«Se guardo fuori dalla finestra vedo l'antenna delle telecomunicazioni. Mi alzo dal tatami
e all'orizzonte vedo l'antenna.
Sotto l'antenna ci sono le risaie». Un frammento sonoro che
emerge dal buio in una lingua
conosciuta da pochi, per prendere forma in italiano sul pannello nero. «A casa nostra si parlava il dunan, era la nostra lingua, è la nostra lingua. I giapponesi lo chiamano hogen, 'dialetto'. Sono riusciti a convincere
pure noi a chiamare la nostra
lingua madre `dialetto'». «Una
volta si pescava con le mani,
senza alcuno strumento. Si andava tra le onde soli come il
Monte Urabu».
Voci maschili e femminili
che si fondono con i suoni del
posto, rumori e melodie tra terra e mare, mentre le fotografie
a colori mostrano dettagli di
una quotidianità in cui la figura
umana è solo indiretta. Una sorta di litania scomposta che Anush Hamzehian (Padova 1980, vive e lavora a Parigi) e Vittorio
Mortarotti (Savigliano 1982, vive e lavora a Torino) hanno tracciato registrando, fotografando
e filmando un luogo remoto del
Giappone, dando vita a L'Isola -
Yonaguni 2018-2020.
Del progetto fa parte la pubblicazione del libro (realizzato
anche con l'Università Ca' Foscari di Venezia con testi di P.
Heinrich, K. Kondo, R. T.
Lau-Preechathammarach, G.
McCormack, A. Rokkumm, M.
Rosa e pubblicato da Quodlibet
e Skinnerboox) e il film (La Bête),
complementari all'installazione immersiva concepita come
un racconto corale. Una commissione della Fondazione Palazzo Magnani per Fotografia
Europea 2020 (saltata a causa
della pandemia) ed esposta ai
Chiostri di San Pietro alla XVI
edizione del festival di Reggio
Emilia (fino al 4 luglio). Tappa
successiva sarà il CAP - Centre
d'arts plastiques de Saint-Fons,
Lione. Il duo artistico Hamzehian (ha una formazione in
Scienze della Comunicazione
che ha orientato verso la scrittura cinematografica) e Mortarotti (è laureato in Lingue Orientali
e parallelamente si è dedicato
alla fotografia) si è conosciuto
nel 2006 a Parigi, ma solo dal
2013 ha trasformato l'amicizia
in una proficua collaborazione
professionale che li ha portati
alla realizzazione di diverse opere focalizzate su situazioni marginali, dall'Iran alla Bielorussia,
dal Giappone al New Mexico,
che interpretano in una chiave
personale il linguaggio documentario tradizionale, tra cui il
progetto fotografico The First
Day of Good Weather (2015) e il
film Monsieur Kubota (2018). Nel
loro bagaglio culturale comune
c'è l'amore per il cinema giapponese, soprattutto Shohei Imamura e Hirokazu Kore'eda e la
fotografia di grandi maestri come Daido Moriyama e Shomei
Tomatsu, ma anche il romanzo
Passavamo sulla terra leggeri di
Sergio Atzeni, preziosa fonte d'ispirazione per il loro racconto
di Yonaguni.
La scomparsa della lingua dunan Yonaguni è il punto di partenza per realizzare «L'Isola».
Vittorio Mortarotti: Siamo stati quattro volte a Yonaguni tra il
2018 e il 2020, ogni volta per un
periodo di quattro settimane.
Un progetto in cui siamo stati
accompagnati da Patrick Heinrich che è uno dei massimi nipponisti al mondo. Dopo il primo
sopralluogo ci siamo resi conto
che dietro la lingua che scompare c'era un mondo intero che
scompariva. In qualche modo ci
siamo appropriati del metodo
del sociolinguista per poi, da artisti, stravolgerlo, mappando fotograficamente l'intera isola e
cercando di registrare il più possibile storie ancora vive che raccontassero un mondo che ormai è sull'orlo non solo della
scomparsa ma dell'oblio.
Un mondo in cui si mischiano la leggenda, il mito e la vita
vera di persone ormai anzianissime. L'installazione - è la prima volta che usiamo anche il sonoro - cerca proprio di restituire l'ampiezza di un microcosmo che ha delle somiglianze
con tante altre isole - periferie -
che stanno scomparendo.
Anush Hamzehian: Yonaguni
è l'ultima isola giapponese davanti a Taiwan ed è stata spesso
contesa tra i due grandi imperi,
giapponese e cinese, subendo
entrambe le influenze. Da più
di un secolo è giapponese. Le lingue, come abbiamo scoperto
grazie a Heinrich, non scompaiono magicamente ma perché
ce n'è sempre una che domina
su un'altra. Sull'isola non c'è
più un medico né un ospedale,
quindi spesso non si nasce né si
muore. Gli anziani si trovano a
dover andare molto lontano, in
altre città grandi, dove si trovano gli ospedali e non tornano
più. C'è, poi, una base miliare
giapponese che si è installata
qualche anno fa spaccando l'isola in due.
Davanti agli ultimi bagliori
di quel mondo che si sgretolava
abbiamo percepito l'idea di
un'archeologia del futuro. Per
la prima volta, infatti, stavamo
raccontando non qualcosa che
era già successo ma che era lì da
venire. È come se il nostro libro
e l'installazione fossero una specie di atlante per chi tra vent'anni probabilmente non potrà più
andare a Yonaguni, perché diventerà con buona probabilità
un'isola solo militare. Eppure c'è
stata un'epoca, subito dopo la
seconda guerra mondiale,
quando Okinawa era americana che Yonaguni, che fa tuttora parte della prefettura di Okinawa, era stata un po' tralasciata e gli abitanti avevano implementato il commercio, che improvvisamente era diventato
«mercato nero», con Taiwan in
un momento complesso in cui
in Cina c'era la guerra. Allora
Yonaguni si è popolata di bar,
marinai, soldi.
Molte storie tra quelle che
abbiamo raccolto raccontano
di questo momento incredibile - l'âge d'or - in cui c'era molto
movimento, si facevano feste,
c'erano i soldi. Si è passati dai
15/20 mila abitanti degli anni
'50 ai 1500 di oggi che probabilmente diventeranno zero tra
vent'anni.
È noto quanto i giapponesi
siano riservati e difendano la
loro intimità domestica, come siete riusciti a sviluppare
la relazione con le persone
del posto?
Vittorio Mortarotti - La prima
porta è stata sempre Patrick
Heinrich che aveva già lavorato
lì per 8 anni e conosceva bene le
persone. In un'isola così piccola
basta avere qualche alleato. E
stato tutto molto fluido, inoltre
aver fatto in parallelo un film
sui ragazzi all'ultimo anno della scuola media è stata un'altra
possibilità.
Anush Hamzehian - AYonaguni non c'è la scuola superiore, quindi alla fine della scuola
media i ragazzi spesso vanno a
studiare in altri posti: Naha, Fukaia o Tokyo. Magari raggiungono il fratello maggiore che nel
frattempo fa l'università. I dati
sono che su 35 per generazione
ne tornano 4 0 5.
Vittorio Mortarotti: Yonaguni è un'isola tipicamente tropicale e oceanica ma è un po' austera, ricorda la Scozia e tanti
dei cliché sulle difficoltà relazionali giapponesi lì non ci sono. È
un posto dove la gente si tocca,
però al tempo stesso dove la vita è difficile e ovviamente ci sono certe durezze anche nelle relazioni. C'è anche il timore
dell'uso che verrà fatto delle immagini e delle loro storie.
In termine di appropriazione?
Anush Hamzehian: Sono loro
erAnush Hamzehian e Vittorio Mortarotti, Untitled, Yonagun i, 2019 (courtesy degli artisti). Accanto i due artisti foto di Manuela De Leonardis
stessi che hanno paura di non
saper più come raccontare le
storie, quindi la vergogna di
non saperlo fare.
Vittorio Mortarotti: Si è verificato, ad esempio, con l'ultima
sacerdotessa dell'isola, che in
realtà abita a Ishigaki e si reca a
Yonaguni solo per officiare i riti. La religione dell'isola è animista. Sono gli unici in tutto il
Giappone a non bruciare i morti ma a seppellirli in una necropoli fantastica.
Anush Hamzehian: Una necropoli di una bellezza sconcertante che nessuno dei pochi turisti che si recano nell'isola per
fare turismo subacqueo vanno
a vedere.
Vittorio Mortarotti: Nella
cosmogonia religiosa di Yonaguni quando si muore si ritorna
nel ventre materno. La sacerdotessa ci ha raccontato la sua storia. Non avrebbe voluto quel
ruolo, ma il culto si tramanda
per linea matriarcale. E come se
il destino se la fosse ripresa.