Recensioni / La buona notizia è nel tempo che si compie

Posto in apertura del Vangelo di Marco, l'annuncio del Regno introduce un'esperienza del tempo diversa da quelle già note all'epoca di Gesu. Non è più il tempo circolare del mito, scandito sul ripetersi delle stagioni, e non è il tempo lineare e progressivo della storia, sul quale farà affidamento in seguito la stessa Chiesa. Piuttosto, è un tempo «puntuale» in altri termini, «è l'ora in cui la potenza di Dio è sperimentata – non solo proclamata - come presente», scrive Giancarlo Gaeta in un passaggio decisivo del suo Il tempo della fine (Quodlibet, pagine 122, euro14,00), libro breve e densissimo, al quale lo studioso affida il distillato di una riflessione tanto appassionata quanto documentata. Già professore di Storia dei cristianesimo antico e di Storia delle religioni all'Università di Firenze, Gaeta 'è molto conosciuto per la sua curatela delle opere di Simon Weil, la grande pensatrice che non casualmente torna ad affacciarsi nelle pieghe di questa indagine su «prossimità e distanza nella figura di Gesù». Ma non meno significativo è il fatto che, in una sorta di appendice metodologica, Gaeta si soffermi sull'eredità spirituale e intellettuale di padre Michel de Certeau, la cui vicenda si svolge non sul confine dell'istituzione ecclesiale come nel caso di Weil (ebrea, non volle mai ricevere il battesimo, pur aderendo intimamente al cristianesimo), ma all'interno di essa, nella prospettiva di pluralità caratteristica del gesuita francese. È la stessa via che Gaeta ha seguito nella sua esplorazione dei Vangeli, dei quali ha fornito nel 2006 un'importante edizione per Einaudi, la stessa casa editrice che nel 2009 ha pubblicato il suo Un Gesù moderno.I capitoli del Tempo della fine, nati inizialmente come contributi per le Settimane Alfonsiane di Palermo, rappresentano dunque l'esito di una ricerca che punta ad affrontare «nel modo più radicale» la questione della storicità di Gesù: «come poté porsi e di fattosi pose - sintetizza Gaeta - a quanti tra i suoi contemporanei ebbero la ventura di vederlo e di ascoltarlo». La dornanda è la stessa che il Maestro rivolge ai discepoli, quel «ma voi, chi dite che io sia», che nel Vangelo di Giovanni diventa il più drammatico «volete andarvene anche voi?». La sequela che Gesù richiede è infatti particolarmente impegnativa. Comporta il dovere di esprimere un giudizio sulla realtà, operando così una frattura con il presente oltre che con il passato, e istituisce una «etica dell'attesa» nella quale «coraggio e compassione» risultano inscindibili: «occorre porsi fuori del mondo in tutta la misura possibile per riconoscere chi patisce la violenza mondana e rendersi partecipe della sua condizione». L'espressione «fuori del mondo» rinvia alla dimensione estatica dell'insegnamento di Gesù, all'essere «fuori di sé» che nel resoconto dei Vangeli gli viene di volta in volta imputato come sintomo di follia o addirittura come indizio di possessione. Ma estatica, e di conseguenza mistica, é tutta la predicazione del Regno, in virtù della quale, secondo Gaeta, la consapevolezza escatologica del «tempo della fine» assume valore preponderante anche rispetto alla promessa dì salvezza. Uno dei meriti del libro sta nel sottrarsi al gioco delle contrapposizioni che troppo spesso accompagna il dibattito sul cristianesimo delle origini. Così, per esempio la «forma mistica della fede». testimoniata da Giovanni si colloca «a fronte, non contro» la «forma istituzionalizzata» ossia «come stimolo ad andare oltre, a non smarrire la verita dell'evangelo». Del tutto centrali, nella proposta interpretativa di Gaeta, sono i racconti dell'Ultima Cena e della Risurrezione, con un richiamo costante all'evento dell'Incarnazione. Si impone, di nuovo, lo «spiccato carattere estatico» di «visioni che generano fatti», come accade in particolare nell'incontro con Maria di Magdala e nell'episodio di Emmaus. A Gaeta preme tornare al punto partenza, per interrogarsi sulla condizione nella quale si trovavano i compagni di Gesù dopo l'esecuzione della condanna a morte sul Golgota. Il dispositivo i quello della "ripresa" codificato già da Kierkegaard, grazie al quale la vicenda storica si afferma come «un avvenimento che dá senso al passato e illumina il che fare della vita. Perché il «tempo della fine» non è quello in cui il nostro tempo finisce, ma quello in cui ogni tempo giunge a compimento.

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