Recensioni / E dopo il Paradiso cosa c'è?

E “il quarto pezzo”? Quando nel 2017 iniziammo a lavorare all’Inferno, mi ritrovai insieme a Serena Cenerelli a spiegare a un gruppo di signore la struttura dell’intera Commedia, il viaggio dalla selva oscura al Paradiso, la divisione in tre cantiche, ovvero in tre parti. Una signora chiese: “E il quarto pezzo”? Non compresi. Il quarto pezzo… in che senso? E lei, convinta, serissima: “Il quarto pezzo, dico, dopo Inferno, Purgatorio e Paradiso…

La domanda forse rifletteva le abitudini dell’era dello spin-off, ovvero la cultura delle serie televisive, per cui una storia, se ha ben “funzionato”, una volta finita va comunque continuata, magari inventandosi le vicende di un personaggio “secondario” che nella storia-madre non era protagonista: non Dante quindi, ma, che so, le vicende che han portato all’omicidio di Pia dei Tolomei o quelle del musicista Casella o i furori di Gianciotto Malatesta, detto anche “Gianne lo Sciancato”, politico e condottiero, tradito dal fratello Paolo e dalla sposa Francesca: appunto, il “quarto pezzo”.

O forse quell’errore nascondeva qualcosa di più? La cosa mi è tornata in mente leggendo un prezioso volumetto di Franco Nasi, edito da Quodlibet: Tradurre l’errore. Da anni l’autore, docente all’Università di Modena di Teorie della traduzione e Letteratura Anglo-americana, naviga nel mare magnum della traduttologia, regalandoci libri importanti dai titoli evocativi, come Malinconia del traduttore, Specchi comunicanti, Traduzioni estreme, L’artefice aggiunto, scritto quest’ultimo in coppia con Angela Albanese. Conosco Franco da una vita: siamo cugini di primo grado, sua madre Nanda era, tra le sei sorelle di mio padre Vincenzo, la preferita, quella con cui amava maggiormente confidarsi e scherzare. Ci ha cavati dalla pancia delle nostre madri la stessa levatrice, sulla via Emilia, e queste sono esperienze che non si dimenticano. Bene, quello che ha sempre interessato Franco, il Franco traduttore in proprio dall’inglese, traduttore di poeti come Roger McGough e Billy Collins, è la capriola dell’inciampo, l’errare della lingua, è il labirinto complesso e misterioso degli alfabeti, di come le lingue si tramutano l’una nell’altra, creando un mondo di affascinanti metamorfosi, dando vita a giochi di parole, a scherzi, lapsus, nonsense, capitomboli, dove traduzioni esatte si rivelano talvolta piatte e arroganti e noiose mentre traduzioni sbagliate, o comunque irregolari, paradossalmente rivelano nuove luci, sensi imprevisti, o un fecondo, involontario umorismo.

Franco pensa e vive la traduzione non solo come un’attività tecnica, funzionale a far transitare i significati da una lingua all’altra, ma come una “palestra di pensiero critico e creativo, in cui l’essere umano possa provare a fare scelte non completamente prevedibili, così come la lingua, nella sua più profonda natura, è compresenza di regola e arbitrio, vincolo e libero gioco.” Non a caso parte importante di questo libro sul “tradurre l’errore” ha l’esperienza artistica dell’Atelier dell’Errore, un laboratorio condotto dall’artista visivo Luca Santiago Mora con un gruppo di adolescenti con problematiche cognitive di diversa gravità. Le ragazze e i ragazzi dell’atelier hanno realizzato moltissimi surreali disegni, oggi in mostra permanente alla Collezione Maramotti di Reggio Emilia, partendo da raffigurazioni enciclopediche di animali e insetti che, trasformati dalla loro immaginazione, sono diventati una sorta di angeli-demoni protettori. Unica restrizione che i ragazzi hanno nelle loro opere, è che non possono usare le gomme da cancellare, cioè non possono correggere l’errore. Se, ad esempio, una figura disegnata fuoriesce dalle dimensioni del foglio a disposizione, non si rifà la figura rimpicciolendola, ma si aggiunge un altro foglio, e un altro, e un altro ancora, al punto che i disegni finali hanno forme strane e dimensioni insolite.

E all’interno del gruppo i “nominatori”, ragazzi particolarmente creativi, danno i titoli ai disegni: titoli che suonano come formule magiche, fatte di parole inventate, “sbagliate” anche, ma che come i disegni non vanno corrette, “titoli-mostri” come: Lo Squalatore sessuale che si bacia le ferite, Mosca cieca che combatte Matteo che picchia la giente e soprattutto me, Adentatore di uomini nudi, ScoiattoMotosega, Vendicatore di notte che divorisce dei compagni di classe che io mi avvicino e loro si allontanano e dicono che puzzo, e via di questo passo. C’è tanta “energia dell’errore” in questo creare lasciando il creato com’è, quella energia che, ricorda sempre Nasi, Tolstoj definiva come la forza che ci spinge ad andare oltre le rotte sicure del previsto e del programmato, rotte sicure certo, ma alla fin fine pericolose, perché spengono in noi la sorpresa del vivere, la meraviglia e l’inquietudine dell’imprevisto. La stessa strabordante “energia” che deliziava Gianni Rodari, quando ne Il libro degli errori, ricorda come giocava con gli errori in classe dei suoi giovanissimi scolari, come insieme a loro si “imparava ridendo”, quando un “calcio d’angolo” diventava per errore, un sublime errore, un “calcio d’angelo”, indubbiamente difficile da tirare. Difficile? Sì, ma forse non ci servirebbe che proprio un angelo ci spronasse, con un calcio amoroso e ben assestato, a uscire dal pantano di una vita noiosa, dove tutto è algoritmicamente calcolabile e prevedibile? E quindi, citando Philip Roth, dal romanzo Pastorale americana: “Rimane il fatto che, in ogni modo, capire bene la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando. Forse la cosa migliore sarebbe dimenticare di avere ragione e godersi semplicemente la gita.”

Ieri, nel fare le telefonate agli attori e alle attrici di verso Paradiso, per assegnare loro i canti, mi sono trovato a un certo punto a dialogare con Gianfranco Tondini, sensibile attore e autore della scena ravennate: da anni non ci incontravamo, e quando al telefono, dopo i saluti, ho esordito: “Gianfranco volevo dirti, per verso Paradiso…”, lui mi ha interrotto esclamando, la voce ridente: “Perverso Paradiso! Che titolo splendido!”.