Recensioni / Psichedelia. Un nuovo rinascimento?

Molto azzeccato il titolo della raccolta di saggi pubblicato da Quodlibet, a cura di Federico di Vita: La scommessa psichedelica, rispetto al voluminoso How to Change Your Mind di Michael Pollan (tradotto da Isabella C. Blum: Come cambiare la tua mente, per Adelphi, Milano 2019), o all’altrettanto corposo Entangled Life. How Fungi make our worlds, change our minds and shape our futures di Merlin Sheldrake (tradotto da Anita Taroni e Stefano Travagli: L’Ordine nascosto – La vita segreta dei funghi, per Marsilio, Venezia 2020), in quanto, più che d’una cervellotica modificazione neuronale (funzione del Sistema Nervoso Centrale), o dello scoperchiamento d’una dimensione microscopica (regno dei miceti), si tratterebbe proprio dell’ampliamento della “coscienza”, inteso quale avventurosa facoltà dello spirito in un vissuto, per molti versi, simile al processo delle iniziazioni mistiche, come descritto dallo psichiatra ceco Stanislav Grof, fondatore, con altri, della psicologia transpersonale.
Il nome psichedelico scaturì dallo scambio epistolare tra il filosofo britannico Aldous L. Huxley, autore dei romanzi di fantascienza Il mondo nuovo (Brave New World, 1932) e L'isola (Island,1962), nonché del celeberrimo saggio Le porte della percezione (The Doors of Perception, 1954), e il suo psicoterapeuta Humphry F. Osmond. Nel 1956, lo scrittore, volendo ridefinire le molecole in grado di procuragli “l’esperienza più straordinaria e significativa che gli esseri umani possano fare al di qua della visione beatifica”, rivolse al suo mentore all’uso della mescalina il distico: “A far questo mondo terreno sublime/ basta mezzo grammo di fanerotìme”, nel senso che questo minimo dosaggio di alcaloide del peyote (Lophophora williamsii) davvero manifesterebbe (φανερός) l’animo umano (ϑυμός). Il teorico della distorsione percettiva, quale eziologia della malattia schizofrenica, gli rispose, - è il caso di sottolinearlo-, proprio per le rime: “Precipitare all’inferno o librarti angelico/ ti servirà un pizzico di psichedelico”, dal significato piuttosto “moderato”, se vogliamo, di disvelatore (δῆλος) dell’intimità dell’anima (ψυχή), senza però considerare il dosaggio, invece, intenso richiesto giusto a questo scopo, distinto da quello, modesto e ripetuto, dell’approccio cosiddetto psicolitico, secondo il neologismo di Ronald A. Sandison (1916-2010), allusivo di una vera “scissione” (λυθικός). Psicodislettico, in contrapposizione a psicoanalettico, è sinonimo di psicotizzante, psicostimolante, psicotomimetico; vuol dire cioè induttore d’uno stato morboso avente caratteri simili alle alterazioni di umore, ideazione e percezioni, tipo effetto viraggio di polarità, delirante, allucinogeno. Quest’ultimo termine, reso popolare dalle esperienze di Aldous Huxley con la mescalina, venne ritenuto inappropriato, in alcuni ambienti culturali, a causa della sua relazione etimologica con il linguaggio medico psichiatrico. Come anche “psichedelico” venne avvertito piuttosto problematico, per via dell’assonanza con la voce “psicosi”, e poi pure perché irreversibilmente contestualizzato alle varie connotazioni della cultura pop degli anni '60.

Entactogeno
Empatogeno, favorente empatia, ed entactogeno (dal greco ἔν, dentro, dal latino tactus, tatto, e di nuovo dal greco γενέσθαι; insomma, una chimera etimologica!), ovverossia «generatore di contatto interiore», furono coniati, il primo nel 1983 da Ralph Metzner (coautore, con Timothy Leary e Richard Alpert, di The Psychedelic Experience, 1963) e dal farmacologo David E. Nichols, il secondo, successivamente, solo da quest’ultimo chimico statunitense, per via della connotazione negativa attribuibile alla radice greca πάθος (páthos, sofferenza) e all’associazione plausibile con il termine “patogenesi”; entrambi, comunque, fanno riferimento all’aumento dei sentimenti di amore e comunione verso il prossimo, e inoltre di socialità, apertura emotiva e stimolazione sensoriale, con riduzione però della capacità di giudizio e aumento della disinibizione, solitamente indotti da fenilalchilamine o fenetilammine.
Per ricondurre alla sfera spirituale le sostanze a quella sottratte con finalità ricreative, un gruppo di etnobotanici e studiosi di religioni comparate (innanzitutto, Carl A. P. Ruck e R. Gordon Wasson, coautori, con il padre dell’LSD, Albert Hofmann, e con Blaise D. Staples, di The Road to Eleusis: Unveiling the Secret of the Mysteries, 1978, e poi Richard E. Schultes, che, sempre in collaborazione con Hofmann, l’anno successivo ha scritto The Plants of the Gods: Their Sacred, Healing, and Allucinogenic Powers, nonché Jonathan Ott e Jeremy Bigwood, i quali, con Joe E. Axton, avevano preparato, già nel 1975, A Conscientious Guide to Hallucinogens), crearono la voce enteogeno (da ἔνθεος e γενέσθαι, "avente Dio al suo interno", giusto per ribadire qualcosa di "divinamente ispirato" ed “entusiastico”), da attribuire soprattutto a particolari funghi, come Amanita muscaria e pantherina (contenenti muscimolo e acido ibotenico), Psilocybe Cubensis, o mexicana, e Panaeolus cyanescens, o "hawaiano" (i cui principi attivi sono psilocibina e psilocina).
I nativi americani stanziati sulle montagne nei pressi di Oaxaca, i Mazatechi, per fini ritualistici, spirituali, o terapeutici, impiegano anche i semi psicoattivi delle “belle di giorno” (come ipomoea violacea e rivea corymbosa, contenenti ergina) e della salvia divinorum (salvinorina A); quest’ultima in particolare, per gli sciamani, impersona una divinità femminile, individuata poi, con l'arrivo dei Conquistadores spagnoli, nella Vergine Maria, da cui il nome Maria Pastora, entità guida d’un culto sincretico, in seno al quale viene utilizzata come oracolo. Il cactus allucinogeno peyote, durante speciali feste sacre, viene consumato dai Wixarika o Huichol della Sierra Madre Occidentale, come da alcuni stregoni dei Rarámuri, o Tarahumara, del Chihuahua (Messico), per rafforzare le connessioni ultramondane individuali con l’intero universo.
In L’Ordine nascosto – La vita segreta dei funghi, Sheldrake ricorda come i micorrizici siano specie i cui miceli si impigliano con le radici delle piante, penetrandole quasi. È così che si verifica quello scambio simbiotico, in cui grazie alla fotosintesi aerea la pianta nutre di carbonio il micelio, ricevendone in cambio azoto, fosforo e altri nutrienti terricoli. Spesso, le descrizioni di questa intima relazione sfiorano il comune linguaggio delle convenzioni sociali. Poiché, in effetti, informazioni chimiche vengono incanalate dall'aria e dirette ai funghi, i cui miceli restituiscono simili segnali dal sottosuolo all’impianto vegetale. Nei boschi questa rete coinvolgente numerose specie può essere così estesa e densa da consentire agli alberi di rilevare quanto accade l'uno all'altro, anche a lunghe distanze. E sono in molti a sentirsi talmente suggestionati per tale intrico da definirlo con linguaggio contemporaneo: "Wood Wide Web".

Controcultura
I numerosi neologismi man mano proposti in quegli anni rendono conto delle capacità stimolanti, pure in senso linguistico, di tali sostanze, a cominciare dalla tradizionale canapa (Cannabis sativa) assunta per via orale. Anche se poi, a metà del secolo scorso, a prender piede in modo generico è stata una fortunata psichedelia, per la capacità d’espandere la coscienza, ovvero di causare amplificazioni e alterazioni sensoriali, in modo tale da investire con incredibile irruenza tutto lo scenario culturale degli anni ’60, coinvolgendo l’arte visiva, la musica, la moda, la letteratura, i fumetti, ecc.
Nella maggior parte dei casi, per riferirsi ai movimenti di contestazione giovanile, scatenatisi in quegli anni nei confronti del paradigma dominante nella società (mainstream), molti socio-antropologi fecero ricorso al termine controcultura, anche quale tentativo d’analisi critica della mentalità “borghese” e d’un suo eventuale superamento, con più o meno netto rifiuto della visione del mondo e dello stile di vita comunemente condiviso dalla cosiddetta middle class. Tanti di quei tipici modi espressivi sono invece, soprattutto gergalmente, sfociati in mera subcultura, o di fatto sono stati riassorbiti, e addomesticati, nel più vasto ambito della società contemporanea, rientrando anche a giusto titolo nella banale storicizzazione dei costumi.

Il “problema della droga”
Decenni di politiche proibizioniste hanno però favorito la diffusione di droghe ben più redditizie, quanto proporzionalmente pericolose per la salute psicofisica dei tossicodipendenti, come pure degli sporadici assuntori, proprio a causa della monopolizzazione distributiva (prevalentemente di eroina, cocaina, anfetamine, metacrilato, ecstasy, GHB, ecc.) lasciata colpevolmente in mano ai vari cartelli criminali di narcotrafficanti internazionali, a partire dalle mafie nostrane – che, a seconda della sostanza, prediligono il “corridoio” balcanico, o africano, dell’eroina dell’Afghanistan; portuale e aeroportuale per la cocaina, proveniente dal Sud America; e, per droghe sintetiche e marijuana (derivata dalle infiorescenze femminili), o hashish (ricavato dalla resina della canapa), laboratori clandestini fiamminghi e coltivazioni indoor e homemade.
In passato, si è commesso il gravissimo errore di lasciare soli i giovani con questi manipolatori della chimica del profitto; le persone inesperte non dovrebbero essere scaraventate nel baratro psicofarmacologico senza guide disinteressate in grado di accudirli alla bisogna. È stato questo il peccato originale del “problema della droga”. Quanti, per un dato meramente anagrafico, hanno avuto meno tempo per strutturare quei modelli cognitivi che le sostanze psichedeliche temporaneamente ribaltano, sono coloro che ovviamente rischiano i maggiori pericoli. Quando però questa costruzione mentale è ben solida, l’influenza operativa su divagazioni e deragliamenti risulta più gestibile, specie se si è affiancati da idonei supporti. E pure il traguardo che si vuole raggiungere potrebbe essere molto meno pretenzioso d’un’utopica comunione con la “coscienza cosmica”, accontentandosi magari, a una certa età, d’un riconosciuto effetto curativo, o quanto meno blandamente lenitivo, oppure dell’incontro con un’ulteriore opportunità di rinnovamento interiore, chiarimento di idee, spostamento di prospettiva e di mentalità.
Che le “droghe” (plurale necessario, onde sottolinearne l’ambigua complessità), in genere, facciano sempre impazzire in maniera irrimediabile, probabilmente, sembra essere stato una specie di ottuso fraintendimento. Il più grande malinteso è che spesso, nel rivelare bruscamente certe “verità nascoste”, slatentizzano o accelerano processi che altrimenti seguirebbero andamenti un po’ meno repentini. D’altro canto, le persone mentalmente sane sanno di esserlo proprio nel momento in cui ricevono conferma della loro facoltà di superare determinate prove, anche psicofarmacologiche.

Mistica o utopia?
Nell’ormai lunga storia delle “droghe” (dall’antico scandinavo drangr, legno arido, poi in olandese droog, pianta secca, anche se già nel gaelico irlandese droch aveva assunto la valenza negativa di cosa “cattiva”, almeno al gusto), sembra si possano genericamente individuare due principali polarità, quella farmaceutica e mistica, ma anche aristocratica, come la definisce Andrea Betti nel suo saggio “Perché un rinascimento non si faccia restaurazione” (in La Scommessa psichedelica), rappresentata dall’asse autoriale Hofmann-Osmond-Huxley, assertori dell’esperienza astratta, comunque controllata, o meramente estetica, in ogni caso elitaria, e quell’altra disordinatamente rivoluzionaria, e utopica, di Antonin Artaud, Allen Ginsberg, Timothy F. Leary, fautori d’una trasformazione sociale in grado di modificare l’evoluzione e l’essenza stessa dell’umanità. La differenza, allora, consisterebbe, in buona sostanza, nel coraggio dei secondi a rendersi disponibili in prima persona, permettendo all’esperienza per eccellenza di entrare a far parte integrante della loro vita, e ciò sino alle estreme conseguenze.

“Concavi” e “convessi”
Anche in base alle considerazioni palesate da Gregorio Magini (Pseudoglossario), a essere differente sarebbe la mentalità degli psiconauti ("Psychonauten", da ναύτης navigatore, termine introdotto da Ernst Jünger in Annäherungen. Drogen und Rausch, 1970), distinguibili, volendo, in “concavi” e “convessi”, in quanto gli stati alterati di coscienza prevedono sempre una sorta di revolving door, che permette la fuoriuscita della realtà quotidiana (quella dei “sobri”) per consentire l’entrata in un’altra condizione, frutto di varie modalità di deformazione, scomposizione e assemblaggio, proprie della particolare sostanza assunta (e della conseguente “illusione” psichedelica). Il concavo trova equipollenti i due piani e di tutta la sua esperienza tende a estrarre prevalentemente l’aspetto sottrattivo (pars destruens), con conseguenti dubbi, perdita di certezze, aperture ad alternative, sì ma per lo più indefinite. Terence K. McKenna, autore, con Rupert Sheldrake and Ralph H. Abraham, di Chaos, Creativity, and Cosmic Consciousness (2001), avrebbe sintetizzato questa impressione con l’asserire: “Il fungo mi ha detto che nessuno capisce un ‘tubo’ di quello che sta succedendo”. Il convesso ottiene invece l’accesso a una dimensione più profonda, la cui stranezza potrebbe essere addirittura maggiormente ineffabile e rappresentativa della verità consueta o attesa. In ogni caso potranno sempre esserci pure dei concavi credenti nel Daodejing taoista e dei convessi agnostici o nichilisti nietzschiani come Peter Sjöstedt-H, la cui filosofia fenomenologica è espressa in Noumenautics: metaphysics - meta-ethics – psychedelics (2015). È stretto l’intrigante rapporto tra approcci spiritualisti, sostenitori dell’irriducibilità della coscienza alla materia, e tecno-positivisti, fiduciosi nel progresso della scienza promotrice di civiltà!

Oppio religione dei popoli

Da un lato, se è l’oppio la religione dei popoli, secondo la parafrasi di "Die Religion ... ist das Opium des Volkes", questo credo nel funzionamento della chimica lascia immutato il mistero della fede nella coscienza, che continuiamo a definire colloquialmente, e ridefinire in termini filosofici, senza mai saper bene cosa sia veramente. D’altro canto, se la psichedelia persegue un’aspirazione buddhista alla morte dell’Ego, può sorgere l’equivoco linguistico d’un mito tecno-spirituale sprovvisto d’una semantica adeguata a tale narrazione.
E se fosse proprio il desiderio di sopprimerlo, questo Ego, a tenerlo in vita? Nel tentativo di fondere Atman e Brahman, micro e macrocosmo, oppure nel miscelare libido a impulso magmatico, Śakti induista all’einsteiniano quadrato della costante velocità della luce nel vuoto (E = mc²), potremmo convenire che giusto questa energia, e indispensabile misura del mutamento, si riveli solo come l’ultimo fremito a precedere di poco il collasso definitivo?

La questione spirituale e il problema della coscienza

Insomma, gli psichedelici possono risolversi in delusioni, prevalentemente, per i concavi, o riservare sorprese, persino rispetto alle più rosee aspettative. I tentennanti si bloccheranno dinanzi all’ingresso al nuovo credo, altri psiconauti potranno scambiare per pura fede la ricerca d’una promessa preliminare non debitamente chiarita nei suoi presupposti. Un’etica pseudo-terapeutica, alla Rajneesh, enuncia: “Se cambi te stesso hai già iniziato a cambiare il mondo.”, senza spiegare “cosa” o “chi” possa essere il soggetto a determinare la sostanziale modifica dell’individuo e dell’universo, o dove si situi la connessione tra le due entità così distanti e difformi; il che equivarrebbe a coniugare psicologia a metafisica, riconducendo ancora una volta la questione spirituale al problema della coscienza (e quale, la cosmica o del singolo?). E tale problema di coscienza potrebbe corrispondere alla “percezione dell’apparenza” (Aspektwahrnehmung) di Ludwig Wittgenstein, esemplificata dall’immagine del coniglio/anatra, oppure venire reso quale metafora di illuminazione di superfici che riflettono la luce, bizzarria di scariche neuronali che “causano” l’esperienza, e/o “sono” l’esperienza stessa, ovvero si correlano alla maniera del tuono e del lampo?
“E cielo e terra si mostrò qual era:/ la terra ansante, livida, in sussulto;/ il cielo ingombro, tragico, disfatto:/ bianca bianca nel tacito tumulto/ una casa apparì sparì d'un tratto;/ come un occhio, che, largo, esterrefatto, / s'aprì si chiuse, nella notte nera.” (Pascoli).

Stupefacente trascendenza

Quello che il rinnovato interesse scientifico verso gli studi del settore ci ha insegnato circa gli effetti degli psichedelici su dipendenza, depressione, coscienza, morte e trascendenza, sono adesso sufficienti a giustificare aggettivi come sorprendente e avvincente, o ancora meglio, e più in linea con il contesto, “stupefacente”, ovvero addirittura il dubbio che “perdere (indistintamente) la testa” possa apparire una nuova e rivoluzionaria modalità psicoterapeutica?
“Love is everything … A platitude is precisely what is left of a truth after it has been drained of all emotion. To desaturate that dried husk with feeling is to see it again for what it is: the loveliest and most deeply rooted of truths, hidden in plain sight.” - conclude Pollan, in Come cambiare la tua mente, riconducendo tutto a una superiore, ma intensamente intima, penetrazione intuitiva: “L'amore è tutto ... Una banalità è precisamente ciò che resta d’una verità dopo che è stata prosciugata di tutte le emozioni. Desaturare quella buccia secca con il sentimento significa vederla di nuovo per quello che è: la verità più bella e più profondamente radicata, nascosta in bella vista.”.
Forse che certe spiegazioni, materialiste, o all’opposto spiritualiste, restino le uniche strade, binarie, percorribili per giungere alla comprensione della vita stessa; soprattutto, se i maggiormente eclatanti benefici terapeutici degli psichedelici si riesce a riscontrarli nei morenti, malati terminali o, quanto meno, gravi, paralizzati dal terrore esistenziale dell’imminenza della fine corporea, tanto da non poter essere, in astratto e altrettanto ambiguamente, separati di netto da quelle esperienze mistiche a cui contestualmente tali sostanze son solite dare origine?

Hic et nunc… et eternità

L’Ayahuasca hananeroca gli indigeni peruviani ashàninka la chiamano: “il rampicante del fiume celeste” (è anche il titolo del libro pubblicato da Spazio Interiore nel 2014), alludendo al bagno a cui si sottopongono le anime dei morti allo scopo d’una sperabile eternizzazione. Claudio Naranjo, altro celebre esponente della psicologia transpersonale, commenta questa definizione ammettendo che le culture sciamaniche hanno inteso più delle altre, apparentemente più avanzate, quanto, prima d’ogni altra cosa, la sinergia tra la liana rampicante Banisteriopsis caapi e le foglie dell'arbusto Psychotria viridis, o della Diplopterys cabrerana, riesca a insegnarci letteralmente a trascendere la vita.
E, a questo punto, la rilettura dei titoli di cui sopra (La Scommessa… l’Ordine nascosto… Come cambiare la Tua mente) potrebbe subire una riproposizione oltremodo chiarificatrice: c’è una posta in gioco su una realtà impalpabile, in grado di far cambiare idea su qualcosa di specifico e persino mentalità sul tema in questione e addirittura indurre una trasformazione di portata epocale!
Sono il nostro cervello, se percorriamo la via concreta delle neuroscienze, o il nostro spirito, se intraprendiamo la via a quella alternativa, a costituire i più grandi e veri misteri dell’esistenza terrena, ai quali dovremmo dedicare più attenzione, tempo ed energia, onde esplorarli possibilmente anche nelle loro evidenti interconnessioni. È più che plausibile difatti che qualcosa di materiale, chimicamente intesa, sia in grado d’ammorbidire delle rigide visioni sullo spirito, aprendo il varco a quella coscienza superiore, che oltrepassando le barriere mentali, conduca al superamento d’una tale bidimensionalità. E allora, la vera sfida sarebbe riuscire a modificare l’invisibile?

Medice, cura te ipsum! (Luca 4, 23)
Con molta probabilità di successo, e grazie anche alle moderne tecnologie di imaging, puntare sull’incremento e l’approfondimento della psicoterapia psichedelica applicata alla sofferenza mentale, - senza escludere le gravi forme di dipendenze da sostanze, disturbi post-traumatici, depressione, e angoscia, refrattari ai soliti trattamenti, - potrebbe accelerare la nostra comprensione del Sistema Nervoso Centrale e giungere a rivoluzionare il concetto medesimo di salute psichica.
Per esempio, il neuropsicofarmacologo inglese David J. Nutt, autore di Drugs Without the Hot Air: Minimising the Harms of Legal and Illegal Drugs (2012), sostiene come valide prove stiano rivelando la capacità degli psichedelici di disattivare quella "predefinita rete cerebrale", una sorta di scorciatoia inibitoria ed efficiente definita “Default Mode Network” (DMN , o sistema della condizione di automatica inclinazione), in modo tale da consentire al pensiero di liberarsi dall’abitudinario e alla mente di vagare alla scoperta di quanto v’è di più straordinario.
La moderna neuroscienza della coscienza potrebbe confermare come le droghe psichedeliche possano alterare gli algoritmi cerebrali e la metodicità del pensiero, mettendoli in moto e a regime per dare un senso al mondo che ci circonda. L’espansione della coscienza moltiplica le connessioni neuronali, apre a nuove esperienze, registra ulteriori informazioni sensoriali rispetto a quelle che di solito riesce ad assorbire. Poiché dobbiamo riconoscere come le nostre menti siano molto più ristrette di quanto pensiamo; come siano tantissime le cose che tuttora stiamo filtrando ed eliminando, oppure addirittura ignorando del tutto.
Ma, quando s’affrontano argomenti simili, le ricerche sul campo rischiano sempre di sfuggire all’obiettività, per trasformarsi in autoanalisi da effettuare in prima persona, poiché ciò che si deve imparare riguarda innanzitutto se stessi, la propria personalità e la natura del tutto soggettiva dell’esperienza spirituale. E ciò che si potrebbe esplorare include inevitabilmente regioni interiori di cui non si suppone neppure l’esistenza e alle quali probabilmente, a tutta prima, desidereremmo evitare di accedere, principalmente se privi d’una necessaria preparazione.

Quale realtà, quale verità?

Deviando dal sentiero del linguaggio logico e scivolando, come Alice, nella “tana del coniglio”, ci si ritrova in un mondo di assurdità, paradossi e nonsense, dove ogni incontro da impossibile diventa possibile, e viceversa. Attraversare la tana del coniglio di Lewis Carroll equivale a sprofondare nel mistero stesso della coscienza, nell'indivisibile unità tra persone e natura, e nella promozione di quella guarigione trasformazionale che sembra soltanto gli psichedelici possano elevare dal livello dell'Ego singolo sul piano d’una massiccia rivoluzione culturale, forse l’unica capace d’affrontare le più grandi questioni (dalla sopravvivenza ed ecologia alla convivenza ed economia) del nostro tempo così travagliato?
Si suole giocare sul modo di dire relativo alla chiusura di porte (della normale sensorialità, con conseguente “deprivazione”, studiata da John Lilly) a cui farebbe seguito l’apertura di portoni (The Doors of Perception di Aldous Huxley), semanticamente applicato pure all’intersezione tra proibizioni governative, ambiguità scientifiche e trasformazione della coscienza; e sembra “la solita storia del pastore...” del Lamento di Federico; la solita vecchia storia dell’invidia, della pace, dell’oblio nel sonno, d’una “fatale vision”, perché in fondo in fondo le sostanze psichedeliche aprono sì una porta, ma a una realtà diversa, e molto probabilmente si tratta pur sempre e solo della stessa vecchia porta, o della stessa vecchia realtà, vista però da una differente prospettiva.
Se svestiamo gli abiti del perbenismo e dello statu quo per indossare quelli dello psiconauta, devoto pellegrino o avventuriero mistico, ci accorgiamo che la chimica delle sostanze psichedeliche è in grado di cancellare temporaneamente le strutture stesse dell'Ego, procurandoci una repentina quanto profonda connessione spirituale con un universo che concepivamo dapprima come soltanto materiale. E a prendere il posto di tante traballanti ma radicate certezze ci sovviene l’esclusivo sconvolgimento dell’intuizione!
Dopo una lunga giacenza nel sarcofago del dimenticatoio, i composti che riescono a dare una vivida manifestazione alla purezza della mente, per come è in sé inafferrabile, sono tornati a scuotere le nostre dubbie consapevolezze e a farci rivedere tante pregiudiziali sulla realtà ultima e non, oltre che sulla poco lungimirante quotidianità del quieto vivere; su cosa significhi essere “umani”, e financo pure su cosa, a questo punto, significhi “essere”.
Coltivare una maggior quantità di alternative chimico-trasmettitoriali aiuterebbe la sistematica costruzione di “diversità neurali”, dimostrando come quella che riteniamo la "coscienza quotidiana della veglia" sia solamente uno dei tanti modi per muoversi nella concretezza, ma non certo il modo più appassionante. Un'esperienza più ampia e avvolgente della mente, comprendente dei collegamenti con l'intero universo, per quanto vincolata a un’eurìstica (da εὑρίσκω «trovare, scoprire») prettamente soggettiva, costituirebbe un interessante cortocircuito cognitivo in grado di aiutare a risolvere problematiche di difficilissimo superamento mediante le consuete e sterili formule di critica, giudizio e aderenza alla realtà.

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