Recensioni / I dimenticati dell’arte. Dolores Prato, la scrittrice della solitudine

“Perché ero sola, perché non avevo quello che avevano gli altri bambini, certi episodi diventavano cippi miliari di una strada deserta; si dilatavano proprio perché intorno avevano il deserto. Forse proprio per questa mia solitudine m’incantavo avanti a tutto, anche a un ombrello”.

Così una delle più originali scrittrici italiane del XX secolo, Dolores Prato (1892-1983), racconta la sua infanzia solitaria in Giù la piazza non c’è nessuno, romanzo autobiografico di 1.058 cartelle terminato nel 1980, quando Dolores ha quasi novant’anni.
La prima edizione pubblicata da Einaudi è curata da Natalia Ginzburg: il testo esce con sole 282 pagine e diventa un caso letterario per le proteste di Dolores, che non riuscirà mai a vedere la pubblicazione integrale, uscita solo nel 1997 a cura di Giorgio Zampa. Ma chi è Dolores Prato, scrittrice irregolare che arriva solo in tarda età a vedere coronate le sue fatiche letterarie?

LA STORIA DI DOLORES PRATO

Era nata a Roma nel 1892: sua madre, Maria Prato, è una vedova con cinque figli a carico, mentre il padre, un avvocato calabrese, non la riconosce. La piccola viene affidata prima a una balia e poi a un cugino della madre, un canonico che vive con la sorella a Treia, un borgo in provincia di Macerata, dove Dolores trascorre infanzia e adolescenza, prima con gli zii e dal 1905 in un educandato salesiano. Compie gli studi universitari a Roma, dove nel 1918 si laurea in lettere al Magistero, e l’anno successivo comincia una carriera di insegnante, prima a Sansepolcro poi a Macerata e infine a San Ginesio. Nel 1930 è a Roma, dove rimarrà per tutta la vita: insegna al Marymount e frequenta l’intellighenzia laica e cattolica della Capitale.
A causa del suo cognome, ritenuto a torto di origine ebraica, è costretta a lasciare l’insegnamento e vivere in maniera precaria, prima grazie a lezioni private e collaborazioni con quotidiani e poi come assistente di un ragazzo down, mentre il suo appartamento in via Fracassini 4 era diventata un punto di ritrovo per intellettuali antifascisti, come Renato Mieli, Concetto Marchesi, Stefano D’Arrigo e Fausto Coen. Negli Anni Cinquanta convive con don Andrea Gaggero, oratoriano vicino al PCI: scrive articoli per «Paese Sera» e per «Il Globo», ma non riesce a integrarsi nell’ambiente romano.

DOLORES PRATO E LA SCRITTURA

Nel 1948 termina il romanzo Nel paese delle campane, dedicato agli anni trascorsi a San Ginesio, che pubblica a sue spese per le edizioni Campana, dopo aver ricevuto molti rifiuti da case editrici. Poco dopo comincia ad attingere dal suo archivio personale di ricordi, memorie e documenti per ricostruire la sua infanzia a Treia, raccontata con una scrittura diretta e fluida, senza eccessivo rispetto per regole sintattiche e compositive, ma di straordinaria autenticità. Per anni lavora incessantemente al romanzo Giù la piazza non c’è nessuno, dove ricostruisce, con una narrazione favolistica e stupita e una lingua dove si fondono italiano e dialetto, la vita a Treia, il luogo delle sue memorie più intime: “Io non appartenevo a Treja, Treja apparteneva a me; essa non mi aveva chiamata, non gradiva la mia presenza per le sue strade, nelle sue chiese, lo vedevo benissimo e anche questo apparteneva a me”.
La sua opera è nota grazie alla casa editrice Quodlibet, che in questi anni ha pubblicato testi come Scottature (1998) e Sogni (2010), oltre all’ultima edizione di Giù la piazza non c’è nessuno (2016), mentre Le Ore, il seguito di Giù la piazza, è stato pubblicato da Adelphi nel 1995. Così oggi Dolores ha avuto i riconoscimenti mai ottenuti in vita, trascorsa come una combattente: “Nell’agone ho sempre vissuto, mai vincitrice, mai vinta, ma sempre resistente”.

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