Recensioni / Nelle conchiglie calpestate il requiem per Pasolini

A pochi giorni dall'assassinio di Pier Paolo Pasolini, avvenuto nella notte tra il I° e il 2 novembre 1975, Biagio Marin compose a caldo un poemetto in memoria del poeta scomparso. Si tratta di 13 liriche scritte ovviamente nel dialetto di Grado, vale a dire in quella che da sempre era per lui la lingua della poesia. A Pasolini, del resto, Marin doveva tantissimo, e lo sapeva molto bene: il riconoscimento della sua opera poetica al di fuori del giro ristretto dei conoscenti, ma soprattutto un'interpretazione di grande qualità, al punto da essersi subito trasformata, non senza ragione, in un piccolo mito critico.
El critoleo del corpo fracassao. Litànie a la memoria de Pier Paolo Pasolini, così s'intitola il poemetto, fu pubblicato l'anno dopo nelle edizioni All'insegna del pesce d'oro di Vanni Scheiwiller, a cui si deve anche l'idea, subito accolta dal poeta, d'impiegare questo verso particolare come titolo dell'intera composizione. Da tempo introvabile, nonostante una riedizione del 1995, è stato ora riproposto con l'aggiunta di una traduzione in italiano e l'accompagnamento di diverse pagine d'argomento pasoliniano tratte dai diari inediti di Marin. Di qui il doppio titolo, in dialetto e in italiano: Lo scricchiolio del corpo fracassato (Quodlibet), curato e tradotto da Ivan Crico, con un saggio di Pericle Camuffo Anche se il gradese, per lo meno quello di Marin, è un dialetto abbastanza comprensibile, la traduzione italiana presenta comunque una certa utilità. Riguardo alla parola del titolo, che rimanda ovviamente allo scempio del corpo del poeta assassinato, veniamo a sapere ad esempio che «il termine critolèo indica, precisamente, lo scricchiolio continuo che si sente calpestando sul bagnasciuga le conchiglie». Il che non è senza significato, in quanto inserisce nell'immagine, pur così violenta, un orizzonte e una musica di natura diverse.
Si è trattato di un gesto di gratitudine, forse d'un atto d'amore? Probabilmente sì, anche se con riserve. Quelle di Marin verso Pasolini, anzitutto, che diventano poi quelle del lettore verso la visione complessiva testimoniata da questi versi. Nel poemetto si sovrappongono due grandi funzioni rituali e narrative: quella del ritorno all'origine, al paese, a ciò che davvero si era; e quella del ciclo perdizione e salvezza, peccato e redenzione. In epigrafe Marin riporta non a caso un passaggio di San Paolo che pone la vicenda disegnata nel Critoleo sotto il segno appunto della colpa: «Poiché chi è morto è, per diritto, affrancato dal peccato». Ma il fatto che questo peccato non siano i suoi limiti e contraddizioni di uomo (limiti e contraddizioni di tutti, dunque) bensì l'omosessualità, che con la morte Pasolini avrebbe pagato e scontato, fa molto pensare. Anzi, pur tenuto conto delle differenze d'età, di formazione, di sensibilità di Marin, è francamente inaccettabile.
In queste 13 litanie ci sono versi anche molto delicati, accoglienti, partecipi in modo davvero non esteriore. I passaggi migliori riguardano forse prevedibilmente il ritorno del poeta in Friuli dopo la morte (Pasolini fu sepolto a Casarsa e Marin partecipò ai funerali); un Friuli primaverile e immacolato, anche un po' edenico, com'era stato rappresentato, del resto, nei versi friulani dello stesso Pasolini. E lui l'usignolo evocato più volte in queste liriche, il cui canto sarà comunque capace di sopravvivere: «L'alegra vogia/ dei canti tovi d'usignolo» («L'allegra voglia/ dei tuoi canti d'usignolo»). Ma come perdonare, d'altro canto, versi così a senso unico, così brutti come quelli che seguono? «Sesso sfrenao, xe stao/ un mortai ritornelo» («per te il sesso sfrenato / un mortale ritornello»), «pùo tu t'ha perso/ in un mondo lontan, perverso» («poi tu ti sei perso / in un mondo lontano, perverso»), o ancora: «Tu, de l'amor de femena estromesso» («tu, dall'amore/ della donna estromesso»). Se etica ed estetica sono l'una responsabile dell'altra, si deve dire che in questo caso il poeta di Grado ha mancato da entrambe le parti.
Anche gli estratti dai diari sono costruiti su questa specie di partita doppia (sono pagine, va detto, piuttosto accattivanti, perché Marin ha un modo estremamente franco di colloquiare con sé stesso). Da una parte, infatti, magari con qualche riserva su questo o quel lato particolare dell'attività artistica e intellettuale di Pasolini, è pronto a riconoscerne e a difenderne il valore. Lo antepone a Ungaretti e a Montale, ad esempio. Ma anche, in un brano davvero brillante, ammette che la sua complessità è superiore, alla propria capacità di comprendere: «E un grande ingegno, forse un genio, lo so; e so che è un grande scrittore; e allora? Mortificato devo dirmi di essere un deficiente». Ma è pur vero che resta sempre un Pasolini grande nonostante il marxismo, grande nonostante l'omosessualità. Se il nido, se la cullavi cui finalmente doveva trovar pace era questa, insomma, si poteva farlo entrare solo a patto di passarci sopra.