Recensioni / Le fontane di Za’atari

Za’atari, in territorio giordano a pochi chilometri dal confine siriano, è attualmente una città di circa 80000 abitanti (la quarta della Giordania) – in realtà Za’atari è costituita da costruzioni provvisorie perché essa è uno dei più estesi campi-profughi del mondo sorto a partire dal 28 luglio 2012 per ospitare le persone in fuga dalla guerra civile siriana. Ma Za’atari s’impone come esempio di un modo possibile di ripensare la città stessa oltre che i campi per i rifugiati; secondo le stime dell’UNHCR un campo profughi ha una durata media di 17 anni, il che significa che la sua iniziale provvisorietà si trasforma in una sorta di stabilità nel tempo e a Za’atari ci sono infrastrutture all’avanguardia, dal fotovoltaico all’impianto di depurazione delle acque grigie, alla rete idrica in conformità con gli standard nazionali giordani, vi si sperimentano nuovi modelli di distribuzione degli aiuti che hanno permesso la crescita di un’economia interna molto vivace, animata da più di tremila attività commerciali. Le persone hanno trasformato le tende del periodo iniziale in costruzioni provvisorie sì, ma concepite secondo la tradizione del Vicino Oriente, per cui le stanze costruite con pannelli di legno o di metallo e i caravan sono stati disposti a formare moltissimi cortili al cui centro sono state costruite delle fontane: si tratta dei cortili privati in cui le persone si raccolgono per incontrarsi e stare insieme.
L’artista Margherita Moscardini ha concepito più di cinque anni fa e avviato un progetto (ancora in fieri) consistente nel fare un inventario dei cortili con fontana, venderne i modelli a città e istituzioni europee affinché possano riprodurli in scala 1:1 come sculture all’interno di spazi pubblici pagando le royalties ai progettisti originari e impegnandosi al tempo stesso a trasformarle giuridicamente in spazi con caratteristiche di extraterritorialità, rispondendo così alla volontà dell’artista di generare oggetti che come l’alto mare non possono essere sottoposti alla sovranità di alcuno stato. Il primo viaggio in Giordania nel 2017 è stato, come dichiara la stessa Moscardini, “di osservazione”. A Za’atari i visitatori possono restare per poche ore al giorno e con l’aiuto della giornalista Marta Bellingreri, che aveva già lavorato nel campo, Margherita Moscardini è riuscita a entrare in contatto con diversi artisti, costruire relazioni, avere accesso alle case: i cortili con fontana sono stati una scusa per ascoltare, dice l’artista. Se ripensati per durare, campi per rifugiati come Za’atari potrebbero non solo diventare terreno di sperimentazione di modalità, modelli, tecnologie, ma anche diventare figurazioni di un altro modo di intendere la cittadinanza, svincolati giuridicamente dallo stato nazionale su cui nascono – e a tal proposito Margherita Moscardini si richiama esplicitamente alla visione di cittadinanza di Giorgio Agamben: richiamandosi al distico del poeta Francesco Nappo La patria sarà / quando tutti saremo stranieri, il filosofo sostiene infatti (pur riconoscendone l’irrealizzabilità) che si dovrebbe poter percorrere la strada inversa rispetto a quella consueta in base alla quale si nasce in una determinata nazione e, tramite lo ius sanguinis oppure lo ius soli, se ne riceve la cittadinanza – si dovrebbe cioè poter rinunciare alla propria cittadinanza e accedere alla condizione di apatridi e apolidi. Anche Moscardini pensa a una città in cui i cittadini possano condividere la condizione di esuli e così sorge la domanda se si possa parlare anche di un oggetto senza diritti e senza cittadinanza, se sia possibile pensare a un’Europa topologicamente perforata e se tale perforazione possa iniziare da alcune sculture, concependo i cortili di Za’atari come pietre di fondazione di un altro paradigma politico. La Casa Editrice Quodlibet ha appena pubblicato un oltremodo interessante volume doppio, intitolato Le fontane di Za’atari, del quale viene detto: Il progetto di Moscardini si configura come un dispositivo per generare un sistema virtuoso di vendita di sculture che riproducono in scala 1:1 i modelli di cortile con fontana di Za’atari, che dovranno beneficiare di una giurisdizione speciale con elementi di extra-territorialità.
Ecco: il concetto di dispositivo interviene qui a definire un progetto e una serie di atti concreti che strappano il fare artistico a ogni autoreferenzialità e a ogni vuoto estetismo, che ne fanno un atto politico capace di rovesciare molti luoghi comuni e idées reçues.