«Voglio ringraziare tutti
quelli che mi hanno aiutato a
tenere vivo il fuoco della musica durante il mio viaggio. La
mia speranza è che chiunque
abbia una scintilla che lo porta
a suonare, scrivere o esprimersi in qualche altra forma d'arte, lo faccia. Se non per sé, almeno per noi altri: il fatto è che
non solo il mondo ha bisogno
di più artisti, ma anche che ci si
diverte molto.»
Così Armando Anthony Corea, al secolo Chick, figlio di un
trombettista professionista, nato nel 1941 a Chelsea, separata
da Boston dal fiume Mystic,
morto il 9 febbraio per una rara forma di tumore scoperto solo recentemente, ha voluto salutare il mondo dalla sua pagina Facebook. Elio Martusciello, un compositore italiano il
cui universo poco ha a che vedere con quello del celebrato
pianista italo-americano (il
nonno paterno era emigrato
negli Usa a fine Ottocento da Albi, in provincia di Catanzaro),
sempre su Facebook, ha scritto: «La musica non è altro che il
calco della voce della madre
udita dal figlio già da quando è
presente nel suo grembo. Contatto embrionale intessuto di
calore, sazietà, stupore, meraviglia. Durante l'intero arco di
una vita, quando capita di
ascoltare un profilo melodico
capace, misteriosamente, di riportare alla memoria quella voce, quel canto, ne scaturisce
un'emozione così intensa e incontenibile da sfociare inevitabilmente in un dolce, nostalgico e struggente pianto liberatorio.» Proprio di una vitalità panica ed inesauribile è stato segno e sintomo benigno lo spartito della vita di Corea, come
un infinito inno alla gioia declinato in diverse forme, colori e
melodie a seconda delle fasi,
dell'ispirazione e dei compagni di ventura in una carriera
lunghissima e luminosa.
Dall'esordio in quintetto del
1968 Tones for Joan's Bones all'ultimo Trilogy 2 sono passate infatti molte stagioni e cinquantun
anni e il conto si allunga se consideriamo le precedenti sessions con pesi massimi come
Herbie Mann, Stan Getz, Dizzy
Gillespie e Sarah Vaughan. A
partire dal primo concerto con
Cab Calloway, una esistenza
trascorsa nell'empireo del
jazz, tessendo collaborazioni
infinite (mezzo secolo è durata
quella con il batterista Steve
Gadd), assestando diversi colpi
da maestro, dal duo con Bobby
McFerrin a quello con Béla
Fleck alle esplorazioni in piano
solo, trovandosi al posto giusto
nel momento giusto grazie ad
un talento debordante e cristallino. Presente perciò in pietre
miliari come Bitches Brew ed In
A Silent Way di Miles Davis, tra i
dischi più importanti del Novecento tutto.
«Miles è stato il mio insegnante e mentore sin dalla prima
volta che l'ho sentito suonare;
era il 1947, io ero un bambino,
lui era nel quintetto di Charlie
Parker. Da lì ho seguito ogni
suo passo sino ad arrivare ad
entrare nella sua band per due
anni e mezzo, dal 1968 al
1971», racconta nell'ultima intervista, rilasciata al quotidiano di Valencia Levante nel marzo del 2020: «Ho imparato molte cose in quel periodo e da lì si
sono aperte molte porte per
percorrere altre strade.» Degno
di menzione il suo ruolo come
colonna portante del «quintetto perduto» proprio del divino
Miles, oggetto di un recente libro di Bob Gluck per Quodlibet
sulla leggendaria formazione
che non entrò mai in studio di
registrazione. Dal magistrale e
piano trio di Now He Sings, Now
He Sobs (1968), con Miroslav Vitous e Roy Haines. al jazzrock
patinato della Elektric Band,
dal duo col vibrafonista Gary
Burton ai sapori latini della
Spanish Heart Band, sino alla
collaborazione con Pino Daniele, la distanza è siderale, ma Corea la percorre con disinvoltura, curioso di esplorare tutti gli
spigoli del suono attraverso il
suo caleidoscopio, che lo porta
a vincere per 25 Grammy.
Dall'esperienza con Davis, assieme all'altro fuoriuscito Dave Holland nascerà poi il quartetto Circle, con Anthony Braxton al sax e Barry Altschul alla
batteria, che Marcello Lorrai
proprio su queste pagine ha definito una impresa collettiva, con
cui Corea e Holland vogliono portare ancora più avanti la libertà a
cui hanno preso gusto con Davis.
Fondamentale nel suo percorso il capitolo fusion con Return
To Forever, iniziato nel 1971, al
quale dobbiamo un tema immortale come Spain, inciso l'
anno dopo: qui sembra brillare
come in uno scrigno tutto il
suo mondo, fatto di facilità
strumentale e melodica fuori
dal comune e di padronanza totale di linguaggio e strumento,
dimostrazione pratica del celebre adagio di Johannes Brams:
«Ci sono tante melodie che vagano nell'aria che devo fare attenzione a non calpestarle.»