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Grazie a Federico di Vita, curatore
del volume collettivo La scommessa
psichedelica (Quodlibet), riesco a contattare uno psichiatra, Piero Cipriano,
che lavora al San Filippo Neri di Roma.
Basagliano, da anni critica l'uso esagerato degli psicofarmaci nelle cure
dei disturbi mentali. «Mancava però
la proposta» dice. Perciò ha intrapreso
una ricerca nel campo dell'etnopsichiatria e ha approfondito l'uso delle
proprietà curative delle sostanze psichedeliche naturali in varie culture
del mondo. I risultati li pubblicherà in
un saggio a cui sta lavorando: ha dentro una tesi suggestiva, secondo la
quale negli anniCinquanta-Sessanta
si scontrarono due gruppi di sostanze
diverse, gli antipsicotici che rallentano e contraggono l'attività cerebrale
e gli psichedelici che invece espandono e moltiplicano le connessioni neuronali. «Vinsero le prime», dice, «ma
oggi la partita si è riaperta».
In Italia, in realtà, non ancora: gli
studi sono bloccati da decenni e Carlo
Rovelli ancora non se ne capacita. «Mi
auguro che siano riconsiderati divieti
insensati», dice. «Il blocco delle ricerche scientifiche nacque da un momento di panico negli anni Settanta, ed è
ovviamente irrazionale. Sono gli
struzzi che quando hanno paura di
qualcosa preferiscono nascondere la
testa nella sabbia e non guardare. Non
è evitando di studiare qualcosa che ci
difendiamo da eventuali pericoli». È innanzitutto una
volontà di sapere. Sulla quale
neanche Foucault, probabilmente, avrebbe avuto nulla
da ridire