Che Paolo Uccello rappresentando la battaglia di San Romano
e Piero della Francesca la battaglia di Eraclio e Cosroè abbiano
ritratto «soldati distratti che combattono come adempiendo a
un rituale» è uno dei passi sorprendenti che si incontrano nel
libro di Giancarlo De Carlo, sul quale vorrei invitare i lettori a
lasciare cadere le loro attenzioni. Che cosa distraeva, secondo
De Carlo, quei soldati? «Io credo», fu la sua spiegazione, «che
siano distratti dalla curiosità che avevano per il mondo, per il
territorio, perle città che scoprivano e che andassero mercenari
per questo». Frutto di una suggestione e di una evidente ma
non gratuita strumentalizzazione, questo passo riassume il
contenuto del libro, ovvero delle lezioni che vi sono trascritte,
che intendevano condividere con quanti le ascoltavano le
ragioni per le quali una curiosità analoga a quella che De
Carlo colse sui volti ritratti da Piero e Paolo Uccello dovrebbe
costituire la premessa di ogni progetto architettonico. Molto
opportunamente Clelia Tuscano ha raccolto nel libro, avendole
editate con attenzione, le trascrizioni di quattro conferenze
che De Carlo tenne alla Facoltà di Architettura di Genova nel
1993 all'atto di congedarsi dall'insegnamento. Le concepì in
maniera metodica, suddividendole colloquialmente in parti che
elaborò con dedizione esemplare, come provano le riproduzioni,
opportunamente inserite tra le illustrazioni del libro, di diverse
pagine degli appunti che stese in questa occasione. Il tono
delle conferenze non fu quello di un addio, ma piuttosto di
una sfida che De Carlo rivolse all'ambiente che lasciava. Il suo
scopo, infatti, fu quello di dimostrare quanto articolate sono
l'attrezzatura culturale e la sensibilità intellettuale delle quali
l'architetto dovrebbe disporre per interpretare i modi in cui il
mondo costruito è il risultato del lavoro dí modellazione del
tempo, «quella cosa preziosissima», che oltre al corpo e all'anima
rappresenta la terza dimensione dell'uomo: «Il tempo Lionardo
mio, è il tempo figlioli miei», esclama Giannozzo dialogando
con Lionardo ne I libri della famiglia di Leon Battista Alberti
in un passo su cui De Carlo si soffermò. Ma il tempo non è
soltanto una delle tre dimensioni che dell'esperienza umana
costituisce lo scheletro, come De Carlo sostenne. Il tempo fu per
lui durata e amico perché dal passato egli trasse gli strumenti
che gli consentirono di osservare il mondo pensandone la
complessità senza limitarsi a guardarla o a prenderne atto.
Dando dimostrazione in ciascuna pagina dei suoi appunti che al
lavoro dell'architetto si possono accompagnare diversi aggettivi
eccetto sedentario -«non a chi sta seduto a casa si avvicina la
durata», dice Peter Handke-, nelle sue lezioni De Carlo percorse
un tragitto tanto azzardato quanto efficace e appropriato alle
circostanze. Prese le mosse dal reticolo di Mileto e dall'Acropoli
per poi spingersi sino ad accennare ai logaritmi che dettano
l'organizzazione dello spazio in cui oggi ci muoviamo. Scorrendo
i capitoli del libro non è difficile, anche per chi non conosce
gli altri scritti di De Carlo dai quali derivarono le note da lui
utilizzate, individuare su quali punti fermi egli costruì la tesi
secondo la quale è impossibile cogliere il significato di una città
e delle sue architetture, la sua bellezza di cui parlò scrivendo
di Urbino, se non la si osserva come una "concrezione" e non si
conosce il territorio che l'accoglie, se non si ha chiara percezione
che quanto sembra separare l'una dall'altro è solo apparente e,
più in generale, che la contrapposizione tra lo spazio costruito
e la natura che spesso percepiamo deriva dalla miopia con cui
siamo soliti osservare effetti contingenti o ne distorciamo il
rapporto. Gli esempi citati e interpretati da De Carlo furono a
questo proposito eloquenti: Lucca dove il trascorrere del tempo
si è solidificato nella forma della città, oppure Siena sovrastata
dal reciproco osservarsi dei simboli di poteri che si fronteggiano,
la Torre del Mangia e il campanile del Duomo, o Pienza dove la
geometria della piazza sembra rispecchiarsi nelle pieghe del
paesaggio circostante, senza che tutto ciò si traduca in immagini
di conflitti insanabili. Perché come accade a Epidauro, dove le
gradinate del teatro sono coronate dagli ulivi e dalle querce, la
medesima natura che gli spettatori vedevano al di là della scena,
concluse De Carlo traducendo la nostalgia che vena queste
pagine in un insegnamento per i suoi studenti, «il territorio è
sempre presente nella percezione architettonica». De Carlo,
lo chiarì esplicitamente, non stese gli appunti all'origine delle
pagine del nostro libro per rivaleggiare con gli storici e neppure
assumendo il loro punto di vista. Lo fece da architetto e da
progettista. Ma può un architetto o un progettista prescindere
dalla storia? Ancor più - è qui la lezione più importante che
questo libro offre -, senza costruirsi una propria storia? La
risposta di De Carlo era implicita e la storia che il suo libro
racconta è tanto personalmente costruita, quanto finalizzata a
dimostrare che ogni città è il prodotto dei movimenti compiuti
dalla rete che la stringe al territorio, modellando l'uno e l'altra
e non soltanto funzionalizzando l'uno all'altra. Naturalmente
la storia che De Carlo raccontò era tendenziosa e non di rado
furono gli edifici o le loro vicende che lo incantarono, disse, ad
averne dettato l'andamento. Ma come conoscere l'architettura,
si legge in una sua pagina molto bella, se non se ne percepiscono
le doti ammaliatrici, non se ne avverte la sensualità?
E consigliabile leggere questo libro senza dimenticare
che vi sono trascritte quattro conferenze. Così facendo se
ne possono meglio apprezzare la costruzione esornativa,
la varietà delle argomentazioni e gli stimoli che intende
comunicare. Tra quest'ultimi vi è quello alla lettura, perché
De Carlo ricordò puntualmente, rendendo loro omaggio, i
libri che avevano accompagnato la stesura dei suoi appunti,
da Max Weber a Calvino studioso di Fourier e poi Diderot,
Saint-Simon, Filarete, Francesco di Giorgio ma anche Seferis
e Cattaneo e, soprattutto, i classici di sempre, il Decamerone, le
descrizioni delle città che si incontrano nell'Orlando furioso.
Le lez; cali trascritte in questo libro furono preparate per gli
studenti; la mia speranza è che molti di loro lo leggano. Mi
auguro lo facciano anche i loro insegnanti. Gli incitamenti che
De Carlo formulò a osservare senza supina acquiescenza e a
leggere senza pigrizia erano, sono rivolti anche a loro. Sono
soprattutto loro che potranno apprezzare la colta libertà con
cui De Carlo selezionò gli argomenti che toccò e i libri che
utilizzò, a cominciare dall'Odissea che non è usuale vedere
citata nelle bibliografie consigliate agli studenti di architettura.