occasioni per motivare la decisione di partecipare alla Missione in Africa.
In Italia il libro è stato pubblicato per la prima volta nel 1984 dall’editore Rizzoli. La nuova edizione di cui si parla conserva la traduzione della prima edizione italiana e il glossario, ed è arricchita da ulteriori apparati documentari, tra cui le note esplicative del curatore francese Jean Jamin e le lettere inviate dall’autore alla moglie durante il viaggio. Soprattutto contiene per la prima volta quaranta fotografie dell’archivio della Missione che impreziosiscono in maniera sostanziale questa necessaria nuova edizione di un libro tra i più incisivi della letteratura etnologica europea. Per fare qualche esempio che possa rendere conto della ricchezza documentaria in grado di scaturire dalla messa in relazione multimediale delle diverse fonti, fotografica e diaristica, ho provato a rintracciare riferimenti nel testo a qualcuna delle foto. L’immagine 8 riproduce alcune persone mascherate e la didascalia rinvia a una cerimonia funebre dogon che viene descritta nel diario, tra le pagine 133 e seguenti, con una ricchezza di dettagli e di articolazioni, ma soprattutto con un’intimità di relazione con il campo e con le persone a vario titolo implicate: “dopo pranzo, aspetto Ambara per il sacrificio, naturalmente non viene. Infastidito, comincio a fare qualcosa, finché non sentiamo tutti delle risa simili a quelle delle maschere; nessun dubbio, il sacrificio è cominciato. Tanto più che sta piovendo molto forte, il che significa che il sacrificio sta funzionando bene. Vado con Lutten e Mamadou Kèita che porta il Kinamo e una macchina fotografica” (p. 140). Un altro esempio può essere quello della foto 16 che ritrae una donna etiope Asammanètch con cui Leiris intrattenne un lungo e denso periodo di relazione etnografica con il suo personale stile descrittivo che mette insieme dati etnografici, considerazioni personali e inconsuete riflessioni sulla persona che ha davanti. Alle pagine 572 e seguenti la presenza della donna, della quale se ne apprezza la figura elegante, ricorre di continuo per diverse occasioni: “in mattinata, arrivo inatteso di Asammanètch, la donna magra di Darasghié. È sempre così alta, secca, butterata e bella, con una faccia di avara che mette il topicida nella minestra del marito. Viene dall’infermeria del campo, dove si è fatta fare un’iniezione (probabilmente antisifilitica) ed è insieme a una ragazzina che è sua nipote.
Ha male dappertutto. Si lamenta che lo zar le abbia sempre impedito di avere figli. Mi trova ringiovanito e imbellito da quando mi ha visto a Darasghié, dice che sono molto ‘seltun’ perché faccio servire tre caffè e, secondo le regole, faccio bruciare dell’incenso. Basta questo a farmi felice…” (p. 572).
Il corredo fotografico è vario e complesso mettendo insieme immagini dei ricercatori intenti in varie attività di rilevamento – soprattutto Griaule vi compare spesso – insieme a fotografie più classicamente etnografiche e documentarie. Sorprendenti sono i numerosi ritratti, tutt’altro che immagini antropometriche, al contrario elementi visivi di un rapporto di scambio tra culture, vere e proprie “zone di contatto” di un’esperienza scientifica, culturale, esistenziale, artistica. Seppure calata nel contesto di politica coloniale della Francia, la Missione DakarGibuti di cui L’Africa fantasma è l’esito polimorfo e inquieto e ancora oggi foriero d’impreviste sollecitazioni, lascia trasparire con chiarezza un rinnovamento dell’approccio etnografico che darà rivoluzionari frutti sia sotto il profilo più specifico della disciplina antropologica che sotto quello più ampio dell’arricchimento culturale della società francese ed europea.