Recensioni / Gli architetti e l’eterno dilemma sul senso del “mestiere”

Parlare (e scrivere) di sé e del proprio ruolo nella società. Non c’è categoria professionale che lo faccia con tanta dedizione come quella degli architetti. Se poi questo ruolo – complice anche la pandemia – ha effettivamente la necessità di un ripensamento, allora ecco il rischio di una valanga disordinata di posizioni. Ma ci sono anche fili rossi che legano autori eterogenei in un dialogo a distanza. È il caso di tre libri pubblicati tra 2020 e 2021, occasioni per costruire un intenso percorso di lettura. Il mestiere di architetto è il titolo del lavoro di Livio Sacchi, ma anche il sottotitolo (si differenzia soltanto per l’articolo determinativo) della raccolta di testi che Carlo Melograni inserisce in Progettare per chi va in tram, capace di introdurre una dimensione urbana e sociale che Gianni Biondillo squaderna nel suo Lessico metropolitano.

Indagato da tre prospettive diverse (Sacchi è professore universitario di disegno e vanta una significativa esperienza ordinistica; anche Melograni ha insegnato, progettazione, e in una lunga carriera ha costruito soprattutto edifici collettivi; Biondillo, architetto di formazione, ha intrapreso una fortunata carriera di scrittore) il “mestiere”, in Italia, si offre in tutta la sua precarietà. Non solo da un punto di vista economico e organizzativo (i dati, ormai da tempo, dipingono condizioni insostenibili di basso reddito e scarsa efficienza) ma anche sociale e culturale (con gli architetti italiani sempre alla ricerca di una legittimità e di un’autorevolezza che appaiono, forse oggi ancora di più, chimere).

La crisi da pandemia diventa così, in questo sfondo, il momento propizio per mettere in discussione i modelli consolidati. Proprio in una fase in cui la pioggia di risorse – da una parte con i bonus, dall’altra attraverso il Recovery Fund – coincide con il rinnovo del Consiglio nazionale degli architetti e delle rappresentanze di molti Ordini provinciali. “Il quadro nazionale ci conferma che, in assenza di una radicale spinta innovativa, saremo costretti a pagare un prezzo molto alto, se pure non rischieremo di restare fuori da ogni processo di sviluppo”, scrive nella prima parte del suo libro Sacchi, che poi chiosa: “dobbiamo prepararci al futuro, in particolare ad un futuro diverso”.

Futuro che – nelle parole di Biondillo – passa attraverso l’archiviazione di questa lunga parentesi: “Perché se è vero che dopo la pandemia nulla sarà com’era prima, non vorrei che fosse però peggiore. […] Il morbo più difficile da estirpare è quello che ci è stato inoculato in questi mesi […]. La sindrome del sospetto, l’ossessione di barricarci per difenderci è un’idea punitiva e oscura della città che non posso accettare […] L’idea di muoverci solo per ragioni utilitarie, solo per fare acquisti o andare al lavoro, per poi rintanarci nei nostri bunker protetti è puro antiurbanesimo. Abbiamo bisogno anche di luoghi inutili e perdigiorno. Lo spazio ludico, lo spazio inutile, il tempo perso, sono rigeneranti”.

Melograni sembra fare sintesi in una breve premessa (scritta nel maggio 2020) in cui dichiara la prospettiva: “L’epidemia e i conseguenti avvenimenti dei primi mesi del 2020 comporterebbero una revisione dell’ultimo capitolo (“Per un’architettura di pubblica utilità”, NdR). Non me la sento di affrontarla. Mi limito a sottolineare la speranza che i progettisti dell’edilizia e dell’urbanistica ricavino dalla dura esperienza che stiamo vivendo una conferma dell’impegno a concentrarsi nello studio di soluzioni che migliorino le condizioni dell’abitare, riducendone le disuguaglianze, piuttosto che inseguire l’ambizione di lasciare segni monumentali per passare alla storia”.

Le tre citazioni sono manifesti programmatici delle pubblicazioni e del pubblico a cui si rivolgono.

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Condivide una dimensione soggettiva Progettare per chi va in tram. Il mestiere dell’architetto (di Carlo Melograni, Quodlibet, 2020, 192 pagine, € 18, riedizione ampliata di un lavoro di vent’anni fa). Il titolo stesso parte dalla dimensione sociale e urbana dell’architettura (lo spunto è Edoardo Persico: “Crediamo che pochissimi architetti italiani abbiano per ideale di cliente il viaggiatore in tram; eppure è a lui che i costruttori italiani debbono pensare […] Viaggiatori in tram: operai, impiegati, povera gente per la quale gli architetti italiani prepareranno le case popolari, gli alloggi minimum, i mobili componibili”) per farne una questione etica, della professione stessa. Come nel caso di Biondillo, è una raccolta di testi – otto, scritti in periodi diversi – che tratteggia la traiettoria di docente e progettista. Anche qui non ci sono scale, si spazia dal design (Lezione su una lampada è il primo saggio) all’urbanistica. Ci sono invece le immagini, molte, di progetti realizzati, anche dall’autore, di casi studio, di momenti di vita. I tantissimi nomi – da Alvar Aalto a Bruno Zevi – formano una geografia da cui scaturisce (o dovrebbe scaturire) la nuova architettura suggerita: “Dovremo trovarci a tenere fermi gli obiettivi della modernità e rincorrere l’evolversi dei mezzi per raggiungere quel fine, con l’equilibrio della continuità nel cambiamento”.