Recensioni / Morire il meno possibile: i desiderata del mercuriale Juan Rodolfo Wilcock

Era il 19 marzo 1978 quando Adolfo Bioy Casares scrisse nel suo diario: «Silvina mi annuncia la morte di Johnny Wilcock. Vado a piangere in bagno: Johnny è morto a Lubriano, di infarto, propriomentreleggevaunlibrosull'infarto cardiaco. Penso che dovrei scrivere i miei ricordi di Johnny. L' idea di non vederlo più e di non parlare più con lui mi rattrista molto». Con questa annotazione si concludono tanto la storia della lunga e intensa a m i cizia tra la coppia Bioy Casares-Ocampo e Juan Rodolfo Wilcock, quanto il nuovo libro che il curatore delle opere di Bioy, Daniel Martino, ha costruito a partire dai diari del grande scrittore argentino scomparsone11999, insieme al quale aveva compilato le oltre 1600 pagine di quell'insostituibile testimonianza che è Borges (Editorial Destino 2006). Intitolata semplicemente Wilcock (editore Emece) e appena uscita in Argentina, l'opera è modellata proprio su questo monumentale precedente, e oltre ai bra ni di diario include lettere e numerose fotografie scattate da Bioy e Silvina, disegnando un prezioso ritratto dello scrittore, poeta, traduttore, drammaturgo e critico che, nato inArgentinane11919, sitrasferìinItalia nel 1957 e scrisse in italiano buona parte di un'opera fuori del comune, cui è dedicato L'eternità immutabile, raccolta di saggia cura di Roberto Deidier e Giorgio Nisini (Quodlibet, pp.148, € 16,00). ll «montaggio» di Daniel Martino, oltre a far luce sulla giovinezza di Wilcock, cene restituisce l'intransigenza, igiudizi sferzanti, l'intelligenza affilata, e mostra anche il rapido mutare del giudizio di Bioy, inun primo momento negativo («Wilcock è avido, fosco, sdegnoso»).
Nonostante i due uomini apparissero così diversi (Bioy solare e seduttivo, Wilcock pungente e mercuriale) sarebbero diventati, dice Martino, «quasi fratelli», accomunati dalla visione della realtà come caos e dall'ossessione per la mortalità: «Johnny vuole affannosamente sopravvivere, morire il meno possibile... » scrive Bioy nel '67. «Conserva tutto ciò che ha scritto (...) anche le brutte copie e le brutte copie delle brutte copie. Forse lascia i materiali di tutto ciò che via via è stato, perché nulla manchi all'ora di ricostituirlo e resuscitarlo». A «ricostituirlo» e, in un certo senso, a riportarlo nella patria cui aveva voltato le spalle, provvedono ora i diari e le lettere di Bioy Casares.