Quella notte cambiò la storia
dello spettacolo, perché dimostrò come la regìa potesse incidere nel profondo di un'opera
che non nasce propriamente
perla messinscena, trasformandola in un caleidoscopio di immagini ed emozioni. La notte fu
quella del 18 agosto 1984, quando a Pesaro andò in scena Il
viaggio a Reims di Gioachino
Rossini con la regìa ispirata di
Luca Ronconi, le scene di Gae
Aulenti e un immenso Claudio
Abbado sul podio a dirigere un
cast stellare che contava i nomi
di Cecilia Gasdia, Lucia Valentini Terrani, Katia Ricciarelli, Samuel Ramey, Ruggero Raimondi, Enzo Dara, Leo Nucci, e poi
(chi le può dimenticare!) le marionette poeticissime della famiglia Colla, che si muovevano in
un teatro sospeso nel vuoto, un
teatro nel teatro dentro all'Auditorium Pedrotti.
Certo che Ronconi aveva molti
dubbi nel confrontarsi con una
cantata scenica, perché temeva
che non avesse la forza espressiva di un'opera. Furono le prove,
un giorno via l'altro, a convincerlo del contrario, a convincerlo
cioè che la storia si potesse veramente riscrivere su quel palcoscenico, il Rossini Opera Festival, che era nato da appena
quattro anni. Il risultato fu da antologia, un punto di riferimento
internazionale, ovazioni del pubblico, premi della critica, un
mattone basilare sulla leggenda
del Rof. Ronconi è tornato poi
tante volte a Pesaro - l'ultima
nell'estate del 2014 con Armida, pochi mesi prima della morte che lo portò via nel febbraio
dell'anno successivo durante le
repliche a Milano della sua ultima fatica, la Lehman Trilogy -
firmando spettacoli che restano
impressi nel ricordo, come la
Cenerentola del 1998 con muri che ruotavano per scoprire
nuovi ambienti e mobili fluttuanti nell'aria - invenzioni realizzate stavolta in collaborazione
con Margherita Palli, e giù altri
riconoscimenti -, ma anche un
notevole Ricciardo e Zoraide
nel 1990. Insomma, il legame
tra Luca Ronconi, la città di Pesaro e il suo festival rossiniano
sono evidenti e profondi. Ma vogliamo parlare di Urbino e di
quello spettacolo che affonda
cronologicamente ormai nelle
nebbie del tempo, ma resta attualissimo perla scossa che diede al teatro dell'epoca, I Lunatici a Palazzo Ducale nel 1966?
Che cosa fu quello spettacolo
per l'asfittica società teatrale
del tempo, se non una scossa salutare che aprì a nuove opportunità? Urbino poi è stata testimone, nell'estate del 2006, del ritorno a casa del capolavoro del
teatro del Cinquecento italiano,
La Calandria di Bernardo Dovizi da Bibbiena (che il consigliere
di papa Leone X compose proprio per la corte urbinate), con
annessa honoris causa all'università. Per questi motivi - e per
altri che qui purtroppo non c'è
spazio per ricordare - va sottolineato uno splendido tributo al genio di Ronconi che è appena
uscito in libreria, vale a dire il volume intitolato Regìa Parola
Utopia. Il teatro infinito di Luca
Ronconi, un progetto del Centro Teatrale Santa Cristina, l'ultima affascinante creazione formativa dell'artista destinata al perfezionamento di giovani attori. Il libro (384 pagine, 22 euro)
è curato da Roberta Carlotto e
Oliviero Ponte di Pino ed è pubblicato da una raffinatissima casa editrice come Quodlibet, che
è nata e ha sede a Macerata.
Si parte dunque, come recita il
titolo, da tre parole fondamentali nella produzione poetico-teatrale di Ronconi per ricostruire
un percorso che è stato unico in
tutti i sensi. A contribuire al viaggio sono, in una polifonia di voci, collaboratori e attori che hanno condiviso con il regista il senso ultimo di messinscene che rimangono scolpite nella storia e
nell'immaginario dello spettacolo, quella «progettazione
dell'utopia, cioè di un teatro
non ancora esistente» di cui parlò un maestro della critica come
Renzo Tian.