Recensioni / Tutto è nuovo sotto il sole pallido di Ghirri. Anche l'irrilevante diventa gigantesco

Questa raccolta che contiene tutti gli scritti di Ghirri e una selezione di interviste è un altro dei suoi capolavori. Niente di antico sotto il sole era fuori catalogo da anni e in questa riedizione manifesta tutta la consapevolezza, il lirismo e le sue capacità di critico, curatore, saggista, agitatore e di scrittore.
Ghirri racconta che il suo viaggio da fotografo nasce anche grazie alla foto del 1969 della Terra vista dalla Luna. Per la prima volta vediamo il nostro pianeta da fuori, «tutti i film prodotti, le chiese costruite, tutti i libri scritti, i quadri, le foto, le persone: tutto era sintetizzato in quella foto (...). Fu per me una spinta a percorrere i primi passi nel campo della fotografia». La fotografia è per lui come un allenamento costante a non percepire niente come insignificante. Si muoveva in un ambiente a lui famigliare, percorrendo quei «viaggi domenicali minimi, nel raggio di tre chilometri da casa mia» con un'attenzione che glielo faceva a volte apparire ignoto. Con lui andiamo a scoprire come ci sia sempre nella realtà una zona di mistero. Il titolo di questo volume viene dalla riflessione che fotografare per Ghirri fosse come guardare il mondo «in uno stato adolescenziale» che ogni momento rinnova lo stupore, «che si meraviglia anche solo di fronte al miracolo della luce». Così la pratica fotografica ribalta il motto dell'Ecclesiaste «niente di nuovo sotto il sole» e ci ricorda che non c'è niente di antico, che tutto cambia ogni istante.
Ghirri racconta anche di quando fotografa la casa di Giorgio Morandi e rimane colpito dal racconto del suo accompagnatore, che gli parla dello sconforto del pittore per il condominio giallino che era stato costruito davanti al suo studio e che ne alterava la luce. Morandi non si avvaleva quasi di nient'altro, «non ha usato altra materia che la normalità: è tornato continuamente a ridipingere le stesse semplicissime bottiglie, bicchieri, vasi. Ho cercato di imparare la stessa essenzialità». Morandi aveva scoperto che le cose hanno una loro voce: bisogna mettere in disparte la voglia di trasformare, e ascoltare questa lingua silenziosa. In un altro scritto dal titolo «Dopo dieci anni di fotografie» il fotografo arriva a sintetizzare la sua visione: «il mio rispetto per le cose irrilevanti sta assumendo proporzioni gigantesche», scrive tra le riflessioni, «è che noi cerchiamo ovunque l'assoluto e dovunque troviamo soltanto oggetti; e le cose non sono più sorprendenti».
Con lui i luoghi che potrebbero sembrare anonimi diventano epici. Viaggia nell'Italia minore, quella non turistica e cerca di scoprire il paesaggio italiano e investigare la realtà creando attorno a sé un ambiente di altri fotografi e scrittori. E fonda tutta la geografia di un immaginario che ha contribuito a cambiare, quello dell'Italia reale in contrasto all'Italia turistica da cartolina.
Amava l'architettura «geometrile», la chiamava così, quell'architettura che c'era in Emilia, fatta di case tirate su senza architetti. Ghirri era fiero del suo diploma da geometra, diceva che gli è servito più che studiare in un'accademia d'arte e paradossalmente il suo sguardo di geometra ha cambiato quello degli architetti, diventando un riferimento per molti come attraverso il suo lavoro su Aldo Rossi.
Questi scritti compongono un sistema solare di riflessioni, citazioni, ricordi, progetti, teoremi che cambiano come i paesaggi, analisi tecniche e intime. Viaggi in altri continenti, nella campagna circostante o viaggi sull'Atlante visto come «la descrizione sintetica di tutto il mondo: la casa dove abito, quella dove sogno di vivere, il posto dove sono nato, i luoghi che vorrei conoscere, insomma il luogo totale». Una voce richiamava Ghirri lontano dalle cose conosciute, verso i luoghi anonimi. Scriveva: «Forse alla fine i luoghi, gli oggetti, le cose o i volti incontrati per caso, aspettano semplicemente che qualcuno li guardi, li riconosca, e non li disprezzi relegandoli negli scaffali dello sterminato supermarket dell'esterno».
Non amava i luoghi illuminati come fossero set cinematografici, ma quelli illuminati in maniera provvisoria, da una fila di lampadine colorate, da una giostra di passaggio, dai fuochi d'artificio, dai fanali di una Panda su un argine. In sottofondo le canzoni di Bob Dylan, i film di Wim Wenders, gli scrittori americani ed emiliani, le foto di Walker Evans, Piero della Francesca, Bruegel e Van Gogh e Zavattini che scrive che la malinconia è originaria del Po, che altrove si tratta di imitazioni. Percorre tutto questo libro una visione che verrebbe da definire mistica, un continuo ricordarsi che tutto questo esisteva e continuerà ad esistere al di là dei nostri sguardi. Nelle sue foto c'è un'intimità esterna, nei suoi paesaggi possiamo ritrovare la nostra interiorità. In una delle interviste che troviamo alla fine del libro Ghirri cita Borges che scriveva di «un pittore che volendo dipingere il mondo, dipinse laghi, colline, e monti e boschi, barche e animali morti e uomini. Alla fine della vita, mettendo insieme i quadri e i disegni si accorge che questo immenso collage costruiva il suo volto».

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