La disarmonia (anche) architettonica come punto di forza della nostra città? Lo sostiene Napoli super modern
(Quodlibet, pagine 232, curo 48),
indagine collettiva coordinata
dal Local Architecture Network,
che prende in esame l'architettura di alcuni edifici costruiti a Napoli tra il 1930 e il 1960: villa Oro a
via Orazio di Luigi Cosenza e Bernard Rudofsky; la stazione della
Cumana a Fuorigrotta di Frediano Frediani; la clinica Mediterranea di Sirio Giametta; la stazione
marittima di Cesare Bazzani; il
mercato ittico di Luigi Cosenza
E poi le case popolari al rione Cesare Battisti, gli edifici lussuosi
tra la riviera di Chiaia e Posillipo,
i grattacieli e i palazzi dove adesso ci sono uffici, compagnie di assicurazioni, 1'Inps, l'avvocatura
dello Stato. A immaginarli e progettarli, oltre i nomi già citati, i
napoletani Marcello Canino, Renato Avolio De Martino, Stefania
Filo Speziale, primo architetto
donna della città, e non napoletani come Luigi Piccinato.
«Una qualità latente dell'architettura moderna napoletana è
stata la rinuncia a definire modelli astratti e idealizzantii e la capacità, se non la necessità, di misurare il progetto con il contesto
fisico, storico sociale e paesaggistico» scrive Umberto Napolitano. «Esistono pochissimi esempi
di edifici napoletani che possono
essere isolati dal loro contesto e
considerati in maniera indipendente. Nella stragrande maggioranza dei casi il contesto non è solo un elemento che entra nella
definizione dell'idea di progetto,
maè il suo punto di partenza decisivo, essenziale ed esplicito».
Per Gianluigi Freda «Napoli è
abile a tradurre l'insieme di elementi disomogenei in una occasione di modernità il palazzo
delle poste di piazza Matteotti di
Giuseppe Vaccaro e Gino Franzi
riprende chiaramente la sua altezza da quella del chiostro grande, alla differenza di materia e di
colore della preesistenza seicentesca fa coincidere la linea di separazione tra basamento e corpo che percorre l'intero volume,
generosamente moderno». Merita un'attenzione particolare palazzo della Morte, che prende il
nome dal committente. E
un'opera quasi sconosciuta della
Speziale, nascosta tra corso Vittorio Emanuele e via Palizzi, in
corrispondenza di un salto di
quota di oltre 60 metri. Qui ogni
elemento è in perfetta armonia
con il paesaggio naturale e urbanistico intorno, come il giardino
pensile su due livelli raggiungibile da un tunnel scavato nel tufo,
la scala esterna, le rampe di accesso ai villini, le balconate e le
vetrate. «In queste forme di modernità Napoli mostra il suo
aspetto più interessante la capacità nascosta di fare città», conclude Napolitano.