Recensioni / Nel segno di Gualino

Qual è la possibile fortuna dell'architettura «moderna», oggi? Quanto siamo in grado di riconoscere e apprezzare quelli che gli studiosi considerano «capolavori»? Un caso per molti versi esemplare, seppur «eccezionale», è quello dl Palazzo Gualino, ribattezzato (era davvero necessario?) «Palazzo Novecento», durante il cantiere che l'ha trasformato da edificio per uffici a residenziale. Alla sua storia e restauro Armando Baleno, l'architetto progettista ciel lavori con il suo studio Baietto Battiate Bianco, ha dedicato il volume Palazzo Guatino. Un capolavoro del razionalismo italiano di Giuseppe Pagano Pogatschnig e Gino Levi Montalcini, edito da Quodlibet anche in inglese e russo. «Nel 2018 Palazzo Gualino è stato infatti oggetto di una mostra allo Schusev State Museum of Architecture di Mosca, la prima dedicata a un edificio razionalista italiano», spiega.
Dal 1930 Palazzo Gualino sorge lungo corso Vittorio Emanuele II, quasi all'angolo con corso Massimo d'Azeglio: una posizione di grande visibilità e con uno straordinario affaccio panoramico sul parco del Valentino e sulla collina. Una collocazione scelta non a caso, quando Riccardo Gualino, il grande finanziere, imprenditore e colto collezionista, decise alla fine degli anni Venti di realizzare la sede del suo gruppo, a cui facevano capo aziende di primo piano come la Snia Viscosa e la 4enchi Unica. E qui sta l'«eccezionalitià»: il committente, una figura tanto centrale nel panorama del primo Son (non soltanto italiano) che i Musei Reali gli hanno dedicato una grande mostra a Palazzo Chiablese, tra 2018 e 2019. D'altra parte, proprio i Musei Reali, nella Galleria Sabauda, conservano parte della sua straordinaria collezione artistica. L'altro motivo di eccezionalitìt di Palazzo Gualino è però proprio la sua architettura. Fu disegnato come «opera totale» (fino agli arredi interni) da due architetti, allora iovani ma di bellissime speranze in gran parte mantenute: Giuseppe Pagano, destinato a diventare il direttore della principale rivista di architettura dell'epoca, La Casa Bella, e Gino Levi-Montalcini, architetto prolifico oltre che parente del premio Nobel Rita Levi Montalcini. Un edificio, si diceva, eccezionale e forse poco conosciuto e riconosciuto, anche all'epoca. Se da una parte conquistò i critici più moderni e innovativi (tanto da meritarsi un numero monografico della rivista Domus), i torinesi del 1930 ne criticarono le finestre «coricate» (in sintonia, però, con le tendenze del Razionalismo internazionale) e quelle del pian terreno protette da interriate, che guadagnarono all'edificio il nomignolo di «Nuove del Valentino» (dal nome delle carceri cittadine). Una storia discontinua, quindi. Fallito Gualino e inviato al confino da Mussolini, l'edificio fu prima della Fiat, poi sede degli Uffici delle imposte dirette del Comune di Torino. Dal 2014, infine, prende il via il lungo restauro con destinazione residenziale, «il cantiere ha puntato alla conservazione dell'edificio, riconoscendone l'importanza e tutti i caratteri più significativi, mala nuova destinazione ha dovuto necessariamente modificarne l'Impianto interno», spiega paletto. «Abbiamo valorizzato materiali e scelte importanti dell'epoca, soprattutto al primo piano e all'ultimo, dove è stato conservato il vasto ufficio panoramico che fu di Gualino, oltre alle due scale principali in marmi preziosi. Sono state aggiunte una grande scala nella corte interna e la lanterna sul tetto, che ospita parte degli impianti tecnologici. Insomma, un restauro di tipo "interpretativo", ermeneutico. rispettoso». La differenza più evidente rispetto al precedente edificio è la colorazione: sll giallo e verde originali sono ora panna e grigio, di gusto più contemporaneo, E certo un accostainento cromatico coraggioso. Come dice la soprintendente Luisa Papotti, «sottolinea il carattere austero e un po' estraneo rispetto agli edifici vicini, e conferma un'eccezionalità che Palazzo Gualino ha dimostrato fin dalla sua nascita».