Recensioni / Il Messico ai piedi della donna che forse lo tradì

i dice che senza di lei l'impero azteco sarebbe sopravvissuto: Malinche o Doña Marina è il nome della donna che rese possibile la Conquista del Messico e per questo in patria fu a lungo considerata traditrice. Consegnata nelle mani di Hernán Cortés come bottino dopo la battaglia di Potonchán, per il condottiero spagnolo vestì il ruolo di consigliera e di «ambasciatrice», affiancandolo come interprete dal maya e dal nahuatl, la sua lingua madre.
Nata ai primi del 1500, l'etimologia del suo nome ne evoca l'indole: colei che parla con vivacità. Effettivamente, se Malinche non fosse stata così «indiscreta, rumorosa e disinvolta», secondo Margo Glantz, autrice di La conquista della scrittura. Letteratura e società nel Messico coloniale (prefazione di Stefano Tedeschi, introduzione e traduzione di Adele Villani, Quodlibet, pp. 272, € 22,00), avrebbe subito la stessa sorte di anonimato riservata alle schiave. Invece divenne leggendaria, «oro razionale», «paradigma dell'essere americano». Al di là dello stereotipo del tradimento - a cui fa contrappeso quello del meticciato per via di Martín, il figlio che ebbe con Cortés - Malinche gode di pagine e pagine di letteratura e di prestigiosi ritratti: dal codice fiorentino del XVI secolo che la ritrae a Tenochtitlán al fianco di Cortés e al cospetto di Montezuma II, al mural realizzato da Diego Rivera con i capelli sciolti e indosso il tradizionale huipil.
Anche Bernal Díaz del Castillo, pieno d'ammirazione, la cita di continuo nella Historia verdadera de la Nueva España e riconosce in lei «una forza così virile davvero grande per una donna». Ma sarà proprio Cortés a nominarla soltanto una volta nella sua Quinta Carta de Relación delineando, secondo Glantz, l'imponente categoria del maschile come fondamento del tema politico.

Cortés prende il nome di lei

Il mondo dell'epica è generalmente abitato da corpi maschili e ha poco a che vedere con le donne, trattate alla stregua di «personaggi secondari, anonimi e collettivi». I corpi femminili, invisibili nella scrittura, sono descritti in forma «molto generale e pudica», anche se non mancano sorprese: Bernal ribattezza Cortés chiamandolo come era noto tra gli indios: Capitán Malinche. La presenza inesorabile di foña Marina - continua Glantz - ne altera l'identità: il corpo del conquistatore, trasferito nel corpo di Malinche o adesso giustapposto, subisce una trasformazione radicale: «questa operazione di linguaggio agisce sulla virilità e contamina quella che dovrebbe essere una rigida categoria, quella maschile». La Malinche, Hernán Cortés, Bernal Díaz del Castillo, Alvar Núñez Cabeza de Vaca sono alcune delle controverse figure che confluiscono nel volume il cui filo conduttore è la letteratura coloniale. Le crónicas della Conquista pur appartenendo a un'epoca dove solo si potevano concepire come storia, vengono qui trattate come materia letteraria.
Tra le scrittici messicane più prolifiche e apprezzate, Margo Glantz è ironica e la sua penna generosa, pur nel rigore accademico (non mancano mai note, citazioni e riferimenti), è ben lontana dall'aridità che a volte caratterizza la scrittura scientifica. La lettura del volume rende i temi storici accessibili anche al lettore non esperto, che troverà «isole di riposo» a metà di intensi capitoli. Abile la traduzione di Adele Villani, che arricchisce l'edizione italiana con un'introduzione in cui rivela le scelte adottate per non alterare lo stile originale, composto da «un'incalzante alternanza tra significanti metaforici e letterali». Introducendo neologismi o rendendo naturali i prestiti linguistici, Villani rende interessanti al lettore le sue riflessioni su lengua, faraute o rescate.

Dal corpo, garbati concetti

Una selezione di saggi sulla grande scrittrice di ispirazione barocca sor Juana Inés de la Cruz, comprende il famoso scritto che le dedicò Octavio Paz nel 1982. L'interpretazione di Glantz elude le consuete letture sulle inclinazioni intime della monaca (la relazione amiche vole o amorosa con la viceregina María Luisa Manrique de Lara) cui Netflix non ha, invece, saputo resistere. L'opera e la vita di suor Juana, secondo Glantz, devono essere studiate alla luce dell'ammirazione e dello «stupore» che le sue prodezze intellettuali suscitano nella corte vicereale. Il processo di mitizzazione che trasforma la monaca gerolamina «in un essere strano, mostruoso, eccezionale» placa solo in parte gli animi: «Rendendola leggenda o escludendola dalla normalità la neutralizzano: si relativizza il fatto, per molti sbalorditivo, che un talento così grande sia appartenuto a una donna prodigio». Margo Glantz ripercorre le Crónicas della Conquista e i suoi protagonisti trattando la Storia come materia letteraria: Quodlibet. Filo rosso dell'analisi, il corpo, attraverso le sue funzioni e la sua fisiologia, che lo straordinario talento e la impressionante intelligenza di Sor Juana traduce, anche nei dettagli più sterili e meno significativi, in «eleganti e garbati concetti». Impossibile slegare il binomio poesia-corpo: «Come il cuore, il sonetto si chiude su sé stesso, non riesce mai ad uscire dalla sua cornice».