Recensioni / Una cosa è il filosofo un'altra è il sofista

Gianni Carchia, La favola dell'essere. Commento al Sofista, Quodlibet, 1998, pagg. 208, lire 26.000.


Come sottrarsi alla prescrizione heideggeriana relativa alla storia della metafisica come progressivo oblio dell'essere? Come accostarsi ai classici della filosofia senza porsi sotto l'egida del paradigma della differenza ontologica? Un convincente tentativo in questa direzione è stato compiuto da Gianni Carchia, 'uno dei nostri maggiori studiosi di estetica, in questo Commento al Sofista, cui segue il testo platonico nell'esemplare traduzione di Emidio Martini.

Il dialogo viene articolato come un'incalzante "gigantomachìa sull'essere" che ha il duplice scopo di distinguere il filosofo dal sofista e di prendere le distanze anche dall'ontologia eleatica, riconoscendo l'esistenza del non-essere inteso come differenza dell'identità monolitica e cogente dell'essere. Sviluppando un commento rigoroso e serrato che non trascura i significati metaforici oltre che speculativi, Carchia ci restituisce il piacere del testo platonico, evitando ogni forzata attualizzazione e mostrando come la dottrina delle idee non sia per nulla una fuga dall'esperienza, come la trama dell'essere non sia precaria e lacunosa, intrisa di apparenze, esposta alla sfida della contingenza.

La teoria platonica si presenta agli occhi di Carchia come «la corretta visione del carattere fenomenico della realtà, visione che impedisce di irretirsi dentro di essa e consente il processo della liberazione morale e religiosa dell'uomo. Per conoscere davvero la realtà, bisogna possedere un punto di fuga esterno alla sua immanenza, ciò che appunto manca alla sofistica, la quale non può mai sollevarsi sul piano dell'obiettività. Senza tale alterità, il mondo diventa un universo di sogno, popolato di fantasmi». Non viene dunque consumato un cruento parricidio di Parmenide, ma scoperta la produttività conoscitiva del non-essere, la sua feconda alterità.