Recensioni / Hugo von Hofmannstahl

Hugo von Hofmannstahl Le parole non sono di questo mondo
128 pp. Quodlibet, euro 12

Temperie generazionale di fine Ottocento, certo, bagliori superomistici nicciani compresi. Ma come attutita dall’aria rarefatta dell’Austria felix. È lo sfondo del carteggio tra Hugo von Hofmannstahl, appena salutato come fanciullo prodigio dalla repubblica delle belle lettere, e il suo amico del cuore, il guardiamarina Edgar Karg von Bebenburg, a zonzo per i sette mari a bordo della corvetta Saida dell’Imperial regia marina. Un epistolario talmente singolare, che fu lo stesso von Hoffmannstahl a pensare di pubblicarne una selezione già nel 1905, all’interno di un libro che avrebbe dovuto rappresentare “il simbolo di una certa generazione”. Del resto, sin dalla prima lettera a Edgar, dichiarava: “Le cose importanti che vivremo non potremo raccontarcele, poiché non ci accorgiamo di esse.  Credo però che talvolta potremo scrivere su un pezzo di carta il frammento di una sensazione soggettiva, di un umore, e da questo potrà venirne fuori un carteggio come nel secolo scorso, quando la gente scriveva in modo molto più grazioso, più elegante e più nobile di ora – probabilmente perché le lettere ci mettevano un mese ad andare da un paesino all’altro della Germania”.
Tra il 1892 e il 1896, i due ventenni rappresentano, l’uno per l’altro, la faccia opposta di una stessa medaglia. Hoffmanstahl, sulle prime, sembra invidiare la vita avventurosa (“tu vedi nuove terre e regioni, io leggo libri”) e sana dell’amico (che però morirà nel 1905, stroncato dalla tubercolosi), e preferirla al suo saltabeccare da un salotto a una cavalcata nel Prater. Ma presto, le lamentele per una vita esteriore “incolore” lasciano spazio alla riflessione sull’arte. Certo, il dislivello tra i due sodali, in materia, è evidente. Alle domande un poco scarne del guardiamarina, lettore vorace e curioso, ma non certo un intellettuale, von Hofmannstahl si sforza di rispondere in maniera semplice ma tutt’altro che semplicistica. Così, le considerazioni sul rapporto tra arte e realtà, sul contatto con le persone e con la natura, si snodano senza affettazioni. In particolare, il poeta ragiona intorno al termine “vita”, parola chiave, come mostra nella sua postfazione Marco Rispoli. La possibilità di essere “migliore e più nobile della vita” è esemplata dal tipo del gentleman. Un modello in grado di conservare stile ed equilibrio, sovranità sui conflitti interiori, che però la modernità sottopone a tensioni continue, nell’economia del denaro, nella continua influenza di nuove idee, di nuovi popoli. Vivere fino in fondo.