Una fertile tensione,
quella stabilita da
Giuseppe Rebecchini tra il
titolo e il sottotitolo del
suo estremo contributo.
Tensione tra uno sguardo
introverso e introspettivo,
capace di scorgere e di
rendere oggettiva e
comunicabile la fase
ideativa del progetto; e
l'ampio ed estroverso
messaggio, in particolare
rivolto agli studenti di
architettura, che ordina e
racconta quel che il citato
sguardo ha potuto
vedere. Inoltre, la scelta
del genere lettera,
collaudato artificio
retorico utile a scaricare lo
scritto dagli eccessi di
gravitar teorica, inscrive
questo libro in una lunga
e aulica tradizione: basti
ricordare la lettera scritta
da Raffaello e Baldassarre
Castiglione a Leone X, nel
1519.
Difficile scegliere, per
questo libro, un aggettivo
capace di connotarlo
univocamente. Denso,
ma contemporaneamente
didattico; intimo, ma
dichiaratamente
pubblico; semplice, ma
inevitabilmente
complesso. Altre tensioni,
altri ossimori.
E poi, perché una lettera?
Per capire, vediamo come
è fatto il libro. Lo
racconta lo stesso
Rebecchini (p. 11): il
volume «si suddivide in
tre capitoli e una sezione
che presenta alcuni
progetti recenti nella loro
fase ideativa. Il primo
capitolo sviluppa alcune
considerazioni preliminari
su obiettivi, strumenti e
modalità sia
dell'insegnamento, sia
dell'apprendimento della
progettazione
architettonica. Con il
secondo capitolo intendo
spiegare il metodo
progettuale da me
seguito, analizzato nella
fase ideativa. Nel terzo
capitolo presento la serie
dei miei "temi formali"
che hanno maggiorente
caratterizzato il mio
lavoro di architetto».
Ora, più che entrare nel
merito dello scritto,
interessa capire quale sia,
o quale possa essere, il
senso di un contributo di
questo genere nel nostro
presente: in Italia e sulla
scena globale. Sono
necessarie due
osservazioni.
La prima, relativa all'Italia,
ci porta alla constatazione
della marginalità
dell'architettura nel
nostro paese. Scrive
Giuseppe Rebecchini, nel
merito, di «un paese
come l'Italia dove, negli
ultimi decenni, si è
dovuto registrare un
abbassamento della
cultura architettonica
anche all'interno delle
amministrazioni
pubbliche con
conseguenze a volte
irreparabili; cultura
architettonica che aveva
contrassegnato
gloriosamente alcune
epoche storiche del
nostro paese» (pp.10-11).
Purtroppo, la patologia è
ben più radicata e diffusa
di quanto non scriva
Rebecchini che,
acutamente, individua,
quale conseguenza grave
di tale abbassamento, la
perdita della misura,
«caratteristica di fondo
dell'architettura italiana,
che è andata via via
affievolendosi verso la fine
degli anni '60» (p. 15).
Potremmo considerare
congiuntamente i libri di
Franco Purini, La misura
italiana dell'architettura
(2008) e di Luca Molinari,
Dismisura. La teoria e il
progetto nell'architettura
italiana (2019) ed entrare
nella questione,
stabilendo proficui
confronti; lo stesso
Rebecchini evidenzia,
infatti, l'importanza
cruciale della nozione di
misura.
La seconda osservazione,
relativa alla scena globale,
ci porta invece alla
constatazione della
scomparsa della teoria.
Una teoria operativa
come guida e alimento
del progetto, a più riprese
invocata, lungo il testo,
da Rebecchini. Con molta
consapevolezza, l'autore
rintraccia le proprie «più
vicine radici teoriche, ma
anche metodologiche e
linguistiche- [...] nel
razionalismo degli anni
'20 e'30 del secolo
passato, soprattutto nella
versione datane in Italia
negli anni '30 da
architetti quali Terragni,
Cattaneo, Libera,
Figini-Pollini, e innovata
poi dalla nozione di
ambiente promossa
soprattutto negli anni '50
dalla rivista "Casabella"»
(p. 15).
È evidente che un libro,
per quanto generoso,
sapiente e necessario,
non può avere la forza di
contrastare né la
decadenza della cultura
architettonica né la
scomparsa della teoria.
Tuttavia, se consideriamo
il libro stesso come un
monito, se tale monito
troverà sufficiente
diffusione tra la
popolazione studentesca,
se i destinatari della
lettera verranno
opportunamente
sollecitati, si trasformerà
in un faro: capace di
indicare la giusta rotta ai
naviganti.