Mai augurare «buona fortuna».
Mai entrare
in palcoscenico con il cappello.
Mai guardare il pubblico attraverso il sipario prima dello
spettacolo. Se si è in Francia niente verde addosso,
in Spagna vietato giallo, in
Italia evitare il viola. Paese
che vai riti e superstizioni
che trovi, perché il teatro è
anche questo e chi ci lavora e lo studia deve saperlo
o impararlo presto. Perciò nel nuovo Dizionario
teatrale in sette lingue
di Margherita Palli è compresa una
rassegna dei riti,
superstizioni, usi e
costumi nei teatri
del mondo, oltre ai
mille lemmi accompagnati da
più di cento illustrazioni.
Pali è una scenografa che ha
lavorato nei maggiori teatri in Italia e nel mondo, a
lungo collaborando
con Luca Ronconi,
oltre a occuparsi di allestimenti e mostre d'arte
con lo stesso regista e con
l'architetto Italo Rota, a cui è
legata anche nella vita. Il volume è edito da Quodlibet nella
collana curata dal Naba ( Naba
Insights), la nuova accademia
di belle arti di cui Palli è course
advisor leader del Triennio in
Scenografia, ha un'introduzione di Guido Tattoni, direttore
del Naba e di Rota, scientific
advísor dell'accademia, oltre a
un contributo di Franco Malgrande, direttore allestimento
scenico del Teatro alla Scala.
Domanda. Come è nata
l'idea di un dizionario teatrale multilingue?
Risposta. Io lavoro in tutto
il mondo, soprattutto nell'opera lirica, e viaggiando portavo
con me vecchi dizionari che erano troppo grandi oppure non
mi soddisfacevano.
In più ho molti studenti stranieri. L'ho
proposto al Naba e
a Quodlibet e hanno pensato che
potesse essere
un esperimento.
Poi il primo lockdown
ha aiutato me e i miei
collaboratori a trovare
il tempo per realizzarlo.
D. Dal vocabolario emerge come il lessico utilizzato
in teatro sia particolare.
R. Sì, è vero. Se parlo
dell'americana, per esempio,
il pensiero di chi non è del
mestiere va a una ragazza
straniera e invece è la trave
dove si appendono le luci in
teatro. Arlecchino per tutti è
una maschera, per noi invece è la mantovana sopra al
sipario. Ma questo non è un
dizionario soltanto tecnico, in
generale è per chi lavora nello
spettacolo.
D. Ci sono poi i termini
che non si devono assolutamente usare...
R. Tanti. In Francia, per
esempio, non si usa la parola
corde perché ricordava l'impiccagione. Lavoro in teatro
da tanti anni e non sono superstiziosa ma in questo ambiente devo dire che tutti lo
sono, anche quelli che non lo
ammettono. Te ne accorgi
dai loro rituali.
D. Col tempo la
superstizione non è
sparita?
R. No, si tramanda.
D'altronde negli spettacoli dal vivo un po' di paura
è normale.
D. Per questo lei dedica una parte proprio
ai rituali e alle superstizioni, diversi da paese a paese?
R. Già. In Italia prima di uno
spettacolo diciamo «Merda!
Merda! Merda», in Germania
«toi toi toi», che sembra derivi
dalla parola tedesca diavolo.
Poi ci sono i colori: il viola porta
male in Italia perché ricorda ì
paramenti sacri durante la
quaresima, e in quel periodo in
passato non si poteva lavorare
in teatro. Invece in Spagna il
colore che non porta bene è il
giallo, perché è il colore della
parte interna del capote ed è
l'ultimo che vede il torero nel
caso il toro lo interni. Sono anche cose divertenti da scoprire
per chi va a teatro.
D. Lei ha un suo rito?
R. Non guardo mai lo spettacolo dopo la prova generale,
lo lascio al suo destino. L'ho
imparato da Luca Ronconi.
Certo, li sorveglio se vanno in
altri teatri ma preferisco non
vederli.
D. Le nuove tecnologie
hanno cambiato il suo lavoro?
R. Oggi è più facile lavorare: prima se avevi un lavoro
in Giappone ti facevi 13 ore di
olo solo per vedere una cosa.
Oggi si fanno le riunioni online. Certo ci spostiamo, però
iu maniera diversa. Anche la
conservazione dei lavori è diventata molto più semplice.
Oggi ho un archivio dal quale
in poco tempo riesco a sapere
esattamente come sono stati
costruiti i singoli spettacoli.
Per il resto, in Italia c'è una
grande tradizione del costruire e questo non è cambiato.
D. Lei però entrata anche
nel Guinness dei primati
grazie al muro di schermi
più grande del mondo in
una mostra alla Triennale
di Milano.
R. Mi piace molto lavorare
mischiando il nuovo e vecchio.
In quel caso era per i 20 anni
di Striscia la notizia, abbiamo usato oltre 4; mila monitor
per rappresentare le puntate
andate in onda fino a quel
momento.
D. Com'è il periodo della
pandemia per voi che fate
teatro?
R. Avevamo abbastanza
lavori da concludere, lavorando molto con l'estero. Però ci
manca il palcoscenico.
L'ansia di quando mancano cinque giorni al
debutto. Per gli studenti e penalizzante perché
non riescono a stare tra
di loro, non c'è la crescita che deriva dal poter
stare fianco a fianco con
gli altri.
D. Ha scelto l'opera
perché è una passione o si sarebbe occupata anche d'altro?
R. Sono nata in una famiglia dove la musica è sempre
stata molto amata. Io sono
stonatissima, nessuno è mai
riuscito a farmi migliorare,
però se devo compare un biglietto lo compro perla musica. Faccio con grande impegno
anche la prosa, ma mi sento
più in vacanza quando lavoro
al teatro d'opera.