Recensioni / Dall'arte al femminismo, prendendo posizione

«Sono d'accordo con te che vale la pena di tentare qualcosa sul contemporaneo. Mi chiedi dove mi sento più sicura. Su Ben Shahn potrei provare, però sempre su un piano allusivo, perché son priva di informazioni serie». Carla Lonzi scrive all'amica Marisa Volpi alla ricerca di un terreno comune di scrittura, che approdò in seguito a un saggio su «Paragone», nel numero 69 del 1955, che suscitò le lodi del loro maestro Roberto Longhi. Poco dopo l'artista americano volle conoscere le autrici e arrivò a Firenze insieme alla moglie. Da qui inizia un percorso vertiginoso, lasciando presto la scena del realismo per il tumultuoso mondo dell'informale, che ha portato l'autrice alla scrittura del geniale Autoritratto, sequenza di dialoghi con gli artisti italiani degli anni '60, prima di passare al femminismo radicale di Sputiamo su Hegel. Impegnata in politica, Carla Lonzi fin dall'inizio dichiarava la necessità di prendere posizione, come scriveva alla Volpi nel 1956: «Com'è avvilente in fondo fare altre cose che non la rivoluzione. Questo è il primo pensiero». Laura Iamurri ha ben ricostruito gli anni fiorentini della scrittrice nel suo Un margine che sfugge (Quodlibet), ricordando anche la tesi discussa con Longhi sul tema dell'arte in teatro, pubblicata nel 1995 da Olschki, con il titolo Rapporti tra la scena e le arti figurative dalla fine dell'800.