Strategica per studiosi e
poeti, la ricostruzione
dei valori che segnano il
passaggio delle poetiche e degli intenti di
scrittori compresi tra il
Romanticismo e la contemporaneità venne affidata da Wystan Hugh Auden a
uno dei suoi scritti chiave, Gl'irati flutti o l'iconografia romantica del
mare (per l'attenta cura di Gilberto Sacerdoti, Quodlibet, pp. 156,
€14, 50, già Arsenale, 1987 e Fazi,
1995). Il cosiddetto poet-builder
o poet-citizen si fa metafora di una
lotta impari: sanare una frattura
storica, uno squilibrio estetico
che, come osservò a suo tempo
Francesco Binni nel suo Saggio
su Auden (Mursia, 1967) si prospettava spontaneamente al poeta quale frattura della contemporaneità, rivelandosi come una
«scissione di quei poteri intellettuali e immaginativi che consentono la poesia».
Costituito dalle tre conferenze
tenute presso l'Università della
Virginia, nel 1949, il libro esplora
la natura del Romanticismo attraverso la trattazione del mare,
chiamando in causa subito anche
il deserto. Auden parte da un sogno contenuto nel Preludio (Libro
V) di William Wordsworth, in cui
si immagina l'incontro con una figura che sembra palesarsi quale
mistura di un Arabo del Deserto e
Don Chisciotte, con una pietra in
una mano, e una conchiglia
nell'altra. Da questo frammento,
citato per esteso dalla versione
del Preludio del 1805, Auden fa derivare tre coppie di simboli, che
guideranno la strategia costruttiva dell'intero libro: il mare e il deserto; la pietra della geometria
astratta e la conchiglia dell'immaginazione; l'eroe dotato (o scisso?) in una doppia natura: Ismaele e Don Chisciotte. La conclusione, che allarga gli studi già fatti
confluire da Auden in The Oxford
Book of Light Verse, ci indica le debolezze della prospettiva a-sociale
romantica quando messa a confronto con la figura del poet-builder, capace di risanare le devastate «mura della città».
Tanti eroici viaggi romantici
sono compresi in questo piccolo
libro che, come annota Sacerdoti,
è anche «il giornale di bordo di un
viaggio, di una quest, che ha dato
alla poesia inglese una voce infinitamente preziosa, di cui di volta
involta riconosciamo alcune delle tappe: daNew Year Letter aPaysage moralisé, da For the Time Being a
Melville, da Atlantis a City Without
Walls, a The Sea and the Mirror...».
Cruciali, in tutta l'opera di Auden, i dualismi di Arte e Vita, Individuo e Società, Poeta e Città, Città del Male e Città Giusta, Libertà e Legge che evidenziano la natura del disorientamento tuttoumano a fronte di una realtà senza ragione, un'arte senza contenuti,
gli entusiasmi per la vita quando
questa è senza significato.
Seamus Heaney, inun saggio titolato Il governo della lingua (Fazi,
1998) osserva come Auden sia abilis simo nel costruire «una parabola risolutiva sul dualismo, assegnando alla bellezza-magia la parte di Ariel e alla verità-significato
quella di Prospero nella Tempesta
di Shakespeare, e affermando
che ogni poesia, anzi ogni poeta,
incarna un dialogo tra i due». Le
angosce di Auden sono di una importanza disarmante anche per
leggere la nostra contemporaneità, e la sua accuratezza mette in
moto uno scandaglio per pescare
in tempi di trionfo della superficialità: già lo notava Carlo Izzo
quando, introducendo il primo
volume di Auden pubblicato in
Italia (Guanda, 1952), notava come già da giovane il poeta fosse
lacerato tra il desiderio di rifugiarsi «ululando nella sua arte»
come in un fortilizio, e la coscienza della missione intrinseca a
quella stessa arte.
«I dilemmi, le posizioni alterne, quando non addirittura in
contrasto fra loro, del nostro tempo, costituiscono i temi, profondamente indagati e sofferti, di
W.H. Auden — scriveva Izzo. Diviso, il nostro tempo, tra conquiste
del pensiero e della scienza, innegabili, e una dolorosa nostalgia di
spiritualità; diviso, W.H. Auden,
tra un intelletto spietatamente
critico, e la consapevole esigenza
d'un mondo meno ammorbato di
torti e sfiducie e terrori».
Già anni addietro, Sacerdoti
aveva lavorato a questo libro valendosi, a tratti, della «complicità» di intellettuali ormai scomparsi, Cesare Pavese (per le parti su
Moby Dick); Mario Luzi (per La ballata del vecchio marinaio); Luigi De
Nardis (per gli estratti dai Fiori del
male); Luciana Frezza (per le Poesie
di Mallarmé); e Ivos Margoni (per
le Opere di Rimbaud).
Libro nel libro, queste prove
traduttive a più mani non soltanto guidano la traccia dei possibili
«compagni» diAuden nel suo viaggio tra i flutti, ma offrono in più la
rilettura di mirabili versioni italiane di grandi classici della poesia. Il mare che invade tutto il libro va ricondotto alla indistinzione delle origini, alla «vaghezza
barbarica e al disordine» da cui è
emersa la civiltà, a qualcosa di informe che sta molto vicino a quel
«flusso primordiale e indifferenziato» in cui è sempre possibile
cadere. E l'iconologia — avverte
ancora Sacerdoti — «si pone anche abbastanza esplicitamente
quale «medico-guaritore», evidentemente temendo, che «la
grande malattia dell'orrore del
domicilio» — dice l'epigrafe al libro, presa da Baudelaire, «possa
continuare a mietere vittime».