Nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale il Partito comunista italiano imponeva a quanti frequentavano le scuole di partito di scrivere un'autobiografia. Versione elaborata e guidata di una narrazione che più spesso veniva fatta in forma orale e discussa pubblicamente, l'autobiografia serviva al tempo stesso a raccogliere informazioni e a educare i militanti in un percorso dì presa di coscienza e autocorrezione che condivideva alcuni aspetti con le confessioni che secoli prima i membri della Compagnia di Gesù dovevano rendere periodicamente ai vertici dell'ordine. Sulla base di un fondo straordinario composto da più di milleduecento autobiografie scritte tra il 1945 e il 1956, oggi conservato presso l'archivio dell'Istituto Gramsci di Bologna, Mauro Boarelli ripubblica con una nuova introduzione questo libro appassionante, in cui ricostruisce le ragioni storiche che portarono Togliatti a imporre questo esercizio ai militanti, le motivazioni sociali e individuali che spingevano gli autori a raccontarsi, ma anche le conseguenze che la lettura di questi testi personali e politici avevano sulle relazioni interne al partito. Valorizzando al meglio la fonte che studia, Boarelli fa capire quali modelli testuali e letterari influivano sulla redazione di questi racconti di sé che, pur inquadrati da una griglia rigidissima, non impedivano scarti e allontanamenti dalla norma.