«Che cosa posso sperare?».
E questa la domanda, così carica di tensione utopica, a cui
Kant ha tentato di rispondere
con la sua Critica del giudizio. A
ricordarcelo è Renato Solmi, in
un passaggio delle sue Lezioni
su Kant (Quodlibet, pp. 160, euro 14). Affidate ad una prosa
dal nitore cristallino, in cui
completezza e chiarezza dell'esposizione si sommano ad uno
scarto metaforico sobrio ma deciso, queste lezioni kantiane,
curate da Marco Gatto e trascritte da Luca Baranelli, appartengono ad un ciclo ben più
ampio, e ancora inedito, di
scritti filosofici dal taglio didattico che il Solmi insegnante di
scuola mise a punto all'altezza
degli anni Ottanta. Sono dunque il primo tassello di un progetto più vasto che si spera possa al più presto assumere adeguata forma editoriale.
Solmi è stato un intellettuale a
tutto tondo, versatile e poliedrico. Novecentesco. Noto per
aver introdotto Adorno in Italia — memorabile il suo saggio
introduttivo ai Minima moralia
— Solmi ha lavorato in ambito
editoriale, in particolare
nell'Einaudi degli anni Cinquanta, e fino al 1963, e poi come insegnante di Storia e Filosofia nei licei di Torino e Aosta.
Ma è stato anche infaticabile
militante politico dei movimenti antimilitaristi, come lascia trasparire in un passaggio
attualizzante di queste lezioni
in cui rimprovera all'umanità
odierna di non rappresentare
più nell'ambito del nostro pianeta, quella «presenza moderatrice ed equilibratrice» che l'ha
sempre caratterizzata, ma di essere e operare ormai come «un
elemento distruttivo e dissolvente degli equilibri spontanei
che si costituiscono nel mondo
della natura». D'altronde la definizione di un rapporto dialetticamente unitario fra piano
storico, filosofia e azione politica è una delle stelle polari del
metodo didattico di Solmi. Lo
si evince molto bene da uno
dei tanti calibrati paragoni che
lo studioso utilizza in queste lezioni per far comprendere meglio gli snodi decisivi del pensiero kantiano. Si tratta di quello in cui, tratteggiando i contorni omogenei di uno «spirito del
tempo» pervasivo, Solmi formula delle analogie metaforiche molto precise fra la funzione di cucitura a cui assolvono
gli schemi kantiani, e la struttura innovativa di «quelle macchine utensili che si andavano
rapidamente diffondendo in
Inghilterra nell'epoca in cui
Kant componeva la sua opera
fondamentale».
Si tratta per l'esattezza di macchinari «integrati e complessi»
che richiamano alla mente il
rapporto fra l'apparato categoriale e «l'albero-motore dell"io
penso"». E qui Solmi sembra
riattivare in modo originale
un'antica tradizione di accostamenti fra i livelli di produzione
tecnologica di una data società
e i suoi «manufatti» intellettuali, che va dal Mare che rimuginava sul rapporto fra i poemi
omerici e la macchina a stampa all'Adorno appunto dei Minima moralia che, come sottolineava lo stesso Solmi, definisce polemicamente il neopositivismo come «taylorismo dello spirito», in quanto acritica
apologia della divisione del lavoro intellettuale. Ma i paragoni di Solmi non sono solo analiticamente esatti. Possiedono
anche un valore euristico ed interpretativo. Seguendo infatti
alcuni tracciati metaforici di
queste Lezioni si può comprendere come in Kant si formi una
forte contiguità logico-strutturale fra gli strumenti di pensiero che si forgia ed elementi decisivi del suo edificio teoretico.
Ad esempio, nell'atto di spiegare la differenza fra giudizi analitici e giudizi sintetici a priori
Solmi paragonai secondi, decisivi nel sistema kantiano, alla
«generazione del bambino che
esce dal grembo della madre».
Va detto prima di ogni cosa
che tale tenore metaforico si attaglia molto bene a quella fondante svolta di pensiero che secondo Ernst Cassirer accomunava Goethe e Kant, per cui si
passa «dalla precedente visione generica alla moderna visione genetica della natura organica». Se la prima infatti si concentra sui prodotti vitali, la seconda preferisce orientarsi sui
processi di creazione. Ma c'è di
più. Perché quando Solmi affronta, a proposito della Critica
del giudizio, la questione del rifiuto del meccanicismo newtoniano, riprende proprio il paragone utilizzato peri giudizi sintetici a priori.
Kant profetizza infatti che
non nascerà mai più «dal grembo di una donna» un nuovo Newton capace di spiegare meccanicamente la formazione del più
semplice dei fili d'erba. Qui si
ravvisa la più classica delle saldature del cerchio. E si delinea un
nesso abbastanza stringente fra
la struttura del giudizio sintetico a priori, con la sua capacità di
garantire alla conoscenza umana sia una certa estensività, sia
l'universalità, e il basilare rifiuto
che Kant oppone allo sterile meccanicismo di Newton. Che cosa
avremmo potuto sperare di più
da un semplice paragone?