Recensioni / Che cos’è il “rinascimento psichedelico”?

Nell’ultimo periodo si è fatto un gran parlare di “rinascimento psichedelico”. Per rinascimento psichedelico si intende la riscoperta, da parte della comunità medico-scientifica, del potenziale terapeutico delle sostanze psichedeliche. Un percorso iniziato nel secolo scorso ma interrotto, per pregiudizi e scelte politiche, nella seconda metà degli anni Sessanta. La ricerca ha però visto una nuova primavera a partire dal 2006, una data simbolica che coincide con il centenario della nascita di Albert Hofmann, lo scienziato svizzero che nel 1938 sintetizzò l’LSD sperimentandone il potenziale lisergico nel celebre Bicycle Day del 1943, il primo trip a base di LSD riconosciuto.

Un mondo dove la depressione è curata con sedute a base di ayahuasca o trattamenti di ketamina, le dipendenze risolte grazie all’assunzione di psilocibina e ibogaina, la paura della morte con LSD, non è l’utopia di uno scrittore di fantascienza, ma un futuro prossimo e probabile. Di certo non è uno scrittore di fantascienza Federico di Vita che ha curato La scommessa psichedelica (Quodlibet, 2020), una raccolta di saggi a più firme che trattano l’argomento della psichedelia da prospettive inedite, dai culti mesenterici alla letteratura lisergica, dalla memetica alla psicoterapia, dalla psytrance al coinvolgimento di Trump nella diffusione dell’esketamina.

Abbiamo raggiunto l’autore e Peppe Fiore, scrittore e sceneggiatore, che in questa raccolta ha indagato “Il trip report come sottogenere della letteratura da viaggio”. Ci siamo così addentrati nel panorama del rinascimento psichedelico.

Vorrei cominciare questa conversazione nel modo più semplice possibile perché penso che la chiarezza, in questi casi, sia più che mai necessaria: quali sono le sostanze che rientrano nella famiglia degli psichedelici?

Federico: Gli psichedelici sono quelle sostanze che ‘manifestano la mente’, che danno la visione. In senso stretto sono gli agonisti del recettore 2A della serotonina, quindi soprattutto alcune sostanze delle categorie delle triptamine, lisergamine e fenetilamine. Questa caratteristica li differenzia dalle altre sostanze, oltre al fatto che gli psichedelici non danno dipendenza. Facciamo un breve elenco esemplificativo: l’LSD, i funghi (contenti psilocibina), il peyote (contenente la mescalina), la ayahuasca (contente DMT), il DMT in purezza. In questo elenco possono poi aggiungersi altre due sostanze su cui il dibattito è aperto: l’MDMA (che non ha una componente realmente psichedelica) e la ketamina (che a differenza delle sopracitate può creare dipendenza).

Peppe: Aggiungo due categorie sintetizzate dal chimico americano Alexander Shulgin: fenetilammine (le 2C-), sintetizzate a partire dalla mescalina, e le triptammine, derivate da molecole naturali. Sono un perfetto biglietto da visita nel mondo psichedelico perché hanno una durata ridotta rispetto, ad esempio, alle 12 ore dell’LSD.

Da dove nasce l’idea di un’opera come La scommessa psichedelica?

Federico: Il volume nasce in due momenti. Nel primo ero ad una festa a Tel Aviv, sul mare, e la musica psytrance aderiva perfettamente allo skyline della città. Chiaramente stavo in acido e avevo la sensazione di percepire la Storia, con la S maiuscola, con tutte le contraddizioni che ci sono lì. Ho pensato che la psichedelia aderisse perfettamente a quel luogo, non a caso molti artisti psytrance sono israeliani. Un altro momento di rilevazione simile mi è poi arrivato in un festival di musica elettronica in Italia, dove ho avuto la sensazione di vivere continue sindromi di Stendhal e ho pensato che quella situazione sarebbe stata solo un concerto di musica se non ci fossero stati gli psichedelici. Le sostanze trasformavano la situazione in qualcos’altro di più ampio. E mi sono chiesto in quanti altri ambiti poteva succedere.

Nel discorso pubblico il concetto di rinascimento psichedelico è spesso riferito alle importanti scoperte in campo medico-scientifico di questi ultimi quindici anni. NeLa scommessa psichedelica invece si adotta una più ampia visione del mondo psichedelico, aprendolo trasversalmente a più stimoli e racconti possibili. Come mai è stato scelto questo approccio al tema?

Federico: Le scoperte scientifiche hanno dimostrato che gli psichedelici sono, fondamentalmente, medicine. Dalla metà degli anni Sessanta, a causa di pregiudizi storici e politici, non erano più stati utilizzati in questi campi. Quello che mi colpisce però è come la psichedelia può fare tanto anche in altri ambiti che non sono stati finora raccontati. Per questo ho pensato fosse il caso di fare un passo in avanti nella discussione. Entrando in ambiti così svariati era necessario chiamare persone esperte di temi specifici che conoscono bene la psichedelia. Il fatto di essere più voci costituiva in sé un messaggio politico perché per la prima volta tanti intellettuali italiani di estrazione differente affermano che gli psichedelici sono importanti, in più modi e differenti ambiti.

Peppe: I momenti più trasformativi della mia formazione di individuo sono legati all’acido e agli psichedelici. Da scrittore di fiction sono anni che cerco di raccontare quell’esperienza, fallendo sistematicamente. Probabilmente il portato di immaginario, profondità e visione che sta dentro l’esperienza psichedelica sta troppo più in alto delle mie capacità di scrittore di finzione. Federico mi ha dato l’opportunità di scriverne facendo della non-fiction. I testi più belli che ho letto sulla psichedelia sono esperienze personali legate ai cosiddetti trip report, l’argomento a cui ho dedicato il mio piccolo saggio nel libro. Due libri fondamentali della mia formazione sono PIHKaL e TIHKaL del già citato Alexander Shulgin, il chimico americano che ha trascorso la vita sintetizzando molecole, sperimentandole su se stesso in maniera scientifica. Questi due capisaldi sulle fenetilammine e sulle triptammine contengono decine e decine di trip report. Sono due scritti di epica psichedelica. In questo momento storico si sta parlando degli psichedelici non tanto per decriminalizzarli, ma per smitizzarli e spogliarli da quel fascino del proibito e del trasgressivo che hanno appiccicato addosso e che confonde il reale portato trasformativo e terapeutico che hanno sempre avuto nella loro storia.

Questo libro ha sicuramente il merito di aver allargato la conversazione attorno al rinascimento psichedelico. Vi aspettavate un riscontro così positivo? Vi siete scontrati con qualche episodio di censura?

Peppe: In questo momento la gente sta così male tra paranoie e nevrosi che la possibilità che ti viene dischiusa da un dibattito come quello sul rinascimento psichedelico in cui esiste un mondo di liberazione di energie dal profondo, di comunione di esseri umani, di possibilità di sviluppo interiore e apertura spirituale accende l’Occidente nevrotizzato. È un tragico tempismo.

Federico: Nel libro è presente un frattale di accessi, per cui al suo interno trovi posizioni diverse, il che apre a un dibattito su questo frangente, e anche su cosa aspettarsi in relazione a ciò che è successo in passato e su come verrà trattata la contro-cultura che da sola ha portato avanti questi temi per trent’anni. Il libro è stato molto preso in considerazione dalle principali testate online mentre nei principali quotidiani italiani se ne è parlato meno. Dove poteva esserci più resistenza politica, sul cartaceo, c’è stata. Questo per me significa che dove c’è pressione politica c’è più resistenza.

Come viene raccontato in apertura del libro, negli anni ’50 e ’60, prima del proibizionismo, si discusse su come riuscire a rendere gli psichedelici culturalmente accettati e accettabili nella società. Figure come Aldous Huxley, Humphry Osmond e Al Hubbard erano convinte che fosse necessario un approccio top-down, dall’alto, per influenzare la società. Un personaggio come Timothy Leary invece credeva in un approccio bottom-up, convinto che sarebbe bastato raggiungere la soglia critica di quattro milioni di statunitensi che avevano provano intense esperienze psichedeliche per assistere ad un’ideale accettazione sociale delle sostanze lisergiche. Federico, tu nel libro sei apertamente critico verso Timothy Leary. Volevo quindi chiederti se pensi che, oggi, sia ancora necessario un approccio top-down per far sì che il rinascimento psichedelico non venga spento da una futura stretta proibizionista.

Federico: Il libro inizia con una storia della psichedelica, perché pensavo fosse indispensabile per un lettore che non ha familiarità con il tema. E mi sono posto delle domande. Certo, l’atteggiamento di Leary ha avuto delle conseguenze, ma non è stato solo questo a portare al proibizionismo, è stata una congiuntura storica. Non penso però che oggi l’approccio debba essere esclusivamente dall’alto e penso sia impossibile pensarlo ora perché ci sono una serie di cluster di persone che fanno uso di sostanze psichedeliche per proprio contro. Penso ad esempio al movimento rave, decine di migliaia di persone solo in Italia; un accesso puramente dal basso. Il tempo in cui aveva senso dividere tra approccio dal basso o dall’alto erano gli anni Cinquanta e Sessanta, quando era possibile immaginarlo. Ora chi vuole raggiungere queste sostanze dal basso può farlo, almeno nell’Occidente.

Però, come hai fatto notare parlando dei quotidiani italiani, quando la psichedelia incontra la politica, la conversazione spesso viene oscurata.

Federico: Il libro serve anche da questo punto di vista. Se un domani dovesse arrivare un politico (che in Italia può solo arrivare dall’ala dei radicali), e dicesse “usiamo la psilocibina in disubbidienza civile per alleviare la paura della morte in un malato terminale”, sarebbe necessario, per comprendere questo messaggio, che il pubblico sappia almeno un po’ di cosa si sta parlando. Il libro serve a far circolare queste informazioni e preparare la strada a questi possibili interventi politici che – secondo me – prima o poi arriveranno. E chi deve fare informazione se non chi scrive? Scrivere un libro è il modo migliore per far uscire articoli e innescare una conversazione collettiva.

Peppe: A me banalmente interessa anche solo l’aspetto ricreativo e culturale, l’opportunità di scrivere di questo tema e trovare un pubblico interessato. Le possibilità di racconto e di partecipazione alla costruzione di un pezzo di immaginario collettivo che ti offre la psichedelia sono enormi ed è questo ciò che mi interessa da scrittore. Scrivere di trip report, come ho fatto nel libro, è la cosa più dal basso possibile: prendere da internet racconti di viaggi di gente che si fa gli acidi, cercando connessioni. Il sottotesto era questo: c’è un universo di senso, fantasia, visioni, sogno, contenuto nella psichedelia di cui è interessante scriverne e leggerne. L’aspetto politico e pragmatico di prassi trasformativa del sociale della scrittura è un effetto a latere, non è il mio specifico.

I più scettici rispetto a questo rinascimento psichedelico fanno notare che è presente un rischio – piuttosto elevato – che gli psichedelici, ridotti a farmaci, vengano ripuliti dal loro peso contro-culturale. È una posizione ripresa anche da alcune voci presenti nel libro. A vostro parere, c’è il rischio che il mondo farmaceutico possa svuotare inesorabilmente gli psichedelici del loro valore contro-culturale e lisergico finendo per addomesticarli?

Federico: Uno dei rischi più grandi in questo momento è che alcune case farmaceutiche trasformino queste sostanze per venderle come farmaci, cambiandone le molecole. Molte di queste sostanze sono naturali, oppure opera di sintesi realizzate tempo fa, in entrambi i casi quindi fuori dai brevetti. Ti faccio un esempio riprendendo quanto raccontato nel libro da Agnese Codignola. Le case farmaceutiche che hanno deciso di utilizzare la ketamina per il suo potere antidepressivo non possono guadagnarci molto da eventuali farmaci prodotti usando la molecola conosciuta, ormai non più protetta da brevetti. L’escamotage dell’industria farmaceutica per aumentare i guadagni in questi casi è quello di cambiare una molecola per venderla come nuova sostanza, proprio come è successo nel caso del farmaco all’esketamina approvato lo scorso anno sotto il governo Trump, nonostante questa modifica peggiori i risultati terapeutici. Non va bene. Nello stesso modo c’è chi sta cercando di togliere il potenziale visionario dalle molecole della psilocibina e dell’LSD. Che senso ha?

Peppe: Che LSD, mescalina e funghi diventino di massa per essere commercializzati dalle case farmaceutiche mi sembra una prospettiva divertente quanto distopica, una puntata di Black Mirror. Il fatto che il meme della psichedelia si sparga dentro l’immaginario collettivo a vasto raggio per me va bene perché ti dà la possibilità di uno sguardo altro sul mondo a prescindere dal fatto che l’acido te lo fai o no. Quando iniziano ad uscire libri come questo, riassunti con l’etichetta paracula di rinascimento psichedelico, va bene. Soprattutto in un momento storico in cui l’umanità ha un deficit di sguardo alternativo sul mondo. Il discorso psichedelico ti educa ad un’altra visione, ad un altro modo di guardare le cose. Se è vero che oggi l’immaginario è fatto di tante bolle di cui ognuno fa bricolage della propria identità culturale, la realtà ci mostra lo sconcertante omologazione dello sguardo del singolo individuo. Il messaggio che porta la psichedelia è che c’è un altro modo di stare al mondo e guardare le cose. È fondamentale che diventi il più mainstream possibile.

Credo che una sintesi efficace di questo pensiero sia raccolta nella chiusa di Carlo Mazza Galanti nel suo saggio Fantadroghe e pseudo realtà. Su alcune interpretazioni letterarie della psichedelia, anch’esso contenuto in questa opera. Galanti chiude con questa affermazione, “se davvero è un rinascimento psichedelico sarà sul piano degli immaginari prima che nei laboratori o nei parlamenti”.

Federico: La vittoria definitiva è cambiare l’immaginario. Dobbiamo però ricordarci che viviamo in una società ed è importante anche l’apparato legislativo. Finché tutto questo è vietato, è un problema, anche se entrare nell’immaginario è già di per sé una vittoria. L’LSD fa proprio questo: entra nell’immaginario.

Peppe: Il rinascimento psichedelico è attuato quando la gente, quanta più possibile, apprende che si può guardare la realtà con uno sguardo altro. È questo il contenuto della psichedelia; l’immaginario prima che la prassi.

L’ultima domanda, per forza di cose, travalica la legalità. Ricordando comunque che gli psichedelici, in Italia, sono illegali, vorrei chiedervi cosa consigliereste ai novelli psiconauti per affrontare, in tranquillità e sicurezza, una prima esperienza lisergica.

Federico: Non mi sento di consigliare ai lettori di fare indiscriminatamente questa esperienza. Tuttavia, se qualcuno volesse un suggerimento utile può essere quello di tenere molto ben presente il set e il setting e quindi di fare una prima esperienza psichedelica con qualcuno che conosce molto bene la situazione. Deve essere una giornata in cui stai bene e non hai grosse preoccupazioni, in cui sei sicuro di voler fare questa esperienza. Può essere un’ottima idea una casa in campagna in cui poter fare delle passeggiate. Fondamentale: non esagerare con le dosi.

Peppe: Io consiglio di esordire all’aperto, in un contesto di natura, ovviamente con qualcuno che l’ha già fatto e conosce la sostanza. Non penso che tutti, indiscriminatamente, lo debbano provare. Metà della gente che conosco, stretta in lavori iper-stressanti, vedrebbe solo mostri sotto forma di capoufficio o del partner con cui hanno una relazione tossica; a loro lo sconsiglio vivamente. Ad una mente aperta, che si fa domande giuste, certo, lo consiglio. In campagna è l’ideale, un posto dove ti puoi spostare e hai più situazioni possibili raggiungibili a piedi. Hai una varietà di ambienti, al chiuso e all’aperto. Credo che la sostanza di partenza migliore rimanga l’LSD, con un dosaggio corretto, sapendo quello a cui vai contro. Comunque, ricordiamoci che è illegale: è un dettagliuccio, ma rimane.

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