Bari capovolta, «cupa sott'» direbbero i suoi abitanti, improvvisamente
ribaltata dallo scrittore
Julio Cortázar, per gioco, fino a
farla sembrare una città non italiana, come dice nel suo libro
Componibile 62, recentemente
ripubblicato. Bari non è una città italiana è il titolo scelto da
Luciana Galli, dopo essersi imbattuta casualmente nel testo
dell'autore franco-argentino,
per il volume che raccoglie cinquant'anni di scatti sulla città.
Non poteva essere più calzante
in un percorso che per entrambi
prevede inversioni di prospettive e separazioni da stereotipi e
consuetudini. Staccando lo
sguardo assuefatto per stendere
sugli spazi di sempre, come fa la
fotografa barese, solo occhi vergini di straniera.
Quale Bari ha inserito nel
volume, considerando che la
fotografa dal 1970?
«Molte cose che non esistono
più, edifici di archeologia industriale come il Macello comunale, l'ex Fibronit, l'ex Caserma
Rossani o l'ex Manifattura Tabacchi. Tutti questi "ex" dimostrano che Bari è una città che si
muove, che ha degli inciampi
ma che poi si rinnova. Lo scrive
Giorgio Vasta, nel suo testo. Io e
Roberto Lacarbonara, curatore
della pubblicazione, abbiamo
scelto lo scrittore e scenografo
palermitano, di recente impegnato sul set de Le sorelle Macaluso di Emma Dante, per garantirci che, non conoscendo Bari,
potesse immaginarla solo attraverso le mie fotografie. C'è tanto
mare, ridotto a un campo di colore, un sotto che rivaleggia con
un sopra, il cielo, quasi omologo, e anche molta arte contemporanea con Sol Lewitt e Kounellis».
Volendo stilare un bilando,
c'è più memoria o più presente?
«Ho cercato di bilanciare i
due ambiti, il passato non si può
eliminare e dimostra che ci sono state delle trasformazioni.
Quando lavoro su edifici storici
gioco su effetti di spaesamento.
Esempio: una foto del teatro Piccinni, durante il restauro, con
pareti di irregolari stuccature e
prove di colore, che sembra un
quadro astratto».
Cosa manca a questo suo
paesaggio urbano letto con
uno sguardo depurato da
ogni scontata condivisione
identitaria?
«Mancano degli scatti di alcuni importanti edifici della città
di cui non ho ottenuto, e me ne
rammarico, le liberatorie necessarie per la pubblicazione. Di
contro, sebbene il lavoro sia stato difficoltoso, sono molto soddisfatta di fotografie storiche come quella del soprano Raina Kabaivanska che canta nel foyer
bruciato del teatro Petruzzelli. O
ancora di includere una Bari scenografica che diventa fondale
per la pubblicità e per le vetrine
con atmosfere molto europee».
Come sono impaginate le
immagini nel testo?
«Roberto Lacarbonara, curatore del volume, mi ha aiutato a
comporre gli accoppiamenti tra
le immagini, una per pagina,
non secondo una cronologia ma
privilegiando collegamenti nati
esclusivamente da analogie formali, da rimandi cromatici, da
aderenze tra soggetti, da relazioni tra materiali. Come il cane
lupo su una t-shirt che è in dialogo con gli omini neri rampanti di Sam3, nel murale della Rossani: hanno gli stessi colori e
fanno entrambe paura».
Quanto ha concesso alle
classiche icone della baresità?
«Qualche foto di pellegrini
che entrano nella basilica di San
Nicola ma compaiono ritagliati
tra le zampe dei tori a guardia
dei portali. C'è anche lo stadio
deserto, rappresentato solo da
uno dei suoi spicchi con un gatto nero in primo piano che, forse, spiega perché il Bari è ancora
in serie C».