Recensioni / Megalopoli, grattacieli e tecnologia. Così il digitale svuoterà gli uffici

Che cosa spinge il collezionista a raccogliere oggetti? È molto difficile da comprendere e probabilmente la risposta non è una sola come fa capire la collezione del noto architetto Italo Rota, ora in mostra alla Fondazione Ragghianti di Lucca sotto il titolo Pianeta città. Arti cinema musica design nella Collezione Rota 1900-2021. Rota ha raccolto tutto ciò che ha a che fare con lo sviluppo del concetto e dell'immagine della città in centoventi anni: libri, manifesti, modellini, fotografie ecc. E la visita è a dir poco sorprendente. «L'intento — spiega il curatore Paolo Bolpagni — è quello di creare un racconto del Novecento e del primo ventennio del nuovo millennio attraverso la visione della città, la sua rappresentazione nelle arti e nel cinema e l'evoluzione dell'oggetto libro. Da una parte ripercorrendo lo sviluppo dell'idea di città, da quella immaginata da Antonio Sant'Elia e Bruno Taut negli anni Dieci fino all'architettura attuale della megalopoli; dall'altra analizzando come sia cambiato il nostro modo di trasmettere la conoscenza, fino alle evoluzioni contemporanee e al cambiamento del nostro modo di pensare, con lo sviluppo di una modalità di ragionamento ipertestuale e intertestuale». Tema su cui interviene anche un volume edito da Quodlibet, Come cambieranno le città e i territori dopo il Covid19, a cura di Fausto Carmelo Nigrelli, che presenta le riflessioni di dieci urbanisti italiani (pagine 168, euro 19). Un primo elemento che configurò le città moderne fu l'avvento delle macchine: la bicicletta prima e le automobili poi. Cambiò la libertà e la frequenza degli spostamenti ma urbanisticamente entrò in scena l'asfalto, che trasformò il look delle strade. Ma cambiarono anche le distanze: una bicicletta permetteva di abitare lontano dalle fabbriche. I quartieri popolari. Rota focalizza anche le utopie legate alla città. Dal falansterio alle città- giardino. Ma la storia è stata diversa, la gente ha preferito concentrarsi e andare a vivere nelle città. Nascono le grandi metropoli. Ma quelli che vivono nei piccoli villaggi non sono condannati all'estinzione. Oggi si è raggiunto un equilibrio tra i due stili, complice anche l'accorciamento delle distanze. Lascerà in segno anche l'attuale pandemia? Suggerisce Rota: «Luso del digitale è diventato una forma naturale degli umani. Non usare il digitale è diventato un progetto. 1...] Una cosa che avverrà, per le città, sarà la desertificazione degli uffici». Ma aggiunge un'osservazione interessante: si è visto come le città che hanno industrie abbiano sopportato meglio la pandemia. L'Italia, se non fosse stato un Paese industriale, sarebbe fallito, assicura.
Non si può pensare alla città contemporanea senza immaginarla piena di grattacieli. E un mito del XIX secolo: crescendo in verticale si occupa meno spazio. Ma Rota fa notare che i grattacieli italiani sono da considerare non più che edifici alti. I veri grattacieli sono in Asia e misurano fino a quattrocento metri o fino a seicento. Ma a noi non servono. Una sezione particolare della rassegna riguarda Milano e vale la pena riportarla con le parole dello stesso Rota. «La mia città, Milano, nel 1944 ha conosciuto un "architetto" imprevisto: i bombardamenti. I bombardamenti hanno distrutto il sessanta per cento della città. Successivamente sono state prese alcune decisioni: conservare una parte del tessuto di Milano così com'era e costruire soltanto gli edifici demoliti. Hanno così creato questa collage city tra antico e moderno che è Milano. (...) La tradizione di Milano è di non creare luoghi pubblici: la città non ha mai avuto vere piazze, e l'unica grande piazza non l'ha mai usata, se non per concerti o comizi: la piazza del Duomo è sempre usata ai bordi; in mezzo non c'è mai nessuno, ci si va per dar da mangiare ai piccioni».