”Caro marito mio / ascoltami
bene / in tutta la Germania
/ non ci tocca più pastina ma soltanto nazisti / è del tutto indifferente
dove andiamo a comprare la pasta /
troviamo sempre soltanto nazisti /
è del tutto indifferente quale confezione di pasta / apriamo / ne escono sempre soltanto / nazisti / e se
facciamo bollire il tutto / trabocca paurosamente / non posso farci
niente': Questa surreale
pentola che trabocca di
nazisti viene evocata in
un brevissimo atto unico di Thomas Bernhard
messo in scena il 7 febbraio del 1979: Il pranzo tedesco. È l'immagine di un decennio — gli
anni settanta — caratterizzato da un'intensa riflessione sui fascismi,
dalla preoccupazione
per le recrudescenze di violenza politica nel panorama europeo, persino dalla moda storiografica denominata Hitlerwelle. E dunque
tempo di bilanci e di confronti, perché, come dichiarava Primo Levi in
un'intervista, si scorgono "troppi
segni allarmanti, analoghi a quelli
di trent'anni fa (...). Il seme di Auschwitz è ancora radicato nella nostra società".
I1 1979 è una data cruciale anche per la storia narrata nel bel libro di Martina Mengoni uscito per
i tipi di Quodlibet nel gennaio di
quest'anno. E infatti proprio tra la
fine del 1979 e il marzo dell'anno
dopo che Levi scrisse La zona grigia, da un punto di vista cronologico il primo degli saggi che compongono I sommersi e i salvati, nonché
il più noto.
Ma parlando di date, bisogna fare innanzitutto attenzione a quelle
che Mengoni pone in calce al sottotitolo del suo saggio. L'indicazione "Torino 1986" si spiega da
sé, perché ricalca l'anno e il luogo
di edizione dell'ultimo libro di Levi; al contrario, "Francoforte 1959"
rappresenta la vera novità e la sfida critica dell'opera di Mengoni.
Se infatti una certa vulgata leggeva I sommersi e i salvati retrospettivamente, ovvero dal punto di vista
della morte dello scrittore nell'aprile del 1987, e considerava quindi quest'opera come una sorta di testamento spirituale, il movimento
critico di Mengoni si può dire vada nella direzione opposta. E lo fa
mostrando che quest'opera ha avuto una genesi e una gestazione quasi trentennale, ed è dunque il risultato di una rielaborazione critica,
storica e persino narratologica delle istanze attive in Levi fin dagli anni cinquanta.
L'originalità dell'operazione critica di Mengoni, che è anche il motivo per cui questo lavoro trova la
sua collocazione ideale nella collana "Letteratura tradotta in Italia" di
Quodlibet, sta nell'aver individuato
il motore di questa feconda rielaborazione in una traduzione. E non
in una qualsiasi: nel 1959 Levi viene informato che l'editore Fischer
ha comprato i diritti di Se questo è
un uomo (ripubblicato da Einaudi
l'anno prima) per tradurlo in tedesco. Prima di fungere da stimolo per
tutte le successive riflessioni, la notizia retroagisce sull'opera scritta tra
il 1945 e il 1947, suscitando in Levi un'improvvisa chiarezza sugli effettivi interlocutori di Se questo é un
uomo. Come si legge nei Sommersi:
"i suoi destinatari veri, quelli contro
cui il libro si puntava come un'arma, erano loro, i tedeschi". Inevitabilmente la traduzione in tedesco di
quell'opera non può non giocare un
ruolo tutto particolare e
carico di significati: "volevo che in quel libro, ed
in specie proprio nella
sua veste tedesca, niente
andasse perduto di quelle asprezze, di quelle violenze fatte al linguaggio,
che del resto mi ero sforzato del mio meglio di
riprodurre nell'originale italiano.
In certo modo, non si
trattava di una traduzione ma piuttosto di un restauro: la sua era, o io
volevo che fosse, una restitutio in
pristinum, una retroversione alla
lingua in cui le cose erano avvenute ed a cui esse competevano. Doveva essere, più che un libro, un nastro di magnetofono': Tale pretesa,
che Levi definisce anche "scrupolo
di superrealismo" è il punto da cui
prende l'abbrivio l'epistolario con il
traduttore Heinz Riedt. Che è solo
il primo di una lunga serie: la rete
epistolare presto coinvolge semplici
lettori tedeschi, intellettuali, testimoni di Auschwitz, infine la giornalista tedesca Hety Schmitt-Maas
che oltre a dialogare con Levi per
quasi vent'anni inviandogli opere
e suggerimenti di lettura, si fa promotrice di alcuni incontri cruciali, tra gli altri
quelli con Jean Améry
e con Ferdinand Meyer,
l'ingegnere tedesco conosciuto a Auschwitz
che diventerà il dottor
Müller al centro del racconto Vanadio.
Il libro di Mengoni ricostruisce con estrema
chiarezza e rigore filologico non solo questa
e tutte le altre conversazioni epistolari, ma
anche alcuni progetti
editoriali, il suo "scaffale tedesco', le fonti e la
precisa cronologia dello sforzo leviano di "capire i tedeschi"; nella
convinzione che seguire
la genesi dei Sommersi e
salvati significhi, in fondo, rileggere "una porzione consistente della biografia intellettuale
di Primo Levi': Di tutto ciò fa parte lo scavo
critico di Mengoni sulle letture tedesche che Levi porta avanti mentre scrive i Sommersi. Fonti letterarie e non, che Mengoni è in grado
di far dialogare armoniosamente
con il proprio discorso critico, evidenziando per esempio la possibile
influenza del personaggio-Giuseppe di Thomas Mann sul "modo di
far dire `io' ai personaggi dei libri"
di Levi, oppure il ruolo fondamentale che ha avuto l'opera di Victor
Klemperer sulla lingua del Terzo
Reich per la tematizzazione della
questione linguistica in Comunicare, il quarto dei saggi che compongono i Sommersi.
Nel capitolo conclusivo, significativamente intitolato L'ottaedro
dei "Sommersi", l'autrice propone
infine una vera e propria lettura "geometrica" dell'opera, attuando uno
smontaggio e rimontaggio del libro
leviano, nel segnalare ogni volta un
diverso possibile ingresso e punto
di vista sull'opera. Lo fa mettendo
in rilievo innanzi tutto il carattere
aporetico, paradossale e spurio del
proprio oggetto, che non significa
però pessimista o anti-illuminista.
Dunque da un lato "I sommersi è un libro di natura testimoniale perché
rimette radicalmente in discussione
l'atto stesso della testimonianza", e
tuttavia, dall'altro, si scorge in esso
l'inesausta fiducia nella ragione: "In
nessun altro libro più che in questo,
Levi mette in atto tutti gli strumenti razionali che possiede con un grado di raffinatezza e profondità mai
raggiunti fino a questo momento".
L'ottaedro del titolo (otto lati,
come otto sono i saggi che compongono i Sommersi) viene a tutta prima descritto come un solido
platonico regolare, ma poco più.
avanti l'autrice rettifica e complica
la sua stessa definizione, proponendo infine l'immagine del "doppio
ottaedro distorto che si forma nei
complessi chimici di certi metalli".
Come lo stesso I sommersi e salvati a
cui quest'indagine critica è dedicata, il saggio di Mengoni è a sua volta
un libro che rifugge le risposte facili, un libro "contro le semplificazioni, le banalizzazioni, gli stereotipi".