Recensioni / Filosofie della controcultura

Matthew Ingram detto Woebot (www.woebot.com), inglese, uscito dalla cosiddetta generazione dei blogger (Mark Fisher, Simon Reynolds...) si misura in un libro appena uscito con un'impresa monumentale: un censimento delle filosofie, religioni e tecniche mentali per l'esplorazione del sé (per lo più orientali) che dialogarono con la controcultura anni 60-70. Macrobiotica, meditazione, buddismo zen, ma anche antipsichiatria e psichedelia (nel senso dell'LSD), tangenzialmente la musica che rese popolari tutti questi discorsi. In tempi già rivoluzionari l'idea era che il mondo potesse essere cambiato davvero solo se il cambiamento fosse partito dall'interno di ogni individuo, idea incontestabile, anche adesso. C'è pure un filone di studi recenti che ha ripreso in mano la questione psichedelica: il lodatissimo Come cambiare la tua mente di Michael Pollan, e un volumetto recente di Quodlibet sulla Scommessa Psichedelica. Questo Retreat (Repeater Books, non ancora tradotto) ha per sottotitolo Come la controcultura ha inventato il wellness. Cioè il benessere. Discorso che porta lontano. Nella realizzazione concreta di questo benessere si annidano storie che conosciamo bene ancora oggi: il fascino perverso delle "comunità" (compresa SanPa) e le conseguenze dello "psicosomatico" denunciate da Susan Sontag nei suoi libri sulle metafore del cancro e dell'AIDS — che portano dritti al negazionismo e al novax.
Ingram è efficace nel tenere a bada l'ambizione di un libro così. Da leggere a pezzetti, a piccole dosi. Come nelle poche pagine che ricordano il primo contatto di David Bowie con il buddismo tibetano. A Londra nel 1968 Bowie partecipava con alcuni coinquilini e fidanzate a sedute di meditazione alla ricerca del contatto con altri mondi, sperando che i dischi volanti arrivassero e portassero tutti via (è l'anno prima di Space Oddity). Ma il suo interesse per il buddismo fu sincero. Scrisse tra le prime canzoni la bellissima Silly Boy Blue ispirata al libro Sette anni in Tibet. E arrivò al punto di frequentare un monastero in Scozia, fu a un passo dal farsi monaco seguendo gli insegnamenti di Lama Chime Rinpoche e Chögyam Trungpa, maestri in esilio per sfuggire alle persecuzioni cinesi. Il buddismo è uno dei fili segreti dell'opera di Bowie, ancora in gran parte da indagare. Trungpa invece diventò un personaggio alla Bhagwan Rajneesh, il guru degli arancioni: adorava il roast beef e il sushi, beveva parecchio, guidava auto veloci e predicava le (ambigue) virtù del tantra. Si trasferì negli Stati Uniti e fondò la Naropa University, dove tennero corsi Allen Ginsberg e R.D. Laing. Rincorso da scandali sessuali e alcolismo, finì abbastanza male. Tornò in Scozia dove morì a nemmeno 50 anni.

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