Recensioni / I sommersi e i salvati

Nell'ottava Lezione Primo Levi, organizzata dall'omonimo Centro Studi e dedicata al rapporto dello scrittore con i tedeschi, Martina Mengoni si era dedicata a ricostruire i contatti epistolari tra Primo Levi e i suoi lettori in Germania, avviatisi con la pubblicazione dell'edizione tedesca di Se questo è un uomo. Come ebbe modo di scrivere la stessa Mengoni all'epoca, raccontando della Lezione: "In Se questo è un uomo, Levi si descrive al cospetto del tedesco per antonomasia che compendia tutti i tedeschi: il dottor Pannwitz, che «siede formidabilmente» dietro la sua «complicata scrivania». Sta per cominciare l'esame di chimica che gli può valere la sopravvivenza, e Levi dà voce al giudizio, sommario e inevitabile, su tutto un popolo: «Quello che tutti noi dei tedeschi pensavamo e dicevamo si percepì in quel momento in modo immediato. [...] `Gli occhi azzurri e i capelli biondi sono intrinsecamente malvagi. Nessuna comunicazione possibile'». Oggi sappiamo che, più tardi e altrove, lontano da Auschwitz, la comunicazione poté riprendere, e riservò sorprese. Per fortuna di Primo Levi, e dei suoi lettori, la storia con «i tedeschi» non si bloccò ai due lati di quella «complicata scrivania»". E a mostrare come essa componga un capitolo importante della storia culturale europea arriva il suo nuovo testo, pubblicato da Quodlibet. I sommersi e i salvati di Primo Levi: Storia di un libro (Francoforte 1959-Torino 1986), infatti, ripercorre le vicende dell'ultima opera pubblicata da Levi, a lungo percepita come un libro-testamento, ma che ha avuto una genesi lunga quasi un trentennio. Spiega Mengoni che l'ottava Lezione Levi (Einaudi 2017), "si focalizzava sui tedeschi, qui protagonisti solo del capitolo, `Lettere di tedeschi: l'origine (1959-1969): E sempre stato considerato un libro finale, pessimista, l'ultimo prima della morte. Ma mi sono convinta che non può essere: ha avuto una genesi lunga, sia come idea che per la stratificazione di pensieri arrivati dopo la pubblicazione di Se questo è un uomo. Dal 1959, quando riceve la notizia che sarà tradotto in Germania, Levi inizia nuovamente a interrogarsi sulla sua esperienza ad Auschwitz soprattutto grazie al dialogo con Heinz Riedt, il suo traduttore". Riedt è a sua volta un personaggio notevole, spiega Mengoni: evita nel '41 la chiamata alle armi simulando una malattia e, una volta autorizzato a recarsi in Italia, si iscrive all'università di Padova per studiare letteratura italiana, e si unisce ai partigiani di Giustizia e Libertà. "Sono tre in effetti le idee intorno a cui ruota il mio ragionamento: sono convinta che si possa pensare a I sommersi e i salvati come a un libro nato già negli anni Sessanta, e scritto dal 1979 in poi. Oltre al rapporto con i tedeschi, un pezzo di storia culturale europea, è fondamentale il quello con gli studenti, che condizionerà poí la scrittura. Inoltre il lavoro di Levi, e soprattutto il suo pensiero, va storicizzato per contrastare quell'immagine stereotipata che lo vuole formulatore di pensieri sempre uguali. Si tratta invece di qualcosa che muta, come mutano il contesto storico, la memoria collettiva, e la percezione del passato e anche di Auschwitz. Con il procedere della ricerca sui carteggi - in quattro lingue diverse, sparsi tra vari archivi - e della ricostruzione cronologica dei suoi scritti, ho cercato di capire anche che libri aveva letto, e quando. La figura di Hety Schmitt-Maass, poi, è centrale in questa incredibile rete di persone di assoluto valore, impegnate in un carteggio che è ancora da studiare. La mia ricerca è diventata sia storica che letteraria, più simile a un lavoro sulla sua biografia intellettuale, per immergerlo nella storia". La scrittura si intreccia con le traduzioni di cui Levi si fa promotore, e si alimenta delle poesie e dei romanzi (tedeschi e non solo) letti sin da ragazzo, da Heine a Morgenstem, da Mann a Döblin. Contano le decine di libri e centinaia di lettere, personaggi storici e romanzeschi, studenti e vecchi reduci, vittime e carnefici. E bisogna sovrapporre la biografia di Levi a interi decenni di storia d'Italia e d'Europa, l'elaborazione del passato e le sue proiezioni sul presente. E ricordare che il ruolo di testimone per Levi non era pacifico: si interrogava molto e non ne aveva una visione retorica. E forse la scrittura de I sommersi e i salvati è anche una risposta a quella stereotipizzazione cui bisogna ancora sottrarlo.