Dice: ma come si riconosce un vero poeta? E' una domanda ricorrente, tanto da non sembrarti più nemmeno
stupida. Sicché finisci per mettere a punto una risposta. Altrettanto stupida. E che perciò potrebbe rivelarsi di una qualche utilità. Dunque: i veri poeti si riconoscono (laddove le risposte con
velleità pedagogiche si riconoscono per l'incipit a domanda ribaltata, catechismo-wise) esattamente come si riconoscono le belle donne.
Prendiamo uno sguardo calamitato da un viso apparentemente bello: se dopo qualche istante non sa già più dove posarsi, se a mo' di biglia da flipper rimbalza dagli occhi alle labbra al naso
e via daccapo, nell'inesaudibile pretesa di coprirne simultaneamente tutta la superficie, di assorbirne in una sola
occhiata ogni particolare, allora quel viso è effettivamente l'epicentro di una bella gnocca. (?C?è un corpo nel corpo |
che t'esce fuori quando t'accarezzo | e fa breccia nel lento | schiumare salsedine | dei secchi giorni?). Se invece si pianta dove arriva, e anziché scorrazzare per zigomi e mandibole si paralizza
in attesa che cervello e circostanze gli dicano dove andare, allora la gnoccheria era pura illusione. In pratica è lo stesso segreto delle arti figurative, e come ogni buon segreto è da sempre spiattellato nei luoghi comuni del linguaggio: per essere un capolavoro, una
scultura deve impedirti di ?staccarle gli occhi di dosso?, un dipinto deve catturare lo sguardo?, cioè non soltanto tenerselo stretto, ma tempestarlo di sollecitazioni che gli impediscano di posarsi, gratificandolo senza mai soddisfarlo. (?Dove parli | resta una traccia
| o uno sbaffo viola | fermo nell?aria?). Proprio come fa un viso autenticamente bello. O il Grand Canyon. O i tramonti, Venezia, il mare in tempesta, il fuoco nel camino e le dozzine d'altri evergreen che attestano l'accessibilità beffardamente universale della bellezza
pura, compresa e condivisa da chiunque sia dotato di sguardo ? con
buona pace di snob ed esteti per cattedra. Ecco, la stessa cosa capita con i poeti: l'unica differenza è che al posto di zigomi e labbra ci sono versi, e a entrare in risonanza è il pensiero anziché
lo sguardo. I veri poeti scrivono versi che quando te li trovi davanti sembrano occhi: li guardi, e le idee che ti vengono non sanno dove posarsi, rimbalzano di vocabolo in vocabolo presagendo contenuti che ancora trapelano a stento dalle unità elementari, semplici suoni
e singole parole (?Come se la notte | fosse ancora notte, | e non l'arteria sgocciolante | di un risveglio?). Anche per questo la poesia andrebbe solo letta e mai ascoltata, checché dicano i fautori
dei reading (quelle giostre di versi da ventriloqui): né l'autore stesso né il più fine dicitore saprebbero mai cogliere la soggettiva sintonia fra senso e suono che si instaura nella mente del lettore di fronte a un mazzo di bei versi. Che poi è la stessa sintonia che avvicina la lettura poetica a quella degli spartiti ? esempio sublime, per effetto e meraviglia, di quanto sia divino il potere della lettura. E che talvolta spinge chi legge a qualche inconsapevole aggiustamento? veri e propri lapsus migliorativi? dei versi stonati.
Già, perché non è detto che gemme come? quel che non puoi dire | è fin troppo solido | quando non sa passare | oltre la cruna di un altro? mettano al riparo da ruzzoloni del tipo ?l?inverno è un manto | d?ermellino? o ?quel candore austero | come un agnello che ti
cozza | il seno sotto una pastura | di flanella?. Soprattutto quando l?autore venga improvvisamente colto dall?assurda smania di compromettersi con le rime (che qui lo costringono a veri e
propri misfatti, come ricorrere a Fedro per far paio con cedro, o voltare in maschile l'eco per calzarvi un ?nutrito? da coniugare con ?udito?). Ma anche gli occhi più belli e intensi possono incappare in un mascara scadente. E quelli di Luigi Trucillo (i versi citati sono tratti dal suo? Le amorose?, ed. Quodlibet) a parte gli incidenti
cosmetici sono occhi da gran bella gnocca di poeta.
Haiku della settimana
Quando non stronca gli viene male l'haiku ?
così impara.