Recensioni / Luca Ronconi e l'epoca d'oro del Lauro Rossi

volerla pensare da veri romantici, è un po' come se si chiudesse un cerchio. In questi giorni la casa editrice maceratese Quodlibet ha dato alle stampe un volume affascinante e pieno di suggestioni dal titolo «Regia Parola Utopia. Il teatro infinito di Luca Ronconi» (a cura di Roberta Carlotto e Oliviero Ponte di Pino, pp. 376, euro 22), in cui tanti nomi importanti del teatro e della cultura discutono dell'artista scomparso ormai sei anni fa. Luca Ronconi ha rappresentato uno dei vertici di quel teatro di regia che è stato l'invenzione più felice del Novecento della scena, e molto è stato amato dagli spettatori, anche quando lui li costringeva ad autentiche maratone di ore seduti in platea. Proprio questo è il legame che chiude il cerchio, poiché un editore di Macerata rende omaggio, pubblicando questo volume, a un gigantesco uomo di teatro che in uno dei momenti più felici e centrali della sua carriera ha consentito che proprio al Lauro Rossi di piazza della Libertà - un teatro bello, ma obiettivamente dalle dimensioni ridotte e di provincia - arrivassero alcuni dei suoi più importanti spettacoli, prodotti da teatri stabili nazionali (Umbria e Torino), e destinati alle platee delle grandi città. L'allora direttore del Lauro Rossi, Claudio Orazi, seppe intercettare quella fertile stagione tra la fine degli anni '80 e la prima metà dei '90, portando a Macerata (all'epoca il teatro di punta delle Marche) anche altri due stratosferici nomi del teatro di regia italiano, Giorgio Strehler e Massimo Castri, senza dimenticare le presenze di Leo De Berardinis, e si fa torto a molti altri non nominandoli. Restando a Ronconi, sarebbe difficile per gli spettatori dell'epoca scordare le magnifiche ore di «Tre sorelle» di Cechov o di «Strano interludio» di O'Neill, oppure le trasferte per gli abbonati, come quella a Roma per il «Re Lear». Sì, ha proprio senso che un libro su Ronconi venga pubblicato qui.