a principio pensano a uno scherzo:
possibile che di là dal mare ci sia veramente un re ancora più potente
dell'Inca? Non fosse altro che per questa pretesa, gli stranieri sarebbero già una bella curiosità. Ma ci sono anche le loro barbe lunghe
e ispide, e poi certi uomini dalla pelle nera,
che non si schiarisce neppure se continui a lavarla. Per non parlare di quegli animali mai visti, i cavalli. E degli archibugi, che quando sparano fanno un gran fracasso. Da spaventarsi,
certamente, ma poi pure di quelle esplosioni
si impara a ridere.
Avviene così, sul filo di un'incomprensione destinata ad avere conseguenze disastrose, il primo incontro fra gli abitanti del Perù e gli stranieri che dicono di chiamarsi «cristiani». O,
meglio, così lo racconta Pedro Cieza de León,
un soldato di ventura originario di Llerena, in
Estremadura, e trasformatosi in cronista dell'espansione imperiale spagnola dopo aver
trascorso molti anni, dal 1535 al 1551, nelle
Indie. Nato attorno al 1518 e morto a Siviglia
nel 1554, Cieza de León è autore di un'opera
monumentale, di cui riuscì a vedere pubblicata in vita solo la sezione iniziale, dedicata
alla descrizione del territorio e più volte tradotta in Italia. Si devono invece all'iniziativa
della specialista Carla Forti le versioni di due
delle altre tre parti delle quali si compone il disegno della Crónica del Perú, e cioè L'Impero
degli Incas, uscito nel 2015 da Quodlibet con
testo a fronte, e questa Scoperta e conquista del
Perù, proposta dallo stesso editore nella collana di narrativa "Compagnia Extra".
In un certo senso, il resoconto di Cieza de León
potrebbe essere davvero scambiato per un romanzo di avventure, tanto è articolata e impetuosa la trama dei viaggi e delle esplorazioni, delle trattative mancate e dei tradimenti, degli scontri in campo aperto e delle
macchinazioni diplomatiche. Un tema, in
particolare, ricorre con insistenza, ed è quello dell'informazione errata o mancante, non
di rado travista a bella posta per ottenere un
vantaggio più o meno meschino. Nella fattispecie, secondo Cieza de León a decretare nel
1533 la condanna a morte dell'imperatore Atahuallpa sarebbe stata la falsa notizia dell'arrivo di un esercito di insorti fatta correre
dal malvagio Felipillo, uno degli interpreti al
servizio di Francisco Pizarro. L'inganno, si
spiega in Scoperta e conquista del Perù, avrebbe avuto lo scopo di permettere al macchinatore di reclamare per sé una delle spose del sovrano. Uno sviluppo quasi romanzesco, appunto, successivamente avvalorato da
Garcilaso de la Vega, detto "El Inca", nella sua
Storia generale del Perù.
Universalmente ritenuto il primo scrittore latinoamericano e annoverato tra i maestri della prosa spagnola nel Siglo de Oro, Garcilaso
(1539-1616) appartiene alla generazione successiva a quella di Cieza de León. Inoltre, se
quest'ultimo è un europeo arrivato in America in cerca di fortuna, El Inca compie il cammino inverso: nasce a Cuzco dalla relazione tra
un conquistador e una principessa locale, ma
si trasferisce ancora giovane in Spagna, dove
avvia una carriera letteraria contraddistinta
dalla conoscenza diretta della cultura e della
stessa lingua incaica. Nella sua riflessione convivono la ragionata rivendicazione delle tradizioni indigene e la condanna dell'idolatria
praticata dagli antenati, ai quali viene però riconosciuta una primitiva intuizione del monoteismo attraverso la figura dello spirito creatore Pachacamac.
L'elemento religioso riveste un ruolo importante anche negli scritti di Cieza de León, che
proprio nelle pagine di Scoperta e conquista
del Perù si trova a rendere conto del processo
che dall'iniziale, reciproca sorpresa derivante dai primi contatti fra indigeni e «cristiani»
conduce fino all'affiorare di un'ostilità sempre più aperta, presto degenerata in scontri,
massacri, torture. Cieza de León si mostra
tutt'altro che condiscendente rispetto al ricorso alla violenza da parte di Pizarro e dei
suoi uomini. Non solo ritiene che l'esecuzione di Atahuallpa sia stata decisa dal governatore «con gran crudeltà e poca giustizia», ma
non perde occasione per segnalare le occasioni in cui gli spagnoli si sono macchiati di
comportamenti disumani. «Questo, e anche
di peggio, io ho visto coi miei occhi fare a questa popolazione sventurata, molte e molte volte — annota quasi al termine del libro —, e i miei
lettori abbiano pazienza semi dilungo in questo racconto e approfittino di quel che leggono per supplicare Nostro Signore che ci perdoni peccati tanto gravi».
E un atteggiamento che giustamente, nella sua
introduzione, Carla Forti accosta a quello che
si ritrova nella celebre Brevissima relazione
della distruzione delle Indie di Bartolomé de
Las Casas, apparsa per la prima volta nel 1552.
Lo sdegno di Cieza de León è più istintivo e meno teologicamente motivato di quello del vescovo domenicano, ma proprio per questo risulta straordinariamente significativo. Spesso, scorrendo la sua Scoperta e conquista del
Perù, torna alla mente il ragionamento che
Manzoni sviluppa nella Storia della Colonna
Infame, quando sottolinea l'elemento di responsabilità individuale grazie al quale anche
una legge ingiusta potrebbe essere applicata
con equità o addirittura con clemenza. Cieza
de León non generalizza mai, stigmatizza l'avidità di alcuni componenti del clero e loda la virtù di altri. Anche se non è stato testimone
oculare di tutti gli eventi di cui riferisce, non
manca mai di introdurre una nota personale
nelle sue considerazioni. Spicca, tra tutti, il ricordo di una canzoncina in voga a Cordova
durante la sua infanzia: «Voi che partiste per
il Perù, guardatevi dal cuccurucù».