Recensioni / Genesi e sviluppo della Trans-avanguardia. Cosa si cela dietro il movimento di Achille Bonito Oliva?

A quarant'anni dalla pubblicazione della Transavanguardia italiana di Achille Bonito Oliva sulla rivista «Flash Art», si sentiva il bisogno di fare finalmente chiarezza attorno a una delle avventure critiche che più hanno caratterizzato l'arte italiana degli ultimi venti anni del novecento. La critica a effetto: rileggendo la transavanguardia italiana (1979) è il titolo del libro che arricchisce la già preziosa collana di saggistica d'arte della Fondazione Passarè di Milano e che rilegge appunto il fenomeno della Trans-avanguardia mettendo a fuoco le teorie elaborate e sostenute dal suo eccentrico ideatore. Teorie che per molti aspetti ancora oggi risultano divisive tra chi considera il fenomeno del ritorno alla pittura come la riappropriazione del mezzo tradizionale del fare arte, e chi invece la considera la pietra tombale delle avanguardie e neoavanguardie posto sessantotto. Senza dubbio i pittori della Transavanguardia hanno restituito all'arte italiana un rinnovato momento di notorietà internazionale, un ultimo sussulto di celebrità nel panorama mondiale dell'arte e questo lo si deve senza infingimento proprio ad Achille Bonito Oliva. La ricostruzione di Denis Viva è dettagliata e approfondita sostenuta anche dall'utilizzo di un linguaggio he fa della chiarezza il proprio punto di forza, anche se compaio nel testo alcuni refusi redazionali che tuttavia non inficiano la qualità del lavoro. L'autore tende a ricomporre un quadro esaustivo del contesto che ha portato alla nascita della Transavanguardia discostandosi, forse per la prima volta attraverso una ricerca accurata nell'ambito degli studi su questo tema, dalla lettura fornita dall'eccentrico fondatore e allargando il cono visivo anche sulla rivista «Flash Art» che nel 1979 tenne a battesimo il gruppo. Quello che emerge è come la nascita del movimento sia di fatto collegata anche ad alcuni fattori più propriamente commerciali e non solamente critici, in cui la rivista ha giocato un ruolo centrale raccogliendo non a caso i frutti di una simile operazione. Si inaugura di fatto un nuovo modo di leggere l'arte e di promuoverla con nuovi strumenti comunicativi in cui la rivista, intesa fino ad allora come tribuna di posizioni ideologiche attraverso cui la critica dipana le proprie tesi, diviene il mezzo trasversale aperto a un approccio post ideologico e decisamente più commerciale, entro la quale possono convivere schieramenti contrapposti se non antitetici.
È dunque interessante scoprire come la Trans-avanguardia non fosse così come si è portati a leggere in alcune delle ricostruzioni ormai storicizzate, e in primis proprio quella narrata dal suo creatore che la descrive come "il ritorno di un rimosso", quasi a indicarne un'improvvisa esplosione volta a richiamare un rinnovato ordine pittorico tradizionale. Un'auto narrazione che descrive il fenomeno come improvviso e ineluttabile, posizionato in aperta polemica con l'effimero artistico imperante lungo il corso degli anni settanta. Sfogliando la rivista prima del doppio numero 92-93 dell' ottobre -novembre 1979, Viva rintraccia i prodromi di un cambiamento in essere nelle arti figurative già dalla fine del 1977, quando l'editore Giancarlo Politi attiva una serie di operazioni volte a imbastire un nuovo discorso in antitesi alle correnti postsessantottine concettuali, moderniste e poveriste che avevano fatto la fortuna internazionale anche della rivista. Dal 1978 fino a 1979 si rivalutano le esperienze pittoriche americane recuperando gli artisti figurativi pre Pop Art fino a tracciare in quello stesso doppio numero una tendenza neopittorica americana in divenire, già ramificata ma non ancora strutturata come invece Achille Bonito Oliva lascia intendere per il suo movimento, che apparve definito negli obiettivi e negli autori. Viva mette inoltre a fuoco come esista un doppio tentativo attorno a quest'operazione: da un lato la possibilità per «Flash Art» di farsi trovare editorialmente pronta e rinnovata graficamente alla soglia. del nuovo decennio per un salto di livello internazionale, mentre dall'altro lato c'è l'opportunità per Achille Bonito Oliva di far detonare la propria proposta critica maturata da tempo, in un contenitore apprezzato a livello internazionale e soprattutto fino ad allora conosciuto come promotore di tutte le correnti più sperimentali degli anni settanta, e in particolare dell'Arte Povera e H suo primo sostenitore: Germano Celant. È infatti quest'ultimo H bersaglio su cui Bonito Oliva si Flash sarm scaglia sistematicamente. Un bersaglio che però è anche un modello ed è qui che l'autore individua cinque temi che cercano di rintracciare le ragioni della Transavanguardia al di là della consueta necessità del ritorno alla pittura. Temi che trovano nel riscatto dell'artigianalità, accompagnata dalla crisi dello storicismo evoluzionista, del ritorno alla dimensione privata contro H collettivismo del decennio precedente, forse le motivazioni più vere assieme a quella che Viva individua come euristica dell'opera. Una pittura priva cioè di ogni riferimento stilistico del passato quanto piuttosto il risultato di una accidentalità pittorica che rende le opere della transavanguardia uniche. Su questa narrazione privatista e accidentale si costruisce H successo del raggruppamento che premia un ritorno a pragmatismo istintivo, disimpegnato e privo di retropensieri ideologici, anche se in fondo si rischia di banalizzare il fenomeno. Infatti ciò che sembra si possa cogliere dalla Trans-avanguardia e dalla teorizzazione di Boníto Oliva è una deregulation pittorica che va di pari passo con le vicende politiche del decennio che si va aprendo. Certo una semplificazione da ogni difficoltà concettuale, estetica o interpretativa in cui l'idea di società esce dalla cornice dell'opera per lasciare posto non tanto al prelievo citazionista del passato che pure vi confluisce, come dimostra H libro, quanto piuttosto a un approccio epocale trionfante oggi più che mai evidente e che un genio del teatro come Carmelo Bene avrebbe definito un tipico momento di 'depensiero' che non è semplice vacanza del pensiero o scivolamento nella trivialità o nel vernacolare intimista, quanto piuttosto una rinuncia all'interrogativo sociale ed estetico, forse anche in polemica con coloro che del 'pensiero' o dell'impegno sociale avevano fatto per decenni la propria bandiera scivolando forse in un eccesso di integralismo escludente. Se letta in quest'ottica la trivialità di certi dipinti di Chia, talvolta irriverenti suonano più come un riscatto dell'escluso che spernacchia gli sperimentalismi concettuali del decennio precedente. Forse una chiave di lettura della Transavanguardia come una naturale conseguenza di rivincita di una nuova marginalità artistica mi rendo conto può sembrare riduttiva, ma di certo il sussulto dí presenza che riammette nel circuito del sistema dell'arte la più tradizionale delle tecniche pittoriche ha funzionato benissimo.