Di Petrolio, ultimo
romanzo incompiuto di Pier Paolo Pasolini, si ricorda soprattutto la
dietrologia. Intorno a Petrolio c'è un odore di
complotto che è raro trovare
intorno a un'opera letteraria.
Innanzitutto la sua pubblicazione postuma: nel 1992, ben
diciassette anni dopo la morte dell'autore — un'enormità,
per l'edizione di un manoscritto a testimone unico. Sottratto da qualsiasi nesso causale con la morte del suo autore, il romanzo comparirà solo
a bocce ferme, quando la discussione sugli anni di piombo è bell'e rientrata e il tema
del giorno è Mani Pulite.
Poi le presunte pagine rubate:
un capitolo, Lampi sull'Eni,
che sarebbe stato sottratto al
manoscritto dopo l'assassinio di Pasolini, e che sarebbe
poi ricomparso (il condizionale è d'obbligo in questo caso)
nelle mani di Marcello Dell'Utri, che in una conferenza
stampa nel 2010 dichiarò di
esserne in possesso. Parole a
mezza bocca, dove si fece capire
che in quelle pagine si trattava
di cose «scottanti» sull'Eni e l'omicidio Mattei.
Tuttavia, non
spiegò né mostrò nulla: fake
news per alcuni,
velata minaccia
a qualcuno secondo altri. Quel capitolo non
è mai saltato fuori, e c'è chi, come Walter Siti, nutre seri dubbi sul fatto stesso che esista
davvero. Ma il nesso rimane,
al centro di una complessa
narrativa intorno a questi
eventi: Petrolio rimane quel libro che, forse, è costato la vita
al suo autore.
Una nebulosa che un libro recente di Quodlibet, Petrolio 25
anni dopo, prova a ordinare e
chiarire. Lo cura Carla Benedetti, che di Petrolio è l'interprete più fedele, e a cui in questi anni non è stato risparmiato quel dileggio, molto italiano, che si riserva a chivuolvedere troppe complicazioni
nelle cose semplici. Del resto,
si sa come basti dare del complottista a qualcuno per stroncarne il discorso: è un modo
come un altro per buttare la
palla in tribuna.
Frammento 55
Di Petrolio — inteso stavolta come opera e non come oggetto
— i lettori ricordano sempre
una sola scena: sullo sfondo
notturno della periferia romana, il protagonista Carlo
consuma un rapporto orale
con venti ragazzi della borgata uno dopo l'altro, in fila ordinata. Si tratta del famoso
frammento 55, intitolato Il
pratone della Casilina. Di un libro che parla di nuovo potere,
alienazione e mercato dell'energia, un libro che l'autore
definì «la mia opera più politica», «il romanzo che forse
m'impegnerà per il resto dei
miei giorni», nella memoria
collettiva resta quasi solo
quella grande orgia rituale
sulla Casilina, e poco altro.
Non è certo un caso. Non si
può dare una colpa (o forse sì)
a chi in un vasto zibaldone di
più di seicento pagine nota solo il disegno sessuale. Lo diventa, una colpa, nel momento in cui quel frammento diventa la chiave di lettura
dell'intero testo. Impedendo
così di coglierne i valori fondanti, che sono altri e forse
più utili. Ma quella di identificare Petrolio con il frammento 55 è abitudine consolidata,
fin dal 1992, anno di uscita
del libro. È una lettura che, certo, fa comodo: il romanzo diventa una dimostrazione
(l'ennesima) di quanto Pasolini fosse nei suoi ultimi anni
un uomo squilibrato, ottenebrato dalla disperazione e ormai caduto in
una fosca deriva sadomasochistica. Così ragionava perfino un lettore come Edoardo
Sanguineti: «A
Pasolini non restava dunque
che buttarsi
nell'orrore della morte e a
quel punto il suo fondo sadomaso esplose attraverso una
patologia molto manifesta.
L'ultimo film è un documento inequivocabile di quella disperazione patologica, qualcosa di molto simile a quel
che nella scrittura è Petrolio.
La scena del prato, per fare un
solo esempio, è semplicemente sottopornografia».
Petrolio — come del resto anche il film Salò — sarebbe quindi niente più che il documento di una patologia di Pasolini. Va da sé che una figura di
questo tipo diventa tanto affascinante come personaggio
quanto inattendibile come osservatore: un deragliato mentale non può essere abbastanza lucido da vedere la verità. È
una lettura che permette anche di archiviarne la morte
senza troppi problemi: in un
appoggio vizioso tra vita e
opera che culmina nello stilema tanto abusato quanto volgare rispetto a quella notte
del 1975 sul lungomare di
Ostia: «Se l'è andata a cercare».
Fare attrito col mondo
Però i conti non tornano. Innanzitutto, quelle opere sono
scritte quasi parallelamente
ai celebri Scritti corsari: ed è
difficile immaginare un ragionamento più lucido e analitico di quello portato avanti
da Pasolini sul Corriere della
Sera proprio negli anni di Petrolio e di Salò. Sarà vero piuttosto il contrario: e cioè che la
disperazione aveva reso Pasolini estremamente lucido,
concedendogli la difficile libertà di chi, dopo mille scandali e processi, non ha più
paura di niente. Niente di pruriginoso odi decadente—nessuna pulsione di morte ma il
massimo della vita: opporsi
con l'opera e col corpo al nuovo potere.
Petrolio non fa sconti, e parla
della metamorfosi di un potere che da statale e nazionale
diventa finanziario e internazionale. Oggi che quel salto di
specie è un dato di fatto, mi
colpisce che Pasolini ne avesse centrato anche il luogo in
cui quella lotta si sarebbe
combattuta: le fonti energetiche. Trent'anni prima che Greta Thunberg venisse concepita, Pasolini stanava il potere
nel suo matrimonio con gli
idrocarburi. Oggi ne vediamo
il frutto: un nuovo capitalismo come un modello pandemico, un animale combustibile.
Se pochi oggi sanno chi sia stato Eugenio Cefis, è perché gli
Eugenio Cefis (compresi quelli odierni) restano sconosciuti ai più: la politica va sotto i
riflettori, ma i veri attori restano nell'ombra. Pasolini, privo
com'era di qualsiasi capacità
d'inchiesta ma dotato solo di
spaventosa energia intellettuale, con Petrolio cercava di
indicare (poeticamente, da
sciamano) quelle matrici che
ancora oggi trasformano il
mondo. Si capisce allora che,
in quest'orizzonte di pensiero, una ventina di fellatio sul
pratone della Casilina appaiono piuttosto marginali.
Petrolio indica, infine, un modo di scrivere completamente
nuovo. Un raro esempio di
"opera performativa": un libro che mescola tutti i generi,
contamina tutti i materiali
possibili, che prova con forza
a uscire dalla forma otto-novecentesca di romanzo come
"racconto di una storia" e in
un certo senso ne denuncia l'inadeguatezza. Pasolini ha cercato qualcosa di diverso, di
più estremo e coraggioso, sia
nei contenuti che nella forma.
Fosse vivo oggi, non ho dubbi
che scriverebbe Petrolio includendoci anche sequenze video, link, Qr codes, stralci di siti internet, brani di podcast:
qualsiasi cosa pur di tendere
un agguato alla verità sfuggente del mondo. Come ha
scritto benissimo Walter Siti:
il Pasolini di Petrolio non ha
più voglia di giocare. Vuole rischiare, mettersi in gioco totalmente, al di fuori di ogni galateo di mondanità culturale.
È forse proprio questo che
manca al nostro scrivere letteratura oggi:la capacità di mettersi in pericolo. Una scrittura che possa produrre criticità: fare attrito col mondo.