«Quando hai
sete, credi
di poter bere un mare
intero:
questa è la
fede. Quando inizi a bere, due bicchieri ti bastano: questa è la scienza». Così Anton Cechov, convinto -
come molti nell'Ottocento - che la
religione fosse sostanzialmente
aspirazione umana verso i cieli dell'infinito e dell'eterno, mentre la
scienza ci riporterebbe coi piedi per
terra, nel mondo del fenomeno e
della sperimentabilità. C'è voluto
molto tempo per approdare al riconoscimento dei diversi ma entrambi legittimi statuti epistemologici,
come nel caso dell'ormai citatissimo principio del NOMA, i Non Overlapping Magisteria, proposto dallo
scienziato agnostico Stephen
Gould, ossia di due «magisteri» paralleli, indipendenti e quindi non
conflittuali a causa della differenza
dei loro approcci alla realtà (e questo varrebbe non solo per la teologia, ma anche per la filosofia, l'arte,
la letteratura, la musica e persino
per l'innamoramento).
D'altronde, anche la teologia ha
capito che non può più assidersi a
regina incontrastata, tenendo ai
suoi piedi come ancilla la filosofia o
la scienza: celebre è il motto philosophia ancilla theologiae desunto da
un più complesso asserto del De divina omnipotentia del ravennate
dottore della Chiesa san Pier Damiano (1007-1072), innalzato da Dante
nel cielo di Saturno tra gli spiriti
contemplativi (Paradiso XXI, 43ss).
Queste due premesse, da angolature
opposte, ci permettono di sottolineare l'evoluzione metodologica ormai acquisita, incarnata nel titolo
stesso di un Nuovo Dizionario Teologico Interdisciplinare che ha visto il
coinvolgimento di quasi un centinaio di teologi italiani. Naturalmente
l'accento che vogliamo marcare è sul
quell'aggettivo «interdisciplinare»
che riconosce la molteplicità degli
approcci all'essere e all'esistere, ma
che supera la mera alterità del citato
NOMA. All'autonomia frigida e rigida dei due «magisteri» sostituisce,
infatti, una più calorosa possibilità
di dialogo, di interlocuzione e, in
qualche caso - sempre con le dovute
cautele metodologiche- persino di
transdisciplinarietà.
Emblematica è, al riguardo, la dichiarazione programmatica: il dizionario in questione «vorrebbe essere una ricognizione di itinerari
piuttosto che l'abituale ponderata
sistemazione di dati e risultati. È
animato dall'intento di riorganizzare il sapere teologico con altri saperi
in un contesto storico preciso, quello
attuale». Un'attualità che giunge fino al punto di approdare, negli
«sguardi prospettici finali», persino
a un capitolo dedicato al «Covid-19.
Il presente e il futuro del mondo». In
questa luce è significativa la struttura stessa del dizionario che vorremmo rappresentare simbolicamente.
L'avvio è necessariamente «radicale»: l'evento di Gesù Cristo, la Scrittura, la Chiesa che sono appunto le
radici, ossia i fondamenti della stessa fede. L'albero cresce, poi, nella loro «interpretazione» che è opera appunto della teologia secondo il ventaglio delle sue articolazioni (storica,
fondamentale, sistematica, morale,
spirituale, sacramentaria, pastorale,
giuridico-canonica) e delle correlazioni con la filosofia e la storia.
I rami dell'albero, però, si estendono nell'attuale contesto socio-culturale che respira un'atmosfera polimorfa, ove si muovono i venti della
multiculturalità, dell'estetica, del
pluralismo religioso, della scienza e
della tecnica, dell'ecologia, della secolarizzazione ma anche di una indistinta eppur vivace spiritualità. È, a
questo punto, che apparentemente
si ritorna nell'alveo dei dizionari tradizionali con la sequenza delle voci
che procedono alfabeticamente da
«alterità» a «vita spirituale». Sembrerebbero appunto questi i rami
portanti di quell'albero, se vogliamo
continuare la metafora vegetale, per
altro cara alla simbologia teologica
biblica. In verità, anche in questo caso assistiamo a un'operazione innovativa, non solo a livello di selezione
nei lemmi. È ciò che accade, ad
esempio, con l'introduzione di soggetti come la teologia animale, il tema della complessità, le comunicazioni sociali, i divertimenti, l'economia politica ed etica, la letteratura, la
neuroetica, il post-umanesimo, la
psicologia-psicanalisi, la sociologia
e naturalmente la scienza in confronto con la teologia.
La novità ulteriore è da cercare
proprio nella stesura di quelle voci,
vere e proprie ramificazioni vive e
frondose nel loro dispiegarsi per altro essenziale e non contorto. Sono,
infatti, trattazioni simili a mappe
cognitive, aperte a ricerche ulteriori
del lettore, e non a elaborati didascalici, autosufficienti, accademicamente esaustivi e in sé conclusi. Certo, non tutte le pagine riescono a rispondere a un'esigenza così impegnativa e ad abbandonare un
linguaggio tentato dall'autoreferenzialità, indubbiamente più facile da
praticare rispetto all'«interdisciplinarietà». Tuttavia il risultato è positivo nel suo insieme e rivela la mano
salda di chi ha progettato l'architettura dell'opera, attenta anche paradossalmente a lasciare qualche tetto
scoperto e aperto verso cieli ancora
da perlustrare, come si fa balenare
negli «sguardi prospettici finali» sui
temi del futuro, del corpo, della femminilità, della globalizzazione, dell'ineguaglianza e così via.
Non è, perciò, paradossale l'auspicio dell'introduzione: «Si propone un dizionario da leggere e non solo da consultare», capace di «sollecitare la ricerca piuttosto che consolidare dati e questioni così come sono
consegnati dalla storia e da elaborazioni del passato», nella consapevolezza della «complessità» in cui anche la teologia è ormai coinvolta. In
allegato a questo strumento che può,
quindi, varcare il perimetro delle biblioteche ecclesiastiche per approdare anche in quelle di altre discipline, ci viene spontaneo rimandare a
uno straordinario pensatore scoperto appassionatamente solo in questi
ultimi tempi, al punto tale da avere
un sito a lui dedicato (www.micheldecerteau.eu) a cui non partecipano
solo teologi ma anche storici, filosofi, lacaniani, semiologi, antropologi
e così via. Si pensi che, ad esempio,
nel Dizionario dei teologi dal primo
secolo a oggi (Piemme 1998) nessuna
riga era riservata a questo gesuita
francese geniale, Michel de Certeau,
morto nel1986 a 61 anni, assurto ora
a vessillo di una teologia veramente
«interdisciplinare».
E questo aggettivo non dev'essere
inteso nel senso meramente statico
di una giustapposizione tra diversi
saperi, bensì di una fremente evitale
interconnessione. Di lui vengono ora
riproposti undici saggi in cui la
frammentarietà tematica è, in realtà,
simile al bagliore di intuizioni folgoranti. È ciò che ben sanno coloro che
hanno letto la sua opera maggiore,
rimasta incompiuta, sempre da lui
ritoccata e riplasmata, quella Fabula
mistica (Jaca Book 2008) che, partendo dal pianeta della mistica del
XVI-XVII secolo, coniava una diagnosi anticipatrice della crisi religiosa, socio-politica e culturale nella
quale oggi ci dibattiamo.
Non possiamo che suggerire
l'esperienza di seguire i percorsi sottesi a questi saggi elaborati dal 1964
in avanti (nell'antina del volume si
dice «scritti tra il 1964 e il 1993»,in
realtà de Certeau in quell'anno era
morto già da sette anni, quindi alcuni sono editi postumi), accompagnati dalla bella prefazione di Stella
Morra e dalla guida della collaboratrice e interprete del gesuita, Luce
Giard. Non è possibile comprimere,
ora, nello stampo freddo di una sintesi, l'incandescenza di riflessioni
che, muovendosi dal regno misterioso della mistica, si inoltrano lungo sentieri ramificati verso orizzonti
inesplorati e in navigazioni verso
isole straniere. Sempre, nella consapevolezza della grandezza e potenza
della «debolezza del credere», come
recita il titolo dell'ultimo saggio e
dell'intera raccolta. A questo sorprendente sismologo delle «fratture
e transiti» del cristianesimo ben
s'attaglia la definizione presente in
Timore e tremore di Kierkegaard: «La
fede è la più alta passione d'ogni uomo. Ci sono forse in ogni generazione molti uomini che non arrivano fino ad essa, ma nessuno va oltre»