In una pagina della Dialettica dell'Illuminismo, influente libro del secondo Novecento e archetipo di
tutte le critiche della razionalità
scientifica «totalitaria», MaxHorkheimer e Theodor Adorno non sembrano provare alcun imbarazzo a citare
niente meno che il campione del pensiero reazionario e tradizionalista, Joseph de Maistre. «Anche secondo Bacone - scrivono - deve sussistere, fra
i sommi principi e le proposizioni
empiriche, una connessione logica
evidente attraverso vari gradi di universalità. De Maistre lo prende in giro
dicendo che ha une idole d'échelle» (Einaudi). I due filosofi tedeschi e il conte
savoiardo muovono naturalmente da
posizioni diverse, ma convergono
nell'indicare la triade Bacone-illuminismo-scienza come la causa dello
«sfacelo della civiltà»: un tema che ha
avuto negli anni un'enorme fortuna
ed è stato riproposto in molte varianti, tanto da diventare quasi un luogo
comune filosofico.
La citazione di de Maistre era tratta
dal suo capolavoro, Le serate di San
Pietroburgo, pubblicato due secoli fa,
poco dopo la morte dell'autore, avvenuta a Torino il 26 febbraio 1821.
Un'opera affascinante (nella forma) e
terribile (nella sostanza), che vale la
pena, almeno in quest'occasione, rispolverare, se non altro per vedere
quanto l'ombra antilluminista di de
Maistre si allunghi su tante analisi
della contemporaneità, comprese
quelle che di recente alcuni filosofi
hanno dedicato alla pandemia.
Già negli anni Settanta Umberto
Eco rinveniva echi maistriani nei
nouveax philosophes (con il loro «rifiuto della storia come prodotto
umano sottoposto a errori, aggiustamenti, scarti e soluzioni provvisorie»), e in particolare nello «spiritualismo angelico ed estetico» di quel
Bernard-Henri Lévy che ora, coerentemente con la propria storia intellettuale, denuncia «l'incestuosa
unione del potere politico e medico»
e l'«oscurantismo dal volto scientistico» in un librino, Il virus che rende
folli (La nave di Teseo), pubblicato
dalla stessa casa editrice che ha in catalogo le opere di Eco.
Con opportuni aggiornamenti, le
idee, le idiosincrasie e lo stile argomentativo di de Maistre ricompaiono
in una certa filosofia odierna. «In altri
tempi - leggiamo nell'ottavo colloquio delle Serate - gli scienziati erano
pochissimi, e fra costoro pochissimi
erano empi; oggi non vi sono che
scienziati: sono una corporazione,
una folla, un popolo, e fra loro l'eccezione, già triste un tempo, è diventata
regola. Hanno usurpato un'influenza
senza limiti in questo campo; eppure,
se oggi vi è una cosa certa in questo
mondo, è che non spetta alla scienza
guidare gli uomini» (edizione Rusconi a cura di A. Cattabiani, 1971).
Non è - alla lettera, espedienti retorici inclusi - quello che in questi
mesi abbiamo sentito dire da quanti
hanno tuonato contro l'«abdicazione» del mondo alla scienza? Giorgio
Agamben, per esempio, sostiene, come fatto ormai «evidente», «che la
scienza sia diventata la religione del
nostro tempo, ciò in cui gli uomini
credono di credere» (A che punto siamo? L'epidemia come politica, Quodlibet). La novità, a suo giudizio, è che
fra la scienza e le altre «due religioni
dell'Occidente moderno», il cristianesimo e il capitalismo, «si è riacceso,
senza che ce ne accorgessimo, un
conflitto sotterraneo e implacabile, i
cui esiti vittoriosi perla scienza sono
oggi sotto i nostri occhi e determinano in maniera inaudita tutti gli aspetti
della nostra esistenza» (rispetto alla
visione francofortese, Agamben fa un
passo avanti: la scienza non è più coestensiva al capitalismo, ma si erge ormai come una forza incontrollabile,
che divora tutto, perfino le Borse).
«Non abbiamo saputo tenere gli
scienziati al loro posto», denuncia de
Maistre. Il «loro posto», peraltro confortevole («hanno le scienze naturali
per divertirsi, di che cosa dovrebbero
lamentarsi?»), è dietro «i prelati, i nobili, i grandi ufficiali dello Stato», cui
spetta «essere i depositari e i guardiani delle verità conservatrici, insegnare alla nazione qual è il male e
qual è il bene, ciò che è vero e ciò che
è falso nell'ordine morale e spirituale; gli altri non hanno il diritto di ragionare su simili materie». I tempi
cambiano, ma gli scienziati continuano a non stare al loro posto (Lévy:
«Mai si erano visti dei capi di stato
circondarsi, prima di parlare, di uno
o più comitati scientifici»), che naturalmente dovrebbe essere dietro -
anzi, sotto - gli unici, genuini, testimoni della Verità, i filosofi-profeti
che «rifiutano la menzogna dominante», esponendosi alle «calunnie»
degli «ignoranti» (cito da Agamben).
Sembra che partecipando al suo
ultimo consiglio dei ministri de Maistre (Cancelliere come Bacone) avesse
contestato i progetti che erano stati
proposti dicendo: «Signori, la terra
trema e voi volete costruire». Gli fanno eco, più di un secolo dopo,
Horkheimer e Adorno: «La terra interamente illuminata splende all'insegna di trionfale sventura». E oggi
Agamben: «Gli uomini non credono
più a nulla - tranne che alla nuda esistenza biologica che occorre a qualunque costo salvare. Ma sulla paura
di perdere la vita si può fondare solo
una tirannia, solo il mostruoso Leviatano con la sua spada sguainata». C'è
una filosofia che nel mondo nonvede
problemi darisolvere, ma solo cumuli
di macerie (prodotte dalla scienza): il
vecchio conte ne andrebbe fiero