Grandi bambini «dagli occhi profondi» e «in eterno soli»: questo siamo per il diciottenne Loris, alias Hugo von Hofmannsthal (1874-1929). «Eppure dice assai chi dice "sera",/ parola da cui gronda profondità e tristezza,/ come dai favi vuoti un greve miele» (Ballata della vita esteriore). L'intellettuale della Vienna fin de siècle si sente «precocemente maturo e delicato e triste»; Loris (pseudonimo con cui Hofmannsthal firmava poesie e recensioni poiché allora a uno studente di liceo era vietato pubblicare) fu precocemente maturo a tal punto che Hermann Bahr — il critico letterario allora più autorevale, il quale nel 1892 scrisse che Loris apriva «il secondo periodo della modernità» — era convinto che lo sconosciuto poeta fosse un uomo «tra i quaranta e i cinquanta, nella piena maturità dello spirito».
E tuttavia per Loris raggiungere la sera della vita, della quale a diciotto anni aveva saputo intuire ed esprimere così magistralmente il significato, conquistare cioè una vita normale senza deludere le folgoranti promesse letterarie giovanili, poteva ben rivelarsi un'impresa impossibile. La sua vocazione era maturata in solitudine, si era nutrita di letture e devozione al passato (la propria infanzia, L'Austria Felix di Maria Teresa), non di esperienze concrete. La maturazione letteraria era già perfetta, ma non era affatto certo (anzi!) che ne seguisse una compiuta maturazione umana. Loris ne era pienamente consapevole; ed era al tempo stesso fermamente convinto — ben lontano perciò dal cliché dell'esteta che vive solo per la sua arte — che il poeta non ha il diritto di sacrificare la vita alla letteratura.
L’ enfant prodige volle essere uomo e ci riuscì. Si sposò presto (1901), ebbe tre figli, si affermò come saggista, drammaturgo e come il principale punto di riferimento culturale nell'Austria del nuovo secolo, fondò il Festival di Salisburgo, mise il proprio talento di librettista al servizio del compositore Richard Strauss. Seppe diventare una figura umana e culturale a tutto tondo, anche se lo pagò a caro prezzo: la sua vena lirica precocemente inaridì. Ma negli anni cruciali tra 1892 e 1895- gli anni in cui scrisse i suoi capolavori, le liriche e i drammi brevi, da La morte di Tiziano a Il folle e la morte utilizzò il dialogo con un amico lontano per vedere più chiaro in se stesso.
Il diciottenne Hofmannsthal conobbe Edgar Karg von Bebenburg nell'agosto 1892, appena concluso il liceo, durante una vacanza su un lago. Terminata l'Accademia militare a Fiume, Edgar, figlio di ufficiali di carriera, stava per compiere vent'anni e per imbarcarsi, sulla corvetta «Saida», per un lungo viaggio che l'avrebbe portato in Asia orientale e in Australia. Il carteggio tra i due nuovi amici si apre con la lettera scritta da Hugo il 6 settembre 1892 dal Giura francese, dove sta continuando le vacanze, e si chiude con quella in cui, nel 1905, prega l’amico di rispedirgli per qualche giorno le lettere dei primi quattro anni, perché possa pubblicarle «in un libro in pochi esemplari e senza alcuna pretesa, più che altro un simbolo di una certa generazione»: conterrà «tutto ciò che ho fatto nella mia prima giovinezza, dal sedicesimo al ventesimo anno». Quel libro non sarà mai pubblicato, ma la richiesta dimostra quanto Hugo considerasse importanti quelle lettere. Edgar aderì all’invito, e morì un mese dopo di tubercolosi. Le loro lettere dal 1892 al 1895, intitolate Le parole non sono di questo mondo, vengono ora pubblicate dall’editore Quodlibet (via Matteo Ricci 108, 62100 Macerata) splendidamente tradotte e annotate da Marco Rispoli.
Lo scambio epistolare tra il giovane ufficiale e il giovane intellettuale, maestro non solo culturale ma anche morale («Penso che diecimila ore difficili non possono disfare ciò che viene intessuto in un’ora felice») svela, con una misura e una delicatezza d'animo che escludono qualunque effusione, un'amicizia virile di grande intensità. Al centro del dialogo c'è il grande compito della maturazione, che entrambi sentono impegnativo e rischioso: il difficile passaggio dalle promesse indistinte della giovinezza alla piena responsabilità dell'adulto, nel quale il guardiamarina è condotto per mano ma anche soffocato dall'istituzione militare, il poeta può seguire soltanto la guida sicura della propria mente.
Sono lettere straordinarie, in cui Hofmannsthal parla con totale libertà della vita e dell'arte («l'essenza dell'arte è l'immediatezza, la capacità di guardare l'esistenza senza timore, senza pigrizia e senza menzogna») a un animo partecipe e avido di apprendere. Il titolo italiano viene dalla stupenda lettera del 18 giugno 1895, in cui, traducendo in prosa la visione espressa nella Ballata della vita esteriore, Hugo scrive che «la gran parte degli uomini non vivono nella vita, ma in una pura apparenza dove nulla è e tutto soltanto significa». La vita «non si lascia riprodurre per mezzo delle parole, ma parla alle nostre anime». «Le parole non sono di questo mondo, sono un mondo a sé del tutto indipendente, come il mondo dei suoni» «Perciò vedi, io penso questo: non vi è nulla di scritto a cui si possa credere. Tutti i grandi libri...sono simili mondi di sogno». Siamo già alla Lettera di Lord Chandos all’umanista Bacone (1901), il celebre scritto di Hofmannsthal sulla perdita di senso delle parole.