Può un pamphlet di quaranta paginette segnare il destino di un popolo, e influire profondamente sul corso della sua
storia? Se si esclude il Manifesto del partito comunista di Marx, forse pochi altri
hanno lasciato un'impronta tanto marcata quanto la Germania di Tacito (98 d.C).
Nato come libello polemico in cui il pupillo dell'imperatore Vespasiano descrive vizi e virtù delle tribù nordiche insediate ai suoi tempi nelle terre attorno al
Reno, per circa due millenni ha conosciuto innumerevoli versioni, antiche e moderne. Da ultimo, il filologo classico Dino
Baldi ne ha pubblicato una nuova traduzione, impreziosita da un denso saggio
critico dallo stile limpido (Quodlibet, 512
pp., 19 euro, ottobre 2020).
Considerato ingiustamente, insieme
all'Agricola e al Dialogus de oratoribus, tra
le opere minori dell'autore degli Annales,
l'opuscolo del patrizio romano è una monografia etnografica in cui all'elogio di
una stirpe indomita si alterna la condanna
della decadenza morale e politica dell'età
imperiale. Tacito, sostiene Luca Canali
nella premessa alla sua traduzione (ristampata dagli Editori Riuniti), "affascinato e insieme spaurito da quell'intatto patrimonio di energie vitali, dovette pensare
che un tale incombente pericolo per l'Impero doveva essere illustrato in una unitaria e breve, ma pregnante opera, che ne
illustrasse i contenuti etici e culturali, religiosi, etnici, geografici, militari, ispirando nei romani ammirazione, timore e insieme volontà di serrare le file per scongiurarlo e possibilmente batterlo". Dal
canto suo, Baldi sottolinea che in ogni riga
tacitiana è esplicita la volontà di contrapporre i costumi dei Germani a quelli dei
suoi concittadini.
"De origine et situ Germanorum", come
recita il titolo originale, si divide in due
parti: nella prima sono trattati l'aspetto
geografico della regione, gli usi e la vita
quotidiana degli abitanti, l'organizzazione
politica, sociale e militare, le istituzioni
familiari, la religione. Nella seconda, con
rapidi cenni si passano in rassegna le singole popolazioni, da quelle più conosciute
e civili a quelle più primitive, dove affiora
una forte simpatia per quelle genti sane e
immuni dai guasti prodotti dal lusso e dalla ricchezza. "Truces et caerulei oculi, rutilae comae, magna corpora" ("Hanno occhi azzurri e fieri, i capelli fulvi e sono di
grande corporatura"). La robustezza dei
guerrieri germanici, la loro statura imponente, lo sguardo truce, avevano già colpito i centurioni di Cesare che ne erano
rimasti atterriti. In un'epoca in cui si combatteva corpo a corpo, l'esito della battaglia si rifletteva sullo sguardo del guerriero: "Nei combattimenti sono gli occhi i
primi ad essere vinti". La loro cucina è
semplice e genuina: frutta selvatica, cacciagione fresca e latte rappreso (il nostro
yogurt). Si mettono a tavola appena svegli,
dopo essersi lavati con acqua calda. A differenza dei Romani, che preferiscono il
vino, bevono un liquido ricavato dall'orzo
e dal frumento fermentati: la birra. Da noi
chi si ubriaca è visto con disprezzo; non in
Germania: "Consumare il giorno e la notte
bevendo non è considerato da nessuno
un'azione della quale vergognarsi". Non
meraviglia, quindi, se spesso la festa degenera: "Come accade tra ubriachi, le risse
sono frequenti". I Germani non abitano in
città come le nostre, dove una casa è addossata all'altra: vivono isolati e sparpagliati ("colunt discreti ac diversi"), lasciando tra una casa e l'altra ampi spazi
verdi.
Un popolo sano, insomma, non ancora
corrotto dalla civiltà: "Le donne vivono in
una gelosa pudicitia e non si lasciano corrompere dalle attrazioni degli spettacoli
né dalle lusinghe dei banchetti". I Germani non sono gente astuta né furba ("gens
non astuta nec callida"), perciò hanno un
animo schietto e genuino ("ergo detecta et
nuda omnium mens"). Ma, soprattutto, non
sanno mentire; non sanno, come noi latini,
fingere ("fingere nesciunt"). La loro economia ignora l'usura e il "fenus" (il tasso
d'interesse); lo stesso denaro, fonte di ogni
male, sono stati i Romani a introdurlo. Il
ritratto della struttura sociale dei Germani è certamente una delle parti più interessanti del volumetto. Non esiste una figura del "capo" rigida come in altre civiltà: "I re vengono scelti per la loro nobile
origine, i comandanti in base al valore
militare. Il potere dei re non è assoluto e
arbitrario; i condottieri si distingono offrendo il loro esempio piuttosto che impartendo ordini: sono oggetto d'ammirazione se sono coraggiosi, se si mettono in
vista, se combattono in prima linea. Del
resto, nessuno ha il potere di condannare
a morte o imprigionare o far fustigare
qualcuno se non i sacerdoti". I Germani di
Tacito, in altri termini, sono tutto quello
che i Romani erano un tempo. Sono un
exemplum, un modello, che lo storico dei
fasti e nefasti di Tiberio, Claudio e Nerone
addita ai suoi contemporanei.
Arnaldo Momigliano definì la Germania
"un libro molto pericoloso". Perché, fin
dall'inizio del Sedicesimo secolo, fu letto e
interpretato in chiave nazionalistica. Del
resto, lo stesso Tacito aveva fornito ai tedeschi, negli Annali, il ritratto del loro
eroe: Arminio, il condottiero invincibile
che aveva sterminato nella foresta di Teutoburgo le legioni romane di Quintilio Varo (9 d.C). Ben si comprende, quindi, come
già ai tempi della sua scoperta in epoca
umanistica il suo scritto abbia suscitato
interessi non solo filologici, ma soprattutto
storici e etnografici. Interessi destinati ad
accentuarsi nell'Ottocento, allorché il
trionfo degli spiriti nazionalistici alimentò
nella cultura tedesca la ricerca delle radici della propria storia, fino a diventare
una specie di Bibbia, la prova documentaria di una remotissima purezza.
La prima menzione della Germania dopo la rinascita carolingia risale al cardinale Enea Silvio Piccolomini. Eletto Papa col
nome di Pio II nel 1458, firmò un testo dal
titolo omonimo in cui metteva le fondamenta del patriottismo teutonico. Con Piccolomini inizia la fortuna rinascimentale
di Tacito presso gli umanisti tedeschi. Fortuna che toccherà il suo apice durante il
Romanticismo. Johann G. Herder e Johann
G. Fichte elaborarono così il mito del popolo originario ("Urvolk"). Nella seconda
metà dell'Ottocento, poi, si pongono le basi
più consistenti della lettura in chiave nazionalistica della Germania con le ricerche
di Jacob Grimm, secondo il quale i Germani dell'età classica dovevano essere considerati i progenitori dei tedeschi moderni.
Più tardi, uno dei maggiori teorici della
razza pura, Houston Chamberlain, costruisce l'archetipo ideale del dolicocefalo
biondo, suffragandolo con discutibili ritrovamenti fossili dell'età del bronzo. Dunque anche l'archeologia -oltre alla filologia- veniva posta al servizio della leggenda
di una stirpe incontaminata.
Heinrich Himmler lesse per la prima
volta la Germania nel 1924. Il futuro capo
delle SS non nascose il suo entusiasmo per
i capitoli sulla purezza dei "Germanen", e
capì subito quale formidabile strumento
di propaganda potessero costituire. Che,
poi, Tacito li avesse descritti anche come
ubriaconi, collerici, pronti a giocarsi ai
dadi la libertà personale, veniva tranquillamente passato sotto silenzio. Nel luglio
del 1935, vivamente impressionato dalle
teorie di Hermann Wirth, Himmler decise
di creare insieme a lui un'associazione, la
"Deutsche Ahnenerbe" ("Eredità degli antenati tedeschi"), che aveva lo scopo di
promuovere "la scienza dello spirito preistorico tedesco": scopo apparentemente
scientifico, ma chiaramente finalizzato alla ricostruzione del mito della razza ariana. Qualche anno dopo Himmler ribadì
che l'associazione consisteva si proponeva
di sviluppare lo studio dell'antichità germanica e dell'identità razziale dei germani, per trasmetterla al popolo quale insegnamento di vita. Si spiega così, anche, il
suo tentativo di impossessarsi del manoscritto originale di Tacito, incluso nel celebre "Codex Aesinas" e custodito a Jesi
nella biblioteca del conte Balleani. Su
consiglio di Himmler, Hitler chiese di poterlo avere in prestito direttamente a Benito Mussolini, in visita a Berlino per le
Olimpiadi del 1936, proposta subito accettata dal Duce. Due anni dopo il Führer
chiese di poter acquistare il manoscritto,
ma il ministro dell'Educazione Nazionale,
Giuseppe Bottai, sentito anche il parere di
una commissione di intellettuali, che erano contrari all'esportazione del prezioso
manoscritto, comunicò che il proprietario
non aveva intenzione di vendere.
Cinque anni dopo, nell'autunno del
1943, un drappello di SS fece irruzione
nella sua villa trovandola però vuota, perché abbandonata dai proprietari a causa
del precipitare degli eventi bellici. Una
vera e propria ossessione, quella di uno
degli uomini più potenti e crudeli del regime hitleriano, raccontata da Christopher
B. Krebs in un saggio magistrale, che anch'esso meriterebbe di essere ristampato
in tempi segnati dal riemergere di inquietanti pulsioni antisemite e razziste (La Germania di Tacito dall'impero romano al Terzo
Reich, Il Lavoro Editoriale, 2012). Secondo
l'insigne docente di Filologia classica alle
Università di Harvard e Princeton, l'opera
del senatore romano esercitò una grande
influenza per quasi cinque secoli perché
forniva una risposta a una domanda legittima: la fondazione di una coscienza nazionale tedesca. Infatti, prima che la Confederazione del nord e i principati del sud si
unissero per formare l'impero germanico
(18 gennaio 1871), non esisteva uno stato
nazionale tedesco e i cartografi sospiravano guardando l'Europa centrale, disperati
per la confusione in cui versava. Prima di
allora la Germania esisteva solo come sentimento. Agli inizi del Cinquecento, umanisti che vivevano al nord delle Alpi si
autodefinivano "tedeschi" e spingevano i
loro connazionali a studiare e riunirsi in
difesa della patria. Essi trovarono
nell'opuscolo di Tacito questa patria: un
popolo di uomini coraggiosi dai costumi
rozzi, se paragonati a quelli raffinati dei
romani, ma dalle superiori virtù morali e
appartenenti a una stirpe incontaminata.
L'ideologia nazista, quindi, non è nata dal
nulla. Nella creazione dei suoi concetti
basilari (razzismo e mito del "Volk") la
Germania - afferma Krebs utilizzando la
definizione di Momigliano - è un libro
molto pericoloso non perché si adattava
alla cornice del nazionalsocialismo, ma
perché ha contribuito a formarla. Ad
esempio, le leggi di Norimberga "per la
difesa del sangue e dell'onore tedesco",
approvate nel 1936, vietavano i matrimoni
tra ebrei e tedeschi, così come si credeva
che ai "Germanen" di Tacito fossero imposte restrizioni alla libertà di contrarre matrimonio con stranieri.
Le idee assomigliano ai virus: dipendono dalle teste che le ospitano. Si moltiplicano e cambiano nella forma o nella struttura, si uniscono e formano le ideologie.
Esse si diffondono attraverso i secoli e
passano da un gruppo sociale a un altro. Il
virus della Germania, importato alla fine
del Quattrocento dall'Italia, mostrò localmente diversi sintomi nei testi storici, nei
trattati linguistici, nella cultura e nella
politica, nelle leggi, nelle teorie razziali, e
persino nei manuali scolastici; e tutti erano prova di una grave malattia. Poi, dopo
trecentocinquant'anni di incubazione, il
male si aggravò e sfociò in una infezione
sistemica culminata nella tragedia più immane del Novecento.
Al termine del conflitto mondiale il "Codex Aesinas" fu depositato dal conte Aurelio Balleani in una cassetta di sicurezza
del Banco di Sicilia a Firenze. Seriamente
danneggiato dallo straripamento dell'Arno nel novembre 1966, venne restaurato
ell'Abbazia di Grottaferrata e, alla morte
del conte, fu donato dagli eredi allo Stato
italiano. Dal giugno 1994 è conservato nel
fondo Vittorio Emanuele della Biblioteca
Nazionale centrale di Roma.
A Detmold, città della Renania-Vestfalia epicentro della battaglia di Teutoburgo, dal 1875 il monumento di Arminio, una
gigantesca statua di bronzo, si erge a quasi
54 metri di altezza su un mausoleo. Da
maggio a ottobre del 2009, in occasione del
bimillenario della vittoria di Arminio, è
stata il teatro di imponenti celebrazioni
con il patrocinio del governo federale. Per
sei mesi il codice Aesinas fu finalmente
visto da decine di migliaia di tedeschi.
Dove avevano fallito sia Hitler che Himmler, era invece riuscita - sia pure temporaneamente - Angela Merkel.