Recensioni / Libri - Miles Davis, il Quintetto Perduto e altre rivoluzioni

Principe delle tenebre, genio imprendibile, divino Miles. Artista opposto ai compromessi, cercò di rivoluzionare la musica seguendo il proprio daimon che pretendeva di ascoltare solo se stesso. Sono trascorsi quasi trent'anni dalla sua morte ma Miles Davis continua a rappresentare il simbolo del jazz, un instancabile viaggiatore che nel 1969 rimescolò ancora carte e vision, flirtando con il rock e il suo astro nascente Jimi Hendrix, con cui aveva fissato anche un fertile rendez-vous, mancato all'ultimo per la triste scomparsa del mancino di Seattle. In queste pagine viene riassunta la fascinazione vissuta verso quelle vibranti energie, attraverso la sponda di Dave Holland e Chick Corea, i due nuovi sodali che avevano un rapporto molto forte con Anthony Braxton, già campione dell'avanguardia in quel nuovo quintetto completato da Wayne Shorter e Jack DeJohnette (anche lui proveniente dal fertilissimo atelier di libero pensiero di stanza a Chicago). Quell'ensamble non registrò neanche un album in studio ma visse diverse esibizioni dal vivo, documentate con un certa perizia. Nel frattempo la corte davisiana continuava a rinnovarsi: sarà il compianto Steve Grossman (appena diventato maggiorenne!) a prendere il posto di Shorter al sax, mentre il fronte sonoro si giova degli innesti del percussionista Airto Moreira e dell'imberbe % Keith Jarrett al piano elettrico; per la cronaca, saranno un sestetto e settetto perduti perché, al s, pari di quanto accaduto con il quintetto di cui iii erano un'espansione, le loro performance sono state documentate solo live. La storia immediatamente successiva consegna Bitches Brew, In a silent way e il tributo a Jack Johnson a una musica considerata come un magma in continua mutazione: queste appassionanti vicende sono ben dipanate con una minuziosa esegesi, che allontana lo spauracchio del jazz rock per un approdo di matrice diversa, come una declinazione assimilabile all improvvisazione libera del free. Quella che aveva incuriosito parecchio Miles, ovviamente a partire dalla svolta spirituale di John Coltrane, per proseguire con Archie Shepp e l'iconoclasta Omette Coleman, che per Davis aveva il torto di accompagnarsi a Don Cherry, irregolare per quanto strepitoso trombettista che, però, non godeva affatto delle sue simpatie.

Recensioni correlate