Esistono due grandi famiglie di errori. Una è quella
che ci avvelena la
vita quotidiana.
Si tratta di errori
nostri o altrui. Soltanto con i
miei, riempierei questo articolo, ma anche su quelli altrui
avrei molto da dire, cominciando dalla burocrazia, per
poi passare al medico che dimentica di averti fissato un
appuntamento, al meccanico
che ti distrugge la macchina
lasciatagli in riparazione, o al
capitano della nave porta-container che blocca per
giorni e giorni il canale di
Suez. Queste, però, sono storie
che conosciamo tutti. Assai
più interessante è l'altro tipo
di errore, che, viceversa, si rivela curioso, diverso, fecondo;
sono gli errori che, invece di
distruggerci l'esistenza, la arricchiscono miracolosamente. Se ne è appena occupato
per Quodlibet Franco Nasi
con Tradurre l'errore. Laboratorio di pensiero critico e creativo.
A Nasi si deve il fortunato saggio La malinconia dei traduttore (Medusa 2008). Tuttavia, assai più vicino alla sua ultima
fatica risulta un altro titolo,
sempre di Nasi, ossia Traduzioni estreme (Quodlibet 2015),
che esamina una serie di testi
"vincolati", cioè caratterizzati
da forti obblighi compositivi,
o contraintes. Il lettore non
specialista potrà restare perplesso, eppure si tratta di una
questione scottante in ambito letterario: come tradurre
anagrammi, acrostici, pangrammi, lipogrammi e così
via? Altrimenti detto, se l'opera di partenza prevede dei particolari procedimenti creativi, come riuscire a trasporli
anche nella traduzione?
Testi intraducibili
Nel suo lavoro precedente, Nasi ha insomma affrontato dei
testi che si presentavano a prima vista intraducibili, ma che
hanno poi trovato risposte
inattese e sorprendenti nelle
strategie adottate da vari professionisti. Massimo esempio
di tali procedure fu il romanzo pubblicato da Georges Peree nel 1969, La disparition (in
italiano La scomparsa), interamente redatto secondo le regole del lipogramma. Il termine designa una composizione in cui viene omessa una lettera dell'alfabeto, scartando o
modificando tutte le parole
che la contengono.
Ora, nelle 312 pagine del racconto, a scomparire è proprio,
la vocale più frequentemente
impiegata nella lingua francese, ossia la "e" (presente, per inciso, ben quattro volte nel nome dell'autore). Dunque, Perec ha cercato di riempire i
suoi varchi, di aggirarla, e non
per niente c'è chi ha parlato di
una autentica circumnavigazione della "e". Per farlo, ha dispiegato ogni specie di acrobazia lessicale e sintattica,
dando vita a un linguaggio
via via arcaico, ridondante o
stilizzato. Malgrado ciò, la sua
scrittura nasconde l'artificio
alla perfezione; basti pensare
che alcuni tra i primi recensori non si accorsero di nulla,
ignorarono l'esistenza di una
regola segreta quale appunto
il lipogramina, e credettero di
avere a che fare con un semplice poliziesco.
A tutto questo ha invece replicato Pietro Falchetta con una
esemplare versione, a sua volta lipogrammatica. Ecco un
perfetto campione di traduzioní estreme. Per usare
un'immagine tratta dall'alpinismo, potremmo parlare di
un "sesto grado" della letteratura.
Tradurre l'errore
Ebbene, per alcuni aspetti,
questo tipo di testi costituisce
la premessa delle nuove ricerche raccolte sotto il titolo Tradurre l'errore. Il perché è presto detto: anche in quest'ultimo volume Nasi analizza una famiglia di testi speciali, che definisce inquieti, irrequieti, erranti e pieni di energia. Proprio rispetto ad essi, la traduzione perde la sua immagine
di pratica automatica, per rivelarsi al contrario un processo critico complesso e consapevole della sua precarietà.
È però necessaria una premessa. Naturalmente, gli errori
più o meno ricorrenti nella
traduzione interlinguistica
sono stati oggetto di numerosi studi settoriali, che indagano le dimensioni semantiche,
pragmatiche e culturali di
due lingue in modo comparativo/contrastivo. A ciò si aggiungono alcuni repertori relativi agli svarioni in traduzione. Tra questi, si segnala
quello di Romolo Giovanni Capuano, intitolato Gli errori
di traduzione che hanno cambiato il mondo (Stampa Alternativa, 2013). Si tratta di un volume dal taglio divulgativo
che iniziava dal famoso equivoco sorto sotto l'albero dell'Eden, con il termine "mela" che
finisce per sostituirsi alla parola "amale", per via di uno
scambio tra accenti brevi e
lunghi.
Altrettanto sensazionale il
passaggio verificatosi, sempre nei corso di una cattiva
traduzione, fra i sostantivi karnilas ("gomena") e hanielos
("cammello"), da cui scaturì
l'immagine, inverosimile e
presurrealista, del ricco aspirante cristiano che tenterebbe invano di passare, con le
sue gobbe, nella cruna di un
ago... un'ulteriore svista modificò poi la traduzione della celeberrima piazza di Mosca,
che in tal modo passò, dall'iniziale attributo di "bella", allo
scorretto ma ormai immutabile aggettivo "rossa". Per non
dire di quanto accadde nel
1944 durante l'assedio all'abbazia di Montecassino, quando i radiotelegrafi americani, nell'interpretare un messaggio dei tedeschi, confusero il nome Abt (ossia "abate')
per l'abbreviazione Abteilung
(vale a dire "battaglione"), e
credendo che un distaccamento di soldati nazisti fosse
alloggiato nel monumento religioso, lo bombardarono.
La poetica degli errori
Ciò detto, occorrerà precisare
che Nasi non si occupa di questo tipo di errori, preferendo
confrontarsi con un altro ordine di casi imprevisti. Verrebbe da pensare a quanto accade con testi classici quali l'Huckelberry Finn di Mark Twain o
l'Ulisse di Joyce, in cui la deviazione dalla norma è consapevole e risponde a una precisa
intenzione poetica. Non per
niente, un personaggio dell'Ulisse ammonisce: «un uomo
di genio non commette sbagli. I suoi errori sono volontari e sono i portali della scoperta». Nasi, però, non si ferma
nemmeno a questi modelli, e
si spinge ancora più in là, fino
a chiedersi: «Ma come deve
comportarsi un traduttore rispetto a errori commessi forse involontariamente, quando l'autore sembrerebbe intenzionato ad adeguarsi alle
norme linguistiche, ma non
lo fa o per mancanza di cultura, o per interferenze con un
sostrato dialettale, o per disturbi del neurosviluppo come la dislessia o la disortografia o per un lapsus o per un libero gioco della mente, ma in
modi che aprono inaspettatamente e con forza i portali della scoperta.
Atelier dell'errore
L'avventura prescelta da Nasi
riguarda una bizzarra proposta di traduzione legata a un
gruppo di adolescenti con
problemi cognitivi di diversa
gravità, che da anni lavora insieme all'artista visivo Luca
Santiago Mora in un laboratorio chiamato Atelier dell'errore. Le ragazze e i ragazzi hanno realizzato moltissimi disegni, partendo da immagini enciclopediche di animali e insetti che nella loro interpretazione si sono trasformati in
una sorta di angeli/demoni
protettori. I membri dell'atelier nominano poi i loro soggetti, e a volte raccontano, scrivendola intorno al disegno, la
storia del loro angelo/demone protettore. L'unica restrizione in tutto ciò è il divieto
di correggere l'errore. La ricchezza del progetto ha spinto
Marco Belpoliti a raccogliere
in un catalogo illustrato numerosi interventi di critici,
psicologi, filosofi e poeti che
si interrogano su questa esperienza, mentre nel 2015, durantel'Expo di Milano, la collezione Maramotti, che
ospita l'atelier, ha organizzato la mostra Uomini come cibo.
Ma eccoci al punto: come tradurre in inglese i titoli dei
quadri e le rispettiva didascalie? La più recente traduttologia ha elaborato diverse strategie che possono aiutare il
traduttore nel passaggio dalla propria lingua madre alla
lingua acquisita. Che cosa succede, però, se le frasi da tradurre sono: "Vendicatore di notte
che divorisce dei compagni di
classe che io mi avvicino e loro si allontanano e dicono
che puzzo", oppure "L'attacchista del canile che mangia i mafisti e polizioti e ruerue", o: "Lo
squalatore sessuale che si lecca le ferite"? Evidentemente
abbiamo a che fare con una
lingua espressiva, altamente
creativa, che ci invita a indugiare sullo scarto, mantenendo la tensione fra ciò che è
consolidato dalla norma morfologica o sintattica, e ciò che
è fluido e imprevedibile come
la vita. Ci si deve mettere in
gioco, conclude Nasi, e così facendo si comprendere che il
processo traduttivo non equivale a una sequenza di azioni
meccaniche, ma consiste piuttosto nel cogliere il problema
nella sua interezza, guardare
dall'alto la costruzione, e uscire dai limiti che spesso noi
stessi ci diamo. La traduzione
di testi non standardizzati
sollecita qui non il pensiero «a
tentare vie laterali, divergenti, a pensare in modo alternativo, outside the box, come si diceva qualche decennio fa, e soprattutto a cogliere la complessità del testo».
Energia dell'errore
Vi e laterali, pensiero alternativo. Adesso il panorama si allarga improvvisamente, e la
funzione dell'errore acquista
una rilevanza inattesa grazie
a un'illuminante citazione da
Tolstoj.
È nota l'indignazione con cui
il romanziere rispondeva a
chi gli chiedeva quale fosse il
piano dell'opera che stava
scrivendo. Il motivo era che
non esisteva alcun piano iniziale. Scrive Tolstoj in una sua
celebre lettera: «Parrebbe tutto pronto per scrivere, per
adempiere al mio dovere terreno, ma manca solo la spinta
della fede ín sé stessi, nell'importanza della causa. Manca
l'energia dell'errore».
Proprio riprendendo questa
formula nello studio Energia
dell'errore, il critico Viktor
Sklovskij individua nell'autore di Guerra e pace una scrittura capace di scaturire dalla
stessa sere di ricerca che aveva spinto Colombo a errare in
mare aperto, scoprendo "per
sbaglio" il Nuovo Mondo.
Tornando in ambito linguistico, viene in mente un brillante saggio di Andrea De Benedetti apparso nel 2015 da Einaudi, La situazione è grammatica. Perché facciamo errori. Perché è normale farli. Sin dalle
prime battute, Benedetti spiega infatti che la possibilità di
sbagliare non è soltanto la
principale garanzia della nostra libertà, ma anche, e soprattutto, il principale indicatore della vitalità di un idioma: «Esiste forse, nella nostra
o in qualunque altra lingua,
una cosa più intimamente
grammaticale dell'errore? No,
non esiste. L'errore è la quintessenza della grammatica,,
perché non è la semplice violazione di una regola, ma è
una violazione basata su un'ipotesi alternativa di funzionamento della lingua, un'infrazione della norma che presuppone un'altra idea di norma, cioè un'altra grammatica». Eppure, le suggestioni dischiuse da Sklovskij via Tolstoj vanno ben oltre la sfera
strettamente traduttoria e
verbale. L'idea di una forza
che spinge a superare le rotte
sicure del previsto e del programmato senza temere sviste, diventa così il centro di Errore, un libro uscito un anno e
mezzo fa per il Mulino a firma
di Giulio Giorello e Pino Donghi. Il testo, di orientamento
epistemologico ma di estrema leggibilità, si concentra
sulla lettura di Charles Darwin, Karl Popper, Konrad Lorenz e soprattutto Ernst Mach
(autore di Conoscenza e errore),
non prima però di aver consacrato il capitolo iniziale al
film Matrix Per quanto ci riguarda, basti riportare la conclusione del volume: «L'errore
ha un grande futuro davanti
a sé, sfruttiamolo al meglio».
Citazione per citazione, tuttavia, conviene tornare all'indagine di Nasi, soffermandosi
sulla pagina in cui viene evocata Pastorale americana di
Philip Roth... Sarebbe difficile
riassumere meglio il senso di
quanto sì è detto finora, svelando la natura profondamente umana, perturbante e
al contempo produttiva
dell'errore: «Rimane il fatto
che in ogni modo, capire bene la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male
e male e poi male e, dopo un
attento riesame, ancora male.
Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando».